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Governare senza il potere

Il difficile, prudente cammino del presidente brasiliano Lula. Da Qualevita, bimestrale di Torre dei Nolfi (L’Aquila).

Per capire l’amministrazione Lula dobbiamo partire da due premesse: non si è fatta una rivoluzione, ma si è vinto una elezione; non si è arrivati al potere, ma al governo. Una rivoluzione mette a zero non solo il carattere del governo, ma anche la natura del potere. Si comincia stigmatizzando gli avversari come nemici, i critici come traditori, e alle volte - da Robespierre a Mao - mettendo a tacere con la morte quelli che si oppongono al progetto rivoluzionario.

Vincere una elezione è molto diverso. Significa rispettare il gioco democratico che favorisce la disputa tra partiti e candidati portatori di progetti e ideologie in conflitto.

Anche se non si ignora il peso delle strutture borghesi, soprattutto la discrepanza tra candidati regalmente finanziati e quelli che mendicano voto a voto, la democrazia rappresentativa (inconclusa fino a che non diviene partecipativa) non sopporta rotture brusche e neanche l’eliminazione sommaria delle sue proprie regole, a meno che la rinuncia al gioco democratico spinga ai margini della legalità la lotta politica e faccia adottare, al posto della disputa, lo scontro, come è successo nella Russia nel periodo tra 1905 e 1917.

Lula ha vinto una elezione, superando preconcetti ed opposizioni, compresa l’opposizione finanziaria della oligarchia brasiliana. Ma non si era proposto di fare una rivoluzione e neppure di sopprimere le regole della legalità borghese, contrarie alla vittoria del PT (Partito dei lavoratori). Ha vinto perché la sofferenza della maggioranza della popolazione ha generato la speranza che lui incarna e rappresenta. La speranza ha vinto la paura di un nuovo colpo dei militari, di una interferenza diretta del polo imperiale (come è successo recentemente in Venezuela), del Fondo Monetario Internazionale, dell’acefalia governativa (a somiglianza dell’Argentina), e ha vinto infine la paura che il governo di un paese come il Brasile non potesse stare nelle mani di un uomo di sinistra.

Il PT potrebbe da molto tempo avere radicalizzato la sua strategia politica, come volevano le fazioni di sinistra. Ma non è stato concesso a queste ultime di indirizzare i cammini del partito.

Due altri segmenti hanno avuto forte influenza nella definizione del carattere del PT: il sindacalismo di lotta oggi rappresentato dalla CUT (Centrale Unica dei Lavoratori), e la pastorale della Chiesa, specialmente le comunità di base. Lula ha innovato il sindacalismo rompendo con il sindacato addomesticato e obbediente alla dittatura militare e adottando la negoziazione come tattica politica. Anche nei periodi più difficili, come negli scioperi generali che hanno segnato la storia della resistenza operaia, Lula non ha mai rotto i ponti del dialogo con la classe imprenditoriale. Per questo hanno sospettato perfino che fosse manipolato dalla CIA, o da altri interessi ignobili. La storia però ha dimostrato che, al contrario dei suoi critici più settari, Lula era un uomo del suo tempo. Non ha ceduto alla nostalgia rivoluzionaria del periodo della democratizzazione della nazione, e neanche all’ideologismo di fronte al popolo che, imbevuto di etica nella politica, ha portato il presidente Collor all’impeachement.

Rio de Janeiro.

Lula ha mantenuto i principi che hanno formato e strutturato la sua traiettoria politica. Nonostante le tre volte che ha perduto le elezioni presidenziali, è diventato lui sì signore del tempo, per innalzare il suo protagonismo nella storia. Dei movimenti della pastorale, che agiscono più per consenso che per dispute (non ci sono tendenze strutturate) ha conservato la pazienza nel cucire gli appoggi e coltivare le utopie.

Senza comprendere la sua indole politica è difficile sintonizzarsi con il ritmo che sta imponendo alle riforme che farà. Non cederà mai a quelli che sono ansiosi di vedere la casa costruita a partire dal tetto. Come metalmeccanico, ha imparato che i pezzi funzionano bene soltanto se sono derivati di un prototipo che esige precisione e cautela.

a seconda premessa per capire l’attuale amministrazione è che si è arrivati al governo e non al potere. E questo governo deve essere tessuto con fili vigorosi sia nella base sociale che al vertice delle istituzioni, che non si rompono né si modificano semplicemente con il cambiamento dei governanti. Al vertice, il potere è solito superare frontiere nazionali (vedi il capitale speculativo), convenzioni internazionali (vedi l’attacco all’Iraq), e, alle volte, il mercato, che dal punto di vista del potere finanziario, non si concilia con l’utopia di Platone, con le ricette di Machiavelli, con l’ingegneria politica di Montesquieu e neanche con le analisi di Gramsci. Nella base sociale abita il potere dei movimenti organizzati, capaci di mobilitare ampi settori della popolazione e creare consensi intorno alle sue proposizioni strategiche.

L’ingegneria politica del governo Lula dipende soprattutto dalla sua capacità di dare consistenza politica e amministrativa alle domande di questo polo di potere. Sarebbe bello che le promesse della campagna elettorale diventassero realtà con un colpo di bacchetta magica. Ma alcuni mesi sono insufficienti per far cambiare direzione a una macchina costruita per non favorire la maggioranza della popolazione.

La conduzione della politica economica, in cui sarà fondamentale evitare il ritorno della spirale inflazionistica, mira in sostanza, attraverso il dibattito ed il confronto parlamentare, ad ottenere un sufficiente appoggio ai programmi sociali che stanno per essere definiti con molta attenzione e che dovranno portare al Brasile i cambiamenti sostanziali desiderati.