Salute e libertà
Un ricordo di Gabriele Bortolozzo - premio “Alexander Langer” 2003 - che tutta la vita lottò per la salute in fabbrica.
Lavorò e lottò per la salute in fabbrica per tutta la sua vita. Contro un killer all’inizio sconosciuto, il cloruro di vinile monomero, e poi misconosciuto, per ragioni di profitto e per disprezzo della salute umana, contro imprenditori senza scrupoli, contro il sindacato impreparato e ostile. Isolato e mobbizzato, ma sempre sereno e pieno di gioia di vivere, per decenni portò avanti il suo impegno civile, la responsabilità personale a favore di tutti.
Gabriele Bortolozzo è il primo premiato italiano della Fondazione "Alexander Langer". Un premio alla memoria, che è stato concretamente attribuito all’associazione che porta il suo nome e ne ricorda e porta avanti gli ideali, un’associazione voluta dai figli Beatrice e Gianluca. Quella di Bortolozzo è una storia esemplare, oggi che le tutele per i lavoratori e le lavoratrici sul posto di lavoro, nonostante le leggi, si stanno allentando, per effetto della mancanza di stabilità e insorgono incertezze anche fra coloro che di per sé dovrebbero stare dalla parte dei diritti dei più deboli.
Il Pubblico Ministero Felice Casson rinviò a giudizio 27 dirigenti di Montedison, EniMont ed Enichem con le accuse di strage, disastro colposo, lesioni colpose, omissione di cautele, per le decine di operai morti di cancro nella fabbrica della morte, il Petrolchimico di Porto Marghera, dove Bortolozzo lavorò per 35 anni, vedendo ammalarsi e morire i suoi compagni uno ad uno. Il processo e la sua imponente documentazione fu una denuncia dell’irresponsabilità dei protagonisti, della violazione dei diritti costituzionali e umani. Nonostante sia terminato con una sorprendente sentenza di assoluzione per tutti gli imputati, si può dire che Gabriele Bortolozzo contribuì con la sua intera vita alla crescita della consapevolezza che la salute è un diritto di chi lavora.
Una tematica che oggi ridiventa fondamentale per ricostituire un equilibrio nei luoghi di produzione nel nord e nel sud del mondo e su cui è necessario un nuovo impegno per aprire una nuova epoca in cui l’essere umano, con la sua piena dignità, anche nel momento in cui fa parte del sistema produttivo, sia riconosciuto come il centro dell’agire. Alla premiazione a Bolzano, domenica 6 luglio, Anna Segre ha ringraziato i figli che hanno voluto e saputo supplire alla mancanza della collettività nel farsi carico della salvaguardia della memoria.
Di seguito la motivazione del premio, la cui proposta è venuta dalla storica Anna Bravo.
Il Comitato scientifico e di Garanzia della Fondazione Alexander Langer, composto da Renzo Imbeni (presidente), Gianni Tamino (Vicepresidente), Anna Bravo (relatrice), Ursula Apitzsch, Patrizia Failli, Annamaria Gentili, Liliana Cori, Pinuccia Montanari, Margit Pieber, Alessandra Zendron, ha deciso di attribuire il premio Internazionale ‘Alexander Langer’ 2003, dotato di 10.000 euro, alla memoria di Gabriele Bortolozzo per tramite dell’associazione che porta il suo nome.
E’ difficile immaginare una lotta più solitaria e pionieristica di quella che Gabriele Bortolozzo, operaio al Petrolchimico di Porto Marghera, inizia nei primi anni settanta contro l’uso nello stabilimento del cloruro di vinile monomero (Cvm). All’epoca il sindacato locale è concentrato sul tema della difesa del posto di lavoro, la sensibilità ecologista è minoritaria, gli organismi preposti al controllo della nocività e la magistratura sono sordi alla questione Cvm. Si sa poco e non si fa niente per sapere, con il risultato che nel corso degli anni si arriverà a 260 vittime (157 operai morti e 103 ammalati) e alla devastazione della laguna.
Nel 1973, subito dopo aver saputo che l’Oms ha riconosciuto gli effetti cancerogeni del Cvm, Gabriele Bortolozzo dà il via a un lungo scontro con il colosso chimico. Non accetta di farsi visitare nell’infermeria di fabbrica precisando di non fidarsene; protesta perché agli operai ammalati si fanno mancare le cure; di anno in anno accumula esposti e denunce sulla nocività nei reparti e sull’inquinamento ambientale, e si impegna per promuovere una campagna di opinione contro lo scarico nel mare Adriatico dei fanghi Montedison. E’ il primo operaio in Italia a dichiararsi obiettore di coscienza alle produzioni nocive e a rifiutarsi pubblicamente di lavorare nei reparti del Cvm, tra i primi a sollevare il problema dello smaltimento e occultamento all’estero dei residui tossici delle lavorazioni.
