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QT n. 5, 6 marzo 2004 Servizi

Professione: difensore civico

La figura del difensore civico all’ombra dei nuovi rapporti fra politica e amministrazione. Ne parlano Fabio Bortolotti e Gregorio Arena.

Ci siamo già occupati, sul n°3 di Questotrentino (Se il Comune aiuta la volpe a rubare), della relazione conclusiva tenuta dal difensore civico dott. Fabio Bortolotti al termine del suo mandato. Sollecitati da questa relazione per ragionare sul particolare rapporto esistente tra cittadini e burocrazia, abbiamo interpellato lo stesso Bortolotti.

Il dott. Fabio Bortolotti, Difensore civico uscente.

In Trentino la burocrazia (letteralmente il potere degli uffici, in sostanza un potere parallelo e spesso alternativo a quello politico) emerge con un doppio volto, una sorta di doppia lama, pericolosa in un verso e nell’altro. Nei Comuni la nuova legge attribuisce ai funzionari comunali facoltà di gestione precedentemente attribuibili al potere politico, cioè al sindaco e alla giunta. In Provincia invece si assiste sempre più ad un legame stretto tra dirigente e assessore, tanto che il primo finisce per essere il braccio esecutivo del secondo. Sia nell’uno che nell’altro caso non si corre il rischio che a farne le spese siano i cittadini, sempre più lontani da una compartecipazione della gestione del potere?

"Credo sia bene distinguere i due casi. - ci risponde Bortolotti - Nei Comuni i funzionari hanno poca discrezionalità, poiché devono attenersi a precise leggi e norme. In più l’esiguità dei Comuni trentini ha fatto sì che molti non abbiano recepito la nuova legge nazionale del 2000 e si attengano a quella vigente provinciale del 1998 che lascia la possibilità al sindaco e alla giunta di mantenere quelle competenze che nel resto d’Italia e nei nostri Comuni più grandi sono affidate ai tecnici comunali. Tuttavia è vero che spesso il funzionario comunale si rende protagonista di un atteggiamento criticabile e a volte persecutorio nei confronti dei cittadini.

E questo per due motivi: o perché il sindaco in persona interviene sul funzionario affinché renda la vita difficile ad un cittadino a lui non proprio simpatico, magari politicamente, o perché lo stesso funzionario serba vecchi rancori nei confronti del cittadino e non perde occasione per fargli delle carognate, pur limitandosi all’applicazione rigida delle norme. Questo è più pericoloso perché il funzionario non è tenuto, a differenza del sindaco, a dar conto al cittadino in tempo di elezioni.

Mi ricordo un caso di un simile accanimento da parte di un funzionario che costrinse un suo concittadino a farsi 50 km per riscuotere a Trento un rimborso di 50.000 lire che lo stesso Comune gli poteva pagare allo sportello. Solo il parere del Ministero da me interpellato produsse un risultato positivo per il cittadino".

E in Provincia?

"Come dicevo, in Provincia è diverso. Lì il dirigente ha ampia discrezionalità d’azione, oltre la semplice applicazione delle norme come avviene nei Comuni".

Questo non permette una migliore efficienza dell’apparato provinciale?

"Il legame stretto tra politico e dirigente e gli ampi poteri di quest’ultimo non servono all’efficienza. Almeno non in una realtà piccola come la nostra. Il dirigente ha assunto maggiori poteri da quando, sull’onda di Tangentopoli, si è voluto impedire che tutto passasse nelle mani del politico, tangenti comprese. Solo teoricamente l’ampia discrezionalità del dirigente garantisce maggiore efficienza. In realtà in Trentino c’è sempre stata un’amministrazione sostanzialmente corretta, ma come efficienza siamo stati spesso fanalino di coda, perché siamo troppo onesti, o meglio formali. E questo a volte è di freno per l’efficienza. Il formalismo trentino dovrebbe essere progressivamente abbandonato, mentre questa legge aumenta il formalismo assegnando ampi poteri al dirigente. Il potere deve restare politico, perché in Trentino, in fondo, il controllo politico è capillare: tutti sanno tutto di tutti. Le leggi per evitare un’altra Tangentopoli da noi non servono perché, diciamocelo, noi siamo puliti, da noi Tangentopoli non c’è praticamente stata. Questa legge da noi non serve e l’ampia discrezionalità del dirigente peggiora solo le cose, non le migliora. Meglio avere a che fare con il politico, perché con lui si può mediare, visto che poi deve renderci conto al momento delle elezioni".

Cosa può fare il difensore civico di fronte alla burocrazia che avanza?

"Ora può fare poco. In Italia c’è l’orientamento a non attribuire poteri coercitivi al difensore civico. E credo che sia meglio che non li abbia, perché il nostro sistema giuridico non è predisposto per assegnargli tali poteri. Tuttavia un altro potere dovrebbe essere riconosciuto al difensore civico: quello di conciliazione. Il difensore civico dovrebbe diventare una sorta di giudice di pace tra le amministrazioni e i cittadini. Fra 10 anni sarà così, perché anche l’Italia dovrà conformarsi alla legislazione europea e altrove un simile potere di conciliazione è già riconosciuto. Noi non abbiamo la cultura del difensore civico e le amministrazioni lo guardano spesso come un ostacolo, invece che rendersi conto che è una figura super partes, che non vuole colpire le amministrazioni né fare l’avvocato dei cittadini, ma vuole solo garantire ai cittadini chiarezza, anche quando hanno torto. Il cittadino non pretende di aver ragione, ma vuole chiarezza e il difensore civico deve chiederla, anche con forza, questa chiarezza".

