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QT n. 20, 22 novembre 2003 Servizi

E gli studenti che dicono?

Quattro giovani si confrontano sui risultati della nostra inchiesta.

Riprendiamo le nostre considerazione riguardanti il questionario rivolto agli studenti universitari apparso sul n°18 di Questotrentino (Sondaggio fra gli universitari: il liceo cosa mi ha dato?) intervistando al riguardo quattro studenti: Rossella Piazzera e Anna Filippi (Liceo psico-socio-pedagogico "Rosmini"), Michela Rizzi (Geometri "Pozzo") e Alessio Sandri (Liceo scientifico "Da Vinci").

Dal questionario emerge una valutazione positiva della scuola da parte degli studenti trentini, che le attribuiscono il ruolo di principale agenzia culturale. La cultura stessa è poi considerata

molto importante per la propria vita da quasi tutti gli intervistati. Per noi questo non è un dato scontato. E per voi?

Michela: A scuola si passa molto tempo fin da piccoli, perciò è ovvio che sia un fattore molto importante per la vita di un ragazzo.

Alessio: Io sono sorpreso dai dati. Lo sono perché ogni giorno mi scontro con il menefreghismo degli studenti: altro che alto valore attribuito alla cultura! E poi la scuola stessa è spesso incapace di rapportarsi con il mondo esterno. Com’è possibile che i giovani considerino la cultura così importante e poi disertino gli incontri delle assemblee d’istituto su temi come le pensioni o il lavoro?

Anna: Io personalmente non vado alle assemblee perché si è perso il valore che avevano negli anni passati. E allora preferisco impiegare quel tempo per studiare.

Michela: Gli stessi rappresentanti hanno poca capacità di trascinare. L’assemblea diventa barbosa, senza portare a nulla di forte.

Tralasciamo il discorso delle assemblee; come si estrinseca l’interesse culturale degli studenti anche al di fuori della scuola? Con letture, seguendo l’informazione in tv…?

Alessio: Secondo me non c’è interesse verso la cultura, né voglia di relazionarsi con il mondo esterno. C’è troppa ignoranza.

Rossella: La cultura dovrebbe essere dentro la scuola. Noi vorremmo un maggior collegamento con i fatti che avvengono nel mondo. E’ questo che chiediamo ai professori.

Cosa e quanto leggono i vostri coetanei?

Michela: Poco. Né quotidiani né libri. C’è un rifiuto veramente forte.

Anna: Noi facciamo la lettura dei quotidiani in classe. Però è vero, se dici che passi il tempo a leggere ti guardano male, ti chiedono se non hai qualcosa di meglio da fare.

Alessio: I giovani una volta avevano un alto grado di analisi della realtà. Manca la lettura d’approfondimento, anche tra chi è impegnato magari politicamente. Si preferisce la lettura del disimpegno, frivola, come ad esempio i fumetti Manga o i giornali sportivi.

Michela: Tra noi non si discute mai di libri, si preferisce parlare magari di calcio. Anche gli inviti dei professori a leggere non vengono ascoltati.

Secondo il questionario quasi il 50% degli studenti se potesse tornare indietro studierebbe di più, soprattutto materie umanistiche. Vi ritrovate in questo dato?

Michela: Da noi (Geometri) si punta molto sulle materie tecniche rispetto alle altre, e forse è anche giusto visto che la nostra scuola deve preparare al lavoro. Gli studenti sentono la mancanza dello studio umanistico per lo più alla fine del corso, negli ultimi anni, anche se molti insegnanti provano a stimolarli fin dal biennio.

Anna: Da noi invece (Magistrali) si studiano meno le materie scientifiche, perciò se in futuro mi chiedessero quali materie dovrei approfondire, risponderei quelle scientifiche.

Gli studenti denunciano carenze nell’insegnamento dell’informatica. La scuola sta correndo ai ripari?

Anna: Chi ha risposto al questionario ora è già all’università ed effettivamente negli anni passati la scuola non copriva le lacune informatiche, mentre ora la nostra scuola, ad esempio, ha introdotto l’informatica obbligatoria fin dal primo anno.

Alessio: Io sono in quarta e pur facendo un indirizzo informatico la mia classe non è quasi mai entrata in laboratorio. Fosse per la scuola… Anche se è vero che è più importante che un liceo dia una cultura umanistica e soprattutto un metodo. Gli strumenti si possono imparare anche in altre sedi.

