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Il centometrista Cocciante, il maratoneta Webber

A proposito del musical "Notre Dame de Paris": perché un buon cantautore può essere un pessimo autore di opere.

Qualche sera fa hanno dato in tv quello che gli spot pomposamente preannunciavano come l’evento televisivo più eccezionale, grandioso, sublime... alla RAI sono maestri nel ripescare gli aggettivi più in voga alla corte di Bisanzio. Effettivamente Notre Dame de Paris ha fatto parlare di sé: dopo una fortunata tournée in Italia si è accampata all’Arena di Verona attirando folle di musicofili e curiosi, superiori di numero a quelle dei melomani tradizionalmente richiamati dai repertori verdiani e pucciniani...

Quando gli esiti di uno spettacolo sono esageratamente trionfalistici io non mi fido. Non so bene perché, so che sbaglio, diciamo che è un mio limite. Un limite di cui sono consapevole e che talvolta mi sforzo di superare. Così ho provato a seguire il capolavoro in tv. Confesso che non ce l’ho fatta ad ascoltare in toto più di 15 minuti di quella roba, sospinto dalla noia a un irrefrenabile zapping. Mi sono sentito più a mio agio quando sono capitato nella trasmissione della maga Paciaroni che, straordinariamente in forma, decantava assieme alle sue doti paranormali quelle più spicciolamente palpabili: "Aò ragazzi, c’ho un corpo statuario io, guardate che roba (zoomate sullo spacco e sul decolletè), altro che quelle quattro sgallettate che so’ tutto ossa..." e via di questo passo, grande!

Invece nello spettacolo "dopodiché la musica non sarà più la stessa" (sic sui cartelloni pubblicitari che hanno infestato Verona) non si rideva come dalla Paciaroni: c’erano delle belle coreografie, dei bravi figuranti e giocolieri (ma anche al circo ce ne sono), tanti effetti speciali (ma anche al cine e nei grandi concerti rock ce ne sono)... e c’era la musica, firmata Riccardo Cocciante. Noiosa.

In un’ardita e sommaria metafora sportiva la canzone è i cento metri, l’opera (assimiliando il musical e l’operetta) la maratona. Occorrono doti e allenamenti diversi, specifici per affrontare le due specialità atletiche: sempre di corsa si tratta, ma il centometrista deve concentrare lo sforzo per dare il massimo in pochi secondi, il maratoneta dosa le energie nell’arco di 42 chilometri adottando una strategia di lungo respiro: senza strategia "scoppia". La mia impressione è che Cocciante fosse scoppiato fin dalle prime battute.

Riccardo Cocciante.

Comporre un’opera non è inventarsi una canzone. Cocciante è un grande cantautore. Nei suoi brani migliori è riuscito, come pochi altri, a condensare emozioni e a trovare le dinamiche per essere espressivo e intenso: La notte e Quando finisce un amore (ancor più della celebre Margherita) sono modelli originalissimi e insuperati di animalità musicale: innata, potente, immediata. Ma gestire il materiale sonoro di un’opera significa possedere anche altri talenti. E serve soprattutto cultura, perché attraverso lo studio delle risorse musicali a disposizione, e di come i predecessori le hanno gestite, è possibile sviluppare le strategie, le prospettive, il progetto per conservare alta la tensione, per mantenersi narrativamente interessanti, per non farsi mancare il fiato, e perciò... non annoiare.

E’ ben vero che la storia della musica annovera qualche ossimoro di centometrista- maratoneta: parecchi autori di opere, operette e musical americani provengono dalla canzone. Però Kern, Rodgers (per non parlare di Gershwin) non erano solo abili canzonettari, ma sapevano scrivere partiture, dirigere orchestre, praticavano il Jazz ma conoscevano profondamente anche la musica che li aveva preceduti. Erano, in una parola, colti. E colto, ma pure fresco, versatile, vulcanico è il musicista inglese contemporaneo, di matrice pop, Andrew Lloyd Webber, quello di Jesus Christ Superstar, di Cats, del Fantasma del palcoscenico e di altri pregevoli lavori (tra cui uno stupendo Requiem). Webber ci ricorda che è possibile fare musical e opere con grandi storie, grandi coreografie, grandi effetti... ma specialmente con grande musica.

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