E quelli che lei ha definito "cittadini forti" non pretendono invece di aver sempre ragione?

"Certo! Ci sono cittadini che sono in una posizione economica forte, ai quali le amministrazioni concedono tutto. Per esempio: io sono un ricco industriale e voglio allargarmi la casa. Richiedo la concessione edilizia senza chiedere il permesso al mio vicino di casa suo malgrado coinvolto. L’amministrazione me la concede senza curarsi del mio vicino, al quale resta soltanto la possibilità di intraprendere una causa contro di me. Ciò significa soldi da spendere che lui non ha e che io invece ho. Così il vicino desiste e io mi tengo la casa allargata senza nulla temere dalla legge".

Il rapporto tra politica, amministrazione e cittadini, dunque, è stato reso più o meno trasparente e democratico dalle nuove disposizioni legislative? Abbiamo chiesto un parere in proposito al prof. Gregorio Arena, docente di Diritto Amministrativo.

Il prof. Gregorio Arena, ordinario di Diritto Amministrativo ed ex consigliere provinciale (Rete).

Come giudica il rapporto tra politica e amministrazione? C’è il rischio che all’ombra di tale rapporto si sviluppi una burocrazia pericolosa per il cittadino?

"Le leggi che hanno decretato una distinzione tra politica e amministrazione (cioè tra politico e tecnico/dirigente) e che hanno attribuito anche ai dirigenti particolari poteri sono positive, in quanto danno maggiore trasparenza e assegnano maggiore responsabilità a chi ci amministra. Politica e amministrazione devono essere distinte e non divise, perché la politica senza amministrazione diventa pura declamazione incapace di agire, mentre l’amministrazione senza politica si trasforma in tecnocrazia. In realtà sia la politica che l’amministrazione hanno il compito di governare insieme, la prima legittimata dal voto popolare, la seconda dalla competenza specifica. Ovviamente l’amministrazione ha sempre contribuito a governare, soltanto che in passato era la macchina che operava di nascosto, che agiva all’ombra della politica".

Mentre ora?

"Ora invece, o meglio fin dal 1990 e poi con il decreto 29/1993, si è tolto il velo all’amministrazione rendendola visibile a tutti. Così facendo, la macchina amministrativa, che prima operava senza essere vista scaricando alla politica tutte le responsabilità, ora è visibile, è controllabile, dunque è maggiormente responsabilizzata. E questo è positivo, perché i dirigenti devono rispondere ad una doppia responsabilità, sia verso i politici con i quali lavorano e che magari li hanno scelti, sia verso i cittadini che hanno i mezzi (si pensi ai giornali o anche al difensore civico) per lamentarsi e protestare".

Cosa ha comportato a livello pratico questa distinzione tra politica e amministrazione?

"Le faccio un esempio: il numero delle delibere provinciali dei primi anni ’90 è inferiore al numero delle attuali delibere, perché in passato tutto passava in giunta e il lavoro del tecnico veniva sempre firmato dal politico, mentre ora la firma spesso compete al dirigente che in questo modo si assume maggiori responsabilità del lavoro fatto…"

…e quindi sta più attento a quello che fa. Non c’è però il rischio che l’amministrazione, ricevuti simili poteri, ostacoli la politica?

"E’ giusto che l’amministrazione sia distinta dalla politica, perché così è anche garanzia di imparzialità (si pensi al clientelarismo politico); tuttavia bisogna trovare un bilanciamento tra le due parti, affinché il politico non sia ostacolato nelle sue funzioni dal dirigente, né che il dirigente debba sottostare ai clientelarismi del politico di turno. Vede, un dirigente non dovrebbe mai diventare uno strumento della politica, perché legarsi troppo ad un certo politico significherebbe non essere più credibile agli occhi della gente ed anche degli altri politici. Si pensi all’Inghilterra dove il dirigente mantiene fortemente questa autonomia ed è in grado di lavorare bene sia con un governo laburista che con uno conservatore.

Ma questo necessita prima di tutto di un elevato grado di etica pubblica, sia da parte del politico che del dirigente.

"Certo. Non tutto può essere ricondotto e risolto con le norme giuridiche. L’etica e la moralità pubblica sono fondamentali per garantire quella trasparenza di cui si parlava prima, anche se è più facile a dirsi che a farsi. Ad esempio, la figura del difensore civico richiama ad una maggiore cultura etica. Nei Paesi scandinavi dove è nato, il difensore civico riveste un ruolo importante nello smussare gli angoli del rapporto tra cittadini e amministratori, perché lì c’è una forte cultura etica. Il parere del difensore civico viene molto considerato da parte delle amministrazioni, perché porta la voce dei cittadini sovrani, mentre da noi i cittadini sono solo utenti, se non semplici "amministrati". La cultura gerarchica italiana ha tolto incisività al difensore civico, che se è lasciato solo non conta più di tanto. Questa figura pesa di più dove è sostento dai cittadini, dai giornali, dove c’è una cultura della sorveglianza pubblica sulla politica e sull’amministrazione. In Trentino i cittadini hanno notevoli aspettative nei riguardi di chi li amministra e non hanno paura a farsi sentire, magari utilizzando i media. E questo aiuta il difensore civico, che diventa una figura con la quale le amministrazioni devono fare i conti".

Si crea così un circolo virtuoso che a partire dal sentimento etico dei cittadini genera ulteriore cultura etica.

"Sì, si innesca un meccanismo che rafforza questa cultura e con essa le garanzie dei cittadini di fronte a quella che altrimenti può diventare vera e propria burocrazia".