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Testimoni scomodi e collaboratori impuniti?

La protezione dei testimoni e dei collaboratori di giustizia della criminalità mafiosa tra legge e messa in pratica.

Cinzia Birolini

La lotta alla criminalità organizzata di stampo mafioso nel 1992 ha scoperto - con l’uccisione di Falcone e Borsellino - la figura dei collaboratori e dei testimoni di giustizia. Sulla posizione e la protezione dei testimoni e dei collaboratori di giustizia Transcrime sta realizzando una ricerca per il progetto "Anonymous and threatened witnesses", finanziato dalla Commissione Europea nell’ambito del programma AGIS 2004. La ricerca analizza sia gli aspetti legislativi (benefici garantiti, doveri, sanzioni) sia le ricadute pratiche del sistema di protezione sui collaboratori/testimoni di giustizia.

Il "pentito" Giovanni Brusca.

I collaboratori di giustizia (i "pentiti") sono ex membri di organizzazioni criminali o eversive che hanno deciso di uscire dalla malavita. "Pentendosi" danno informazioni alle forze dell’ordine per contrastare l’attività della mafia o di gruppi terroristici. I testimoni di giustizia sono invece cittadini non appartenenti alla mafia o a organizzazioni eversive: sono testimoni o vittime di reati commessi da mafiosi che decidono di denunciare l’accaduto. Entrambi i soggetti forniscono contributi spesso decisivi alle indagini e per questo sono esposti a ritorsioni.

La legge 82 del 1991 - prima in Europa - ha individuato le istituzioni deputate ad organizzare le misure di protezione (la Commissione centrale per la definizione e applicazione delle speciali misure di protezione, il Servizio Centrale di protezione) ed i sistemi di protezione di cui collaboratori e testimoni possono godere: cambio di identità, di residenza, sostegno economico, e (per i collaboratori) benefici nei procedimenti penali a loro carico.

Le modifiche della legge e la sua messa in pratica si sono susseguite nel corso degli anni. Leonardo Vitale, il primo pentito della storia della mafia, anticipò i tempi della legge e venne preso per pazzo per le sue dichiarazioni che risultavano assurde e che solo in seguito ebbero conferma. Ricordiamo i collaboratori storici come Buscetta (il primo a svelare a Falcone i segreti di Cosa Nostra), poi Contorno già nel 1984, Mannoia dal 1989, Mutolo dal 1991, Messina dal 1992, Brusca dal 1997, Calderone a partire dal 1987. Dopo un periodo di scarsa fiducia nella legge del 1991, si è assistito all’incremento del numero dei collaboratori e dei testimoni di giustizia che ha raggiunto il culmine a metà degli anni ’90 (vedi il grafico sottostante).

Nuove ammissioni ai programmi di protezione per testimoni e collaboratori di giustizia. Valori assoluti dal 1992 al 1° semestre 2003.

I primi collaboratori e testimoni hanno però riscontrato diversi problemi relativi ai programmi di protezione: poco sostegno psicologico, difficoltà economiche (il tenore di vita precedente non veniva garantito con la nuova identità), difficoltà ad accedere al sistema sanitario, difficoltà ad iscrivere i figli a scuola, poca discrezione da parte delle forze dell’ordine sull’anonimato. Per contro, l’opinione pubblica non ha accolto positivamente la figura dei collaboratori. La via della collaborazione è stata percepita come una scelta di comodo, una scappatoia per chi, spesso autore di crimini efferati, voleva evitare il carcere e vivere a spese dello Stato.

La normativa del 1991 aveva il proprio limite nell’assimilare alla posizione dei collaboratori quella dei testimoni, non delimitando i tempi della collaborazione e della protezione. Tale limite ha trovato in parte risposta con la legge di modifica 45 del 2001, che ha distinto la figura dei collaboratori da quella dei testimoni di giustizia, ha dato la possibilità di capitalizzare l’indennizzo economico mensile fornito in un’unica somma in modo da poter dare la possibilità ai testimoni di intraprendere una nuova attività economica, ha fissato in 6 mesi il tempo massimo entro il quale devono essere fornite informazioni riguardo alla mafia, ha stabilito in un periodo massimo di cinque anni la durata del programma di protezione.

Questa legge ha risolto alcuni dei problemi rilevati con l’applicazione della legge del 1991, ma ne ha creati altri. Ad esempio, l’aver fissato in 6 sei mesi il tempo massimo entro cui rilasciare le proprie dichiarazioni, risponde sì all’esigenza di evitare il fenomeno delle testimonianze "a rate", ma non permette di utilizzare deposizioni significative fornite oltre questo limite di tempo.

Arrivando ai giorni nostri, in Italia l’attenzione nei confronti della mafia negli ultimi anni è venuta un po’ meno: dopo la triste ribalta ottenuta dalla mafia negli anni delle stragi, lo spazio dedicato dai media al fenomeno si è progressivamente ridotto, eccezion fatta per notizie riguardanti Provenzano, ricercato storico, o per episodi di camorra nel quartiere di Scampia a Napoli. Purtroppo però la mafia continua ad esistere: è solo più subdolamente silenziosa.