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Attenzio’, concentrazio’, Bandabardò!

Passione, energia, buonumore al Palazzetto di Rovereto. "Solito" successo dei Bandabardò, ormai ai primi posti anche nelle vendite.

La Bandabardò è arrivata sull’Olimpo. Ai concerti sempre più gente che suda, salta e canta i loro testi a memoria, nei negozi un cd, l’ultimo, " Bondo Bondo", arrivato ai primi posti della classifica vendite e adesso una tournée in Spagna, Paese particolarmente sensibile ai ritmi indiavolati (vedi alla voce Manu Chao, Sergent Garcia, Macaco, Tonino Carotone, Cafe Quijano).

Sono lontani i tempi, quasi settecento concerti fa, in cui vincevano il Premio Ciampi (dedicato non al nostro presidente ma a Piero, cantautore maledetto) con i loro disco d’esordio, "Il circo mangione" (’96). Ma a tutt’oggi conservano intatto lo spirito romantico e bohémien degli esordi, quando Enrico "Erriquez" Greppi, una specie di Cristo fricchettone dalla voce di velluto, decise di formare un gruppo con A.M. Finaz, chitarrista fenomeno con una laurea in filosofia. E’ in questa alchimia di suoni, coadiuvata da una sezione basso-percussioni-batteria che macina ritmo, che sta il segreto della miglior band italiana.

La loro è musica folk, o meglio ancora musica zingara, che con le sue armonie travolgenti richiama il musicista zingaro più geniale di sempre, Django Reinhardt, il chitarrista franco-gitano che inventò un genere tutto suo, dove al ritmo swing e indiavolato si aggiungeva una raffinata ricerca melodica. Questo dal punto di vista musicale, mentre nei testi è evidente il richiamo della Bandabardò alla canzone d’autore italiana e francese (De André, Brassens e anche Battisti).

Per quanto riguarda il concerto, tutto come al solito, se per solito intendiamo passione, energia e buonumore. Con una sorpresa finale: dopo alcune stoccate a Silvio, Cavaliere di Arcore, arriva inaspettata una versione de "Il giudice", la splendida ballata di De André che parla di un tale che sfrutta la legge per i propri interessi, "arbitro in terra del bene e del male". Immaginiamo che ogni riferimento all’omino di Palazzo Chigi (" …e allora la mia statura non dispenso più buonumore") non fosse totalmente casuale.

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