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QT n. 4, 21 febbraio 2004 Servizi

La nostra seconda casa, sempre più trascurata

Il bosco e la forestazione: una crisi annosa, con qualche - timido - cenno di soluzione.

Le foreste, la seconda casa dei trentini, ci dicono i manifesti della Provincia. Ma questa affermazione oggi è poi così vera? Non si direbbe, leggendo i recenti resoconti giornalistici delle sessioni forestali nei comuni. In queste sessioni i servizi forestali illustrano ogni anno agli amministratori e ai cittadini le scelte che vengono operate sul patrimonio forestale e pascolivo dei comuni e delle ASUC. Fino a qualche decennio fa erano un momento di confronto vissuto, a volte severo, dove contadini e boscaioli intervenivano per far sentire le loro ragioni, dove i conflitti diventavano momento di approfondimento culturale. Oggi, nonostante gli inviti alla partecipazione estesi ai cacciatori, le presenze sono sempre più rare: a malapena si presentano i vari assessori alle foreste, sembra che i boschi siano divenuti una realtà marginale del vissuto delle nostre valli. 

Un altro dato è emerso: gli amministratori dei comuni lamentano come il bosco non sia più produttivo, non porti più entrate importanti nelle casse dei comuni. Infatti, ormai da oltre un decennio, il nostro legname, anche in località dove il prodotto è di qualità pregevole, subisce un deprezzamento preoccupante. Dagli stati dell’Est arriva infatti legname a prezzi stracciati, e inoltre i nostri versanti, come quelli austriaci e svizzeri, sono devastati da continui eventi atmosferici catastrofici che causano schianti anche in peccete giovani, e i piani selvicolturali devono subire improvvise modifiche nella gestione delle assegnazioni. 

Davanti a queste incertezze e alla minore reddittività del legname, troppi amministratori divengono insofferenti verso il patrimonio forestale, non riescono a leggere nel bosco altre possibili ricchezze, che invece esistono: il valore naturalistico, quello paesaggistico e ricreativo con relativo indotto nel turismo, il valore della sicurezza idrogeologica che permette l’abitabilità di tutte le nostre vallate, il valore di regimazione delle acque. Il bosco viene letto solo come azienda e come tale percepito in una gestione definita sempre più spesso fallimentare.

C’è da dire che tutti questi segnali di crisi erano ben presenti da ormai un ventennio: dopo i primi anni Novanta il progetto legno avviato dalla Provincia è entrato nelle secche di sterili, inutili confronti al tavolo forestale (imprese, organizzazioni sindacali, servizi provinciali) e non si è così riusciti a dare ulteriore impulso alle emergenze che nel frattempo diventavano strutturali. 

Oggi qualcosa si sta muovendo, ma in modo disordinato, a volte impulsivo. Le realtà di proprietari pubblici e privati più piccoli stanno provando ad associarsi per avere più forza, almeno nella commercializzazione della materia prima. 

Altri, la Magnifica Comunità di Fiemme, sta provando ad assorbire tutti i comuni della valle con la finalità di costruire una società di tipo privatistico nella gestione dei boschi, e si è arrivati a parlare di S.P.A. L’ente Comunità già ha poca credibilità nella gestione della sua segheria, poca trasparenza, investimenti sempre ritardati, assenza di innovazione... Immaginiamoci se può risultare credibile affidare a questo ente, o a delle sue emanazioni di carattere privatistico, la gestione di un bene collettivo tanto strategico. In pratica, non contenti di espropriarci del patrimonio idrico, si cerca di privatizzare anche il bene patrimoniale e demaniale delle nostre foreste. 

Con maggiore maturità la Camera del Commercio si accorge che il problema non è riconducibile solo all’ambito della coltivazione e produzione della materia prima. Nel Trentino mancano le grande aziende di prima trasformazione e specialmente quelle di seconda, mancano cioè le aziende che producono maggiore valore aggiunto. Non ci sono più imprenditori che investano nel settore e che mantengano in provincia le lavorazioni del legname. Dai boschi arriva materiale con misure inadeguate, siamo fermi ai classici due e quattro metri di cento anni fa, quando invece le segherie chiedono travature e lunghezze maggiori. Il legno arriva in troppi casi ormai parzialmente deperito, attaccato da parassiti perché è rimasto fermo troppo tempo in bosco e nei piazzali, quando l’esigenza è invece quella di avere prodotto fresco. La commercializzazione non può essere tanto parcellizzata in una miriade di piccoli comuni e ASUC proprietarie, ma ha bisogno di aggregazioni e di offrire scelte di prodotto di alta qualità, garantito da marchi che certifichino non solo la naturalità del prodotto, ma anche la qualità della fibra. 

I boscaioli, sempre più rari, in troppi casi approfittano delle urgenze dei proprietari per la raccolta del legname schiantato imponendo prezzi di fatturazione esosi.

Da questa comunque incompleta descrizione delle difficoltà del settore emerge con chiarezza come non sia più sufficiente promuovere un Progetto legno come quello concepito quindici anni fa. E’ necessario coinvolgere tutte le parti protagoniste nella gestione della filiera del legno in un nuovo disegno, o patto, che riesca ad offrire risposte a tutti: partiamo dalle esigenze di redditività reclamate dai comuni, per passare a quelle legittime dei boscaioli e per arrivare ad investire in nuova imprenditoria, ma specialmente in ricerca di alto profilo. 

Qualche risultato positivo non manca: a Tesero l’impresa Deflorian ha ottenuto importanti commesse dai cantoni svizzeri nel campo della sicurezza stradale (guard-rail in legno collaudati e di alta efficacia su tutta la viabilità confederale), alcuni piani regolatori che riscoprono il legno, la bioedilizia che faticosamente si va affermando. Ma è ancora troppo poco. 

Si dovrebbe ritornare ad avere, anche nelle periferie, una classe di amministratori più efficaci e preparati. Fino ad oggi, spesso diventa assessore alle foreste il consigliere cacciatore, il cui unico problema è quello di assicurarsi la garanzia di avere le strade forestali aperte nella stagione venatoria. 

E’ necessario superare il momento pubblicitario del bosco nostra seconda casa per farlo divenire realtà. Gli esempi virtuosi devono partire dalla Provincia. Ma fintanto che da questo ente i messaggi sono opposti, con boschi sacrificati per nuove piste da sci a Folgaria, a Pinzolo, in Val della Mite o a Daolasa come a Moena, fintanto che si usano soldi pubblici (all’80%) per finanziare depositi di legnami che diventano poi parcheggi per le stazioni sciistiche, non si può certo trovare nelle valli quella forza, quelle energie, quelle motivazioni oggi necessarie a riportare il bosco protagonista della nostra vita.