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Apologia della cicala

Ossia: come evitare il lavoro senza rinunciare allo stipendio.

Le favole che i grandi ci raccontavano quanto eravamo piccoli servivano a molti scopi e per questo ce n’erano di vario tipo. Quelle a sfondo romantico, tipo Biancaneve o Cenerentola, risultavano particolarmente indicate per farci addormentare con l’auspicio di sogni meravigliosi. Poi c’erano le storie più, diciamo, d’azione, come Cappuccetto Rosso, che ci davano dei modelli di comportamento, basilari e utili: ubbidisci alla mamma, vai per la tua strada, non fidarti degli sconosciuti… Infine ci veniva propinata qualche fiaba etica, da cui trarre valori morali indiscutibili: tra queste primeggiava quella della cicala e della formica. Lo so che la sapete già, ma io la rievoco alla mia maniera.

Campagna, sole terso su prati verdeggianti, tripudio di colori floreali e profumi di selva, soavi cinguettii e scrosciar di rivi… Estate. A questo meraviglioso happening periodico della natura due insetti partecipano in modo diverso ed emblematico. La cicala se ne sta a cantare da mane a sera, lasciandosi cullare dalla brezza su un filo d’erba, ispirata da tanto ben di Dio. La formica non ha tempo per queste cose e non fa che trascinarsi avanti e indietro con carichi di cibo da stipare nelle dispense della regina. Viva la formica, abbasso la cicala: questa è la tesi tradizionale accreditata.

E’ facile fare dell’ironia e ribaltare le conclusioni soprattutto alla luce di una scoperta che ho fatto giusto pochi minuti fa su Internet: sapete quanto vive una formica? Qualche mese. Sia lei che la cicala seguono un uguale effimero destino. Alla fine dell’estate la formica ha conseguito in bilancio un utile di esercizio esemplare con lo stato patrimoniale sospinto alle stelle da scorte di magazzino e beni ammortizzabili. La cicala invece non sa nemmeno cosa sia un bilancio. Poi tutte e due crepano. E’ ben vero che grazie alle riserve saggiamente incrementate il formicaio prospererà e da ciò ne trarranno beneficio le generazioni future… Però, pensate: se poi le formiche che verranno continuano a comportarsi così, senza cambiare almeno un po’ lo stile di vita, quando mai una di loro potrà conoscere i sottili e nobili piaceri suggeriti da quello che i nostri antichi romani definivano otium?

Si tratta di un dilemma irrisolto e universale che da sempre accompagna e arrovella l’umanità. Con altri termini se l’è coscienziosamente posto anche un mio amico di vecchia data scrivendoci su un libro imbastito su corollari assolutamente antitetici rispetto alle virtù celebrate dall’apologo in questione: un appoggio senza se e senza ma alla condotta del più scansafatiche per antonomasia tra gli esseri viventi. Forse perché il mio amico è in fondo anche lui una cicala, un musicista, un bravo e versatile jazzman.

Il libro è una sorta di mini-pamphlet, un saggio satirico, un piccolo manuale destrutturante, demolitivo. E’ firmato Anonimo trentino e già dal titolo capiamo molte cose: "Manuale dell’assenteista - come evitare il lavoro senza rinunciare allo stipendio".

Sulla validità di quello che definirei un vademecum essenziale per il lavoratore, è indicativo che il suo autore (dipendente di un ente pubblico) abbia rinunciato alle lusinghe della notorietà mantenendosi rigorosamente nell’anonimato. Leggendolo si capisce il perché: "Nell’ambiente di lavoro pian piano sarete sempre più dimenticati e ignorati, e così potrete finalmente dedicarvi a tutti i vostri interessi, senza essere più disturbati. Di voi assenteisti si dovranno ricordare solo un giorno al mese: il ventisette".

In qualsiasi passo del libro (davvero spassoso per il pungente e azzeccato sarcasmo usato verso i meccanismi produttivi e burocratici) si avverte una prospettiva di analisi e un indirizzo esistenziale profondamente epicurei. Epicuro era quel filosofo che assicurava di possedere la ricetta giusta per vivere felici: accontentarsi dei piaceri immediati, quelli a portata di mano, senza tante pretese, con l’unico vero obiettivo di eliminare il tedio dalla propria vita. Per l’autore il tedio si identifica col lavoro ed è ovvio quindi che la sua preoccupazione consista nello spiegarci come scansarlo ad ogni costo. L’operazione gli riesce tanto bene che durante la lettura del libro può capitarci di non riuscire più bene a distinguere tra paradosso e realtà e di cullarci beatamente nel pensiero che in fondo abbia proprio ragione lui, quel sacramento del mio amico scrittore anonimo, difensore di tutte quelle cicale che non ce la fanno a smettere di cantare.

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