Menù
Home
QT
Questotrentino
Mensile di informazione e approfondimento
Utente
Cerca
QT n. 7, 9 aprile 2005 Servizi

Le utopie giovanili viste dai senatori

Secondo il politologo americano Ronald Inglehart, verso la fine degli anni ‘60 e nel corso degli anni ‘70, in seguito alle straordinarie trasformazioni verificatesi nelle società occidentali, è emersa una nuova costellazione di valori. L’evento scatenante sarebbe stata l’innovazione tecnologica: i cambiamenti della struttura produttiva avrebbero spostato il baricentro dell’occupazione dall’industria al terziario, permettendo così, a milioni di cittadini, di smarcarsi dal lavoro manuale e indirizzarsi verso occupazioni impiegatizie ed "intellettuali". Tutto ciò si sarebbe riflesso in uno spostamento delle priorità, dai temi della sicurezza fisica ed economica a quelli della qualità della vita, dell’autorealizzazione, del soddisfacimento intellettuale ed estetico.

Questa frattura è stata espressa anche, usando delle categorie più familiari, nella contrapposizione tra i sessantottini e i loro padri. Tra chi cioè (i padri), avendo vissuto l’incertezza legata agli anni della guerra, si era posto come obbiettivo il raggiungimento di alcuni punti fermi come il posto fisso, la pensione, la sicurezza della famiglia; e chi (i figli), cresciuto in famiglie dove questi obbiettivi erano ormai raggiunti, si slanciava verso altri, forse più alti ideal: la realizzazione di sé, la giustizia sociale, la creatività.

Adesso quei figli sono diventati padri, quei padri cinquantenni verso i quali il direttore di questo giornale si scaglia, nel numero scorso, con l’editoriale "Una generazione che non ha più niente da dire". Il pezzo tuona contro chi sapeva, allora, di rappresentare "il sole dell’avvenire", e si accontenta, oggi, di avere come unico obiettivo la poltrona e i soldi. L’articolo si conclude con una speranza - i trentenni - e con un monito: purché non si rovinino anche loro.

Da qui proviamo a partire, aggiungendo un interrogativo: i cinquantenni di oggi sono diventati come i materialisti di ieri, ma anche i partiti hanno subito la stessa involuzione? Per cercare di chiarire la situazione chiediamo aiuto a due persone che hanno vissuto il ’68 e le cui esperienze politiche sono continuate anche negli anni successivi, Alberto Robol, eletto senatore nelle file dell’Ulivo e Rino Sbop, già segretario del PCI.

Allora, esistono ancora, all’interno dei partiti, identità idealità?

Robol:

Rino Sbop, già segretario provinciale del PCI.
"Credo di sì. Anche se oggi è più difficile di ieri, perché il politico è preso di mira costantemente, grazie anche all’invasività dei media. Non ci si rende conto che i politici vengono lasciati molto soli, anche dai partiti.

Per quanto riguarda le idealità, invece, bisogna sottolineare che la morte di alcuni partiti è stata molto improvvisa e che servono più generazioni per ricostruire un’ideologia. Inoltre il sistema politico di oggi tende a privilegiare il pragmatismo politico, rispetto all’ideologia. La cultura politica viene lasciata molto indietro nei valori della politica di oggi, e questo rappresenta un problema, perché manca un progetto condiviso".

Sbop: "Credo esistano entrambe, anche se in modo diverso da un tempo. Bisogna tenere conto che i partiti e tutte le forze politiche sono cambiate, perché è la società stessa ad essere cambiata, pur tuttavia mantenendo un’alta percentuale di idealità. Voglio fare un esempio: a Mattarello, dove vivo, cosa avrà spinto quindici persone a candidarsi per la circoscrizione? La poltrona?

Detto questo, che ci sia meno spirito di corpo è innegabile, ormai le azioni individuali sono la maggioranza, mentre sarebbe importante ricominciare a ragionare in modo più collettivo".

Qual è il ruolo dei giovani in politica? Hanno spazi dove portare avanti nuove idee, o i meccanismi interni favoriscono solo chi sposa le correnti dominanti?

Robol: "In politica si va avanti se si hanno idee, questa è la mia esperienza e di questo sono convinto. Poi naturalmente ci sono anche forze che giocano in senso opposto. E’ necessario avere coraggio e pazienza. Coraggio nel proporre le proprie idee e pazienza nel realizzarle. Poi la struttura interna dei partiti esiste, e a volte è rigida, ma anche Giovanni Paolo II parlava ai giovani con rigore, non ha mai nascosto i punti fermi della sua dottrina, eppure non si può dire che i giovani con lui non avessero spazi. Esiste comunque il rischio che il partito diventi un sovrapersonalismo, che si identifichi con un uomo solo al comando".

Sbop: "Tutti i partiti (il mio in particolare) sono preoccupati perché ci sono pochi giovani in politica. Bisogna prendere atto che la società è complessa e quindi serve esperienza. Detto questo, credo servirebbe più coraggio per lasciare spazio alle nuove leve. Invece chi ha potere fatica a mettersi da parte, come d’altro canto è sempre stato. Per il resto, non sono tanto convinto che fare il delfino di qualcuno porti ancora dei vantaggi".

I tanti giovani attivisti che fanno politica nel senso più ampio della parola, che vanno ai Social Forum, ai G8, ma poi sentono la politica istituzionale come qualcosa di lontano, all’interno della quale votare non ha senso, sono un universo che bisogna cercare di recuperare, oppure sono una deriva che va mantenuta estranea alle dinamiche partitiche?

Robol: "Credo debba esserci una reciproca disponibilità. La politica non può però diventare istintività. L’ho già detto, serve pazienza e coraggio, bisogna educare ad una cultura del tempo. I giovani vanno educati alla complessità della politica ed ad una politica della responsabilità, non dell’impulsività. E poi bisognerebbe smetterla con la divisione tra politica e volontariato".

Sbop: "Il rapporto va assolutamente recuperato, è fondamentale. I giovani per loro natura sono più portati a seguire le ideologie e le utopie, mentre il mondo ti costringe a mediare. Ma, si badi bene: mediare è naturale e necessario, non è una brutta parola, non è segno di qualcosa di impuro o di sporco. L’atteggiamento però deve essere reciproco: le forze politiche devono agganciare l’idealità e l’utopia dei giovani, ma i giovani devono sporcarsi le mani, sapere che si parte da un mondo imperfetto, altrimenti il mondo non si cambia. Se poi i giornali fanno passare tutti i politici per corrotti - e in questo a volte anche QT esagera un po’, che attrazione si può mai avere"?

C’è il rischio che i partiti rovinino, i giovani?

Robol: "E’ difficile dare una risposta generale. Ognuno fa riferimento al partito dove crede di poter lavorare. Credo comunque che i partiti debbano essere strumento di mutamento e i politici con loro. I giovani vanno accompagnati, serve un circolo virtuoso tra politica e giovani".

Sbop: "Penso di no. Prima di tutto perché non credo assolutamente che tutti quelli che fanno politica siano corrotti: queste considerazioni sono qualunquiste e me le aspetto da chi non crede nella società. Dirò di più: anche qualche giovane si è approcciato al partito dicendo: avete fatto finora solo cazzate, adesso vengo io e vi spiego! Secondo me le cose, da questo punto di vista, sono addirittura migliorate: adesso, quando c’è da scegliere un candidato, contano di più le esperienze amministrative fatte, non le segreterie di partito. I candidati del