Anna: Non sono d’accordo, perché adesso chi non è capace di usare un computer è fuori. E la scuola deve rimediare.

Michela: Da noi la situazione è migliore, visto che l’informatica si studia di più anche grazie ai corsi pomeridiani come quelli di Autocad o per l’ECDL (la patente europea del computer, N.d.r.).

Le discrepanze tra le opinioni espresse con il sondaggio e la vostra esperienza, sta forse nel fatto che molti si accorgono dei vari limiti delle superiori quando poi arrancano all’università. Inoltre, fin dal passaggio dalle scuole medie alle superiori, c’è una selezione, tanto che chi esce dalle medie con buoni voti preferisce il liceo. C’è, secondo voi, chi nonostante tutto è migliorato nei 5 anni grazie alla scuola superiore?

Anna: Per quanto riguarda il metodo di studio, incidono già le medie. Personalmente, lo studio della psicologia fatto alle superiori mi ha aiutato. Ma poi dipende anche dallo sviluppo di maturazione personale.

Rossella: Io mi sono accorta che alcune amiche sono indubbiamente migliorate alle superiori, recuperando le lacune che si portavano dietro dalle scuole medie.

Michela: Concordo con loro, anche se ci sono molti che a scuola non vedono l’ora di finire, senza brillanti risultati. Il fatto è che troppi sottovalutano il carico di lavoro degli istituti tecnici, e vi si iscrivono pensando di poter studiare poco: e invece c’è da lavorare, e molto, e per questo da noi c’è un’elevata selezione fin dalla prima.

Alessio: Io posso dire di aver visto crescere l’interesse alla cultura in alcuni miei compagni grazie alle materie umanistiche e anche all’esempio positivo di alcuni insegnanti.

Come ha scritto Silvano Bert, commentando i dati sul n°18 di Questotrentino (Allora la scuola va bene com’é? Non proprio...), lo status sociale e culturale della famiglia incide sulle scelte e sul risultato scolastico del figlio. Siete d’accordo con questa osservazione, considerando che proprio la scuola ha il compito di ridurre le differenze di partenza fra i cittadini?

Anna: E’ un po’ un’utopia, visto che la famiglia dà un’impronta decisiva. E cambiano le cose se i tuoi genitori hanno fatto solo le elementari o se hanno la laurea… Tante volte infatti sono gli stessi genitori ad indirizzare il figlio verso una determinata scuola.

Alessio: Io credo che la scuola pubblica sia un baluardo dell’egualitarismo sociale, ed è una risorsa perché mette sulle stesso piano studenti che provengono da classi sociali diverse, garantendo a tutti la possibilità di arrivare a conseguire qualsiasi traguardo. Almeno questo prima della riforma Moratti…

Michela: Ok, anche se le differenze sociali si sentono comunque. Da noi molti hanno il padre imprenditore e fanno la nostra scuola per proseguire dopo in quella professione.

Visto che in base ai risultati del questionario la scuola sembra rivestire una parte importante per i giovani, pensate che la scuola a tempo pieno possa avere un ruolo significativo per rispondere proprio a quel compito di ridurre le diseguaglianze di partenza?

Alessio: Per vivere una scuola a tempo pieno si dovrebbero introdurre nuovi contenuti, aprendola ai fermenti culturali esterni. Ma questa deve essere una proposta proveniente soltanto dagli studenti (come abbiamo fatto al Da Vinci), e non istituzionalizzata.

Anna: Non sono del tutto d’accordo. Una scuola a tempo pieno ti toglie il tempo per studiare e mantenere buoni voti. Per questo una riforma di questo genere andrebbe istituzionalizzata per conciliare studio e altre attività.

Alessio: Bah, la mancanza di tempo è solo un alibi degli studenti. Si può arrivare a studiare e a fare tante altre cose, basta voler lavorare.

Anna: Per alcuni forse è solo un alibi, ma non per tutti.

Michela: In una scuola a tempo pieno si dovrebbero inserire le altre attività che gli studenti svolgono, come ad esempio quelle sportive, perché spesso scuole e associazioni non si riconoscono reciprocamente. E sbagliano.