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Sironi, la Grande Decorazione

Schizzi, bozzetti e cartoni per i lavori monumentali commissionatigli dal Regime. In mostra alla Pinacoteca di Bologna.

Mario Sironi (1885-1961) fu, tra gli artisti di Novecento, quello che più di tutti spinse per un ritorno ai modelli quattrocenteschi di decorazione in gran formato. La pittura murale, la vetrata e l’ancor più antico mosaico furono tecniche predilette da Sironi per dar voce alla propaganda di regime in una dimensione corale, di massa, come un tempo venivano usate dalla Chiesa per indottrinare i fedeli.

Mario Sironi, "La Giustizia" (mosaico, 1938). Milano, Palazzo di Giustizia.

La mostra ospitata alla Pinacoteca Nazionale di Bologna fino al 7 marzo prende in esame questa produzione in gran formato, ovviamente non con le opere finite (da vedersi sul posto laddove superstiti), ma tramite una serie di schizzi, studi, bozzetti e cartoni (frammenti a grandezza naturale, da riportare poi con varie tecniche a parete) preparatori. Dalla fine degli anni Venti all’inizio dei Quaranta, queste vaste imprese furono uno dei principali veicoli di propaganda del fascismo, come si può leggere tra le righe del Manifesto della pittura murale scritto da Sironi nel 1933 e firmato anche da Campigli, Carrà e Funi: "L’arte tornerà ad essere quello che fu nei suoi periodi più alti e in seno alle più alte civiltà: un perfetto strumento di governo spirituale". Simili considerazioni, sia chiaro, non furono prerogative di un’arte fascista: negli stessi anni - ma su fronti opposti - i muralisti messicani diedero vita una stupenda serie di opere il cui intento era lo stesso stabilito da Sironi: il rifiuto dell’arte da cavalletto, la spinta per una dimensione pubblica dell’opera.

I primi grandi lavori di Sironi datano 1928, e si riferiscono al Padiglione per il Popolo d’Italia (il giornale del Regime) alla Fiera di Milano e il Padiglione Italiano all’Esposizione della Stampa di Colonia. Già in queste prime opere si riscontra quello che sarà il quid sironiano in questo genere di opere: una pietrificata classicità erede dell’esperienza di Novecento unita ad un’evidente influenza modernista del costruttivismo russo. Per quanto riguarda i temi, essi rimandano al repertorio già sperimentato nella feconda attività pittorica e illustrativa: il tema del lavoro, il mito, il paesaggio urbano moderno.

Le opera pubbliche, come le antiche cattedrali, sono il frutto di una collaborazione tra più maestranze. Un simile dialogo tra saperi tecnici è alla base di molti lavori di Sironi, come la grande vetrata La Carta del Lavoro (1932), da lui progettata ma poi eseguita da abili mastri vetrai per il Ministero delle Corporazioni (oggi Ministero delle attività produttive), o gli innumerevoli casi in cui la decorazione scaturì dalla progettazione stessa degli edifici, frutto di una sintonia tra artista ed architetto.

Nel 1932 Sironi ottiene l’importante incarico di allestire quattro ambienti alla Mostra della Rivoluzione Fascista, trionfo della propaganda di regime in chiave estetico-religiosa e uno dei più riusciti casi di manipolazione mediatica delle coscienze, se si pensa che i visitatori furono oltre 4 milioni. Gli ambienti progettati da Sironi furono una celebrazione astorica di Mussolini e del fascismo memore di suggestioni costruttiviste nelle forme come nelle tecniche impiegate (elementi architettonici, scritte cubitali, fotomosaici…).

Di lì a breve diresse la V Triennale di Milano, per la quale eseguì una vasta pittura murale per il salone d’Onore titolata Il lavoro, un’opera intrisa di mito e mistero, poi distrutta visto il carattere effimero della mostra.

Abbiamo ricordato come Sironi seppe dialogare con l’architettura. Un dialogo che non si rivolse solo alle moderne forme di classicismo architettonico (come quelle di Munzio o di Piacentini), ma che seppe guardare al razionalismo più marcato, come quello di Terragni, anche se queste opere - come il Palazzo del Littorio sulla via dell’Impero o il Danteum, tempio dedicato a Dante - non videro infine la luce.

Con Marcello Piacentini la collaborazione fu più fortunata. Tra le opere più sentite da Sironi scaturite da questo incontro è L’Italia tra le Arti e le Scienze, eseguita per l’aula magna della nuova Città Universitaria di Roma, opera densa di riferimenti politici alla situazione imperiale italiana e caratterizzata da un forte simbolismo, assente nei lavori precedenti.

Altri importanti lavori furono il mosaico L’Italia corporativa, realizzato nel 1936 per lo scalone della VI Triennale (oggi presso il Palazzo dell’informazione); l’affresco raffigurante Venezia, l’Italia e gli Studi realizzato per l’Aula Magna di Ca’Foscari a Venezia e caratterizzato da una marcata statuarietà delle figure; l’affresco (1936-8) sull’edificio piacentiniano della Casa dei mutilati di guerra a Roma, ritraente Vittorio Emanuele III e Mussolini a cavallo, un’iconografia che rimanda ai monumenti equestri rinascimentali; il mosaico, documentato in mostra da una serie di cartoni, raffigurante La Giustizia fiancheggiata dalla Legge (1936-9). In quest’opera i caratteri sironiani di fermezza e solidità sono spinti al massimo grado, pur in una leggerezza luminosa e astratta data dall’antica tecnica musiva.

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