Nel frattempo svolge una inchiesta capillare per censire le vittime del Cvm. Parte dalle persone che conosce, e seguendo i fili delle relazioni allarga il campo di ricerca; forte della sua conoscenza del ciclo produttivo, mette insieme liste di nomi reparto per reparto, raccoglie le schede mediche, parla con gli ammalati e con le vedove; un passo dopo l’altro, una notizia dopo l’altra, scopre i casi e li cataloga. A questo lavoro da detective accompagna lo studio. Si procura tutti i dati disponibili della Montedison, dell’Oms, di fabbriche simili all’estero, esamina i risultati e a volte li corregge e li integra, dove c’era il vuoto fa nascere un patrimonio di conoscenza. E diventa, prima di qualsiasi medico, magistrato o specialista, il vero esperto della nocività del Cvm. La risposta aziendale è una serie ininterrotta di soprusi, fino all’isolamento in un reparto confino. Ha dalla sua parte la Commissione Ambiente del Consiglio di Fabbrica, ma il sindacato nel suo complesso non lo sostiene.
Negli anni novanta Bortolozzo è meno solo. Sull’onda della crescente attenzione ecologista e quindi anche dell’interesse per i suoi dossier su problemi di inquinamento, viene invitato a convegni e dibattiti, e va a parlare in alcune scuole, l’attività che gli sta più a cuore. Stringe rapporti con Medicina Democratica, e nel 1994 pubblica sulla rivista del gruppo un dossier sulle morti e malattie da Cvm al Petrolchimico; nello stesso anno presenta al Pubblico Ministero di Venezia Felice Casson un esposto che sarà la base delle indagini per il processo contro i dirigenti Montedison ed Enichem iniziato nel ’98 e conclusosi con una generale assoluzione nel 2001, ma con una forte crescita di consapevolezza sulla necessità di costruire strumenti di tutela dei cittadini e dei lavoratori dai danni ambientali.
Questa è una storia importante, lungo la quale Bortolozzo sceglie costantemente di fare da ponte fra diritti/bisogni spesso contrapposti, come quello di avere un lavoro e quello di preservare salute e ambiente. Ma non è tutta la sua vita. Lontanissimo dal ‘lavorismo’ tanto diffuso nel movimento operaio, Bortolozzo è un uomo che si dedica ai figli e ai rapporti umani, un uomo attento al bello, alle piccole cose, al privato, al ‘superfluo’, che per sé e per gli altri vuole il pane, ma anche le rose; che spende tempo e energie per approfondire la conoscenza del territorio, dei fiumi, della flora, della fauna, e sa distinguere centinaia di uccelli dal canto e ricostruire gli itinerari veneti di Hemingway. Il pensionamento dà più spazio a queste passioni. Studia, organizza per amici e scononosciuti gite ciclo-botaniche nei dintorni della sua casa, e escursioni a tema su un artista o sull’architettura di un dato periodo storico, per esempio le ville del Terraglio e della riviera del Brenta, i paesini costruiti intorno al fiume o al canale; pensando soprattutto ai più giovani, fornisce schede e materiali informativi. Sono aspetti e modi di vita che rivelano una concezione della mascolinità rinnovata e aperta, in cui la pensione è una gioia anziché una crisi da perdita di ruolo, e un ideale educativo fondato sulla condivisione delle esperienze, sul fare (ancora una volta) da ponte fra persone, temi, punti di vista.
Gabriele Bortolozzo muore il 12 settembre1995 a Mogliano Veneto, investito mentre pedalava sulla amata bicicletta. L’Associazione a lui dedicata, creata dai suoi figli Betarice e Gianluca con altri amici e estimatori, è impegnata per la salvaguardia del patrimonio culturale e ambientale del territorio veneto. Ha partecipato al processo contro l’Enichem, creato due borse di studio, sviluppato un sito Internet per divulgare la propria attività e costituire una biblioteca telematica. Ha pubblicato, postumo, il libro di Gabriele Bortolozzo "L’erba ha voglia di vita", l’inchiesta "Terra, Aria, Acqua, Valutazione o Svendita", il volume "Processo a Marghera".
Di fronte all’urgenza di ‘globalizzare’ il diritto al lavoro e insieme la tutela della vita umana animale e ambientale, di fronte alla deriva efficientista che divora il tempo e schiaccia la soggettività e di fronte al rischio di un azzeramento della memoria operaia, la Fondazione Alexander Langer Stiftung vede in Gabriele Bortolozzo una preziosa figura di riferimento e nella Associazione una garanzia per la continuazione dei suoi studi, del suo lavoro e della sua visione del mondo".