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QT n. 8, 17 aprile 2004 Monitor

Il ritorno del Professore

Dopo un periodo di crisi e depressione, curato da un soggiorno in Africa, Roberto Vecchioni ritorna, e sale ancora in cattedra: intenso e ispirato il suo ultimo Cd, e ottimo il concerto "Rotary Club of Malindi".

Il professore torna nella città del Concilio e con "Rotary Club of Malindi", oltre a centrare l’ennesimo bersaglio (tutto esaurito all’Auditorium), sale davvero in cattedra. Dopo due anni di lontananza dalle scene un Roberto Vecchioni in grande forma ha presentato uno dei lavori più intensi e ispirati della sua recente produzione.

Il cantautore milanese (ma napoletano di origine) non ha nessuna remora a raccontarsi nell’incontro avuto con il pubblico nel bar dell’Auditorium prima del concerto: "In seguito a una malaugurata operazione, nel 2002 mi sono letteralmente ammorbato e ho perso la voglia di fare, di scrivere, di parlare con mia moglie e i miei figli. Mi sono ritrovato momentaneamente lontano da tutto e da tutti, senza la forza di andare né avanti né indietro. Una crisi depressiva non va combattuta, perché è una lotta impari: va assecondata. Dopo sei mesi passati a guardare il soffitto, mi sono detto che forse era il posto che non andava e allora ho deciso di andare dove non ero mai stato. Nel Natale del 2002 sono partito per il Kenya assieme alla mia famiglia e lì in Africa sono rinato. A differenza che da noi, lì si sente tutto: il fruscio delle foglie, il mare, la cantilena del muezzin e questo mi ha dato il coraggio di rischiare un po’ come andare a pescare di notte o girare per villaggi interni. Avevo bisogno di procurarmi degli anticorpi e in Africa ho ritrovato un sistema di valori che esiste ancora, fino a capire poi dalle parole di un vecchio masai che la vita è vivere. Da allora la parola disperazione è stata abolita dal mio vocabolario: la vita è talmente grande che sa proporre sempre delle alternative. Purtroppo noi occidentali ci abituiamo a tutto, anche all’amore. Tornato a Milano, ho chiamato Mauro Pagani e ho cominciato a scrivere canzoni ironiche e scanzonate sui ritmi che mi sono portato dall’Africa, e così sono nate canzoni tra il samba e il calypso, come ‘Faccetta rosa’ e ‘Tango di rango’. Lì mi sono riconosciuto e ho cominciato a fare il punto su cosa mi era successo nei brani più intensi dell’album, come ‘Momentaneamente lontano’, ‘Il vecchio e il mare’ e ‘Il libraio di Selinunte’".

La serata dell’Auditorium ci ha restituito un Vecchioni in grande spolvero fin dalla canzone di apertura, quella "Le lettere d’amore" che rappresenta un po’ il manifesto e il senso del concerto, pensato come una serie di lettere d’amore da spedire a qualcuno, andando a pescare tra quei brani che meglio interpretano il senso della parola. Spazio quindi all’intensa "Nini kuna", dialogo tra un Masai e suo figlio sotto la suggestiva cornice della fermata d’autobus africana trasportata sul palco dell’Auditorium direttamente dalla copertina dell’ultimo album.

Con una sapiente alternanza di pezzi vecchi e nuovi la prima parte del concerto mette in evidenza la splendida voce del cantautore, che in questa occasione indugia meno nel parlato e punta molto di più sull’interpretazione. Da segnalare "Vincent", dedicata a Van Gogh, la toccante "Tommy", e uno dei suoi più grandi classici come "L’uomo che si giocava il cielo a dadi". Vecchioni tocca il vertice con "E invece non finisce mai", uno dei brani più significativi dell’ultimo album, e chiude sulle note de "La viola d’inverno", canzone che fa parte del penultimo cd, "Il lanciatore di coltelli".

La seconda parte si apre all’insegna di un evergreen come "Samarcanda" e pesca poi nel passato un autentico gioiello come "Ninni". Due brani come "L’uomo che vorrei", dedicata alla moglie, e "Dimentica una cosa al giorno", per sua madre, danno l’idea dell’intensità del più recente lavoro in studio.

Gli applausi scrosciano a ripetizione su "Stranamore", "La bellezza" e "Gli anni", ma anche sulle sonorità più propriamente etniche delle recentissime "Tango di rango" e "Rotary Club of Malindi". I bis chiudono più che degnamente un gran bel concerto sulle note di "Pagando si intende", "Figlia" e l’immancabile "Luci a San Siro"; peccato sia mancata quella "Hotel Supramonte" con la quale meglio non avrebbe potuto omaggiare la memoria di Fabrizio De Andrè.

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