Il poliziotto e il brigatista
Mi ha molto colpito il funerale del brigatista Galesi, morto in uno scontro armato nel quale è rimasto ucciso anche il poliziotto Petri, per la sua solitudine e indifferenza e per come ha voluto essere sepolto: la Kefiah palestinese in testa. Solo un frate lo ha accompagnato alla sepoltura dopo che il corpo era rimasto nella cella mortuaria in attesa che qualche famigliare lo riconoscesse. Appese al carro funebre, cinque corone di fiori. Una, con la scritta: "Riposa in pace, con amore rivoluzionario". Colpisce e fa riflettere l’ancora oscura dinamica dello scontro armato e il come la stampa e l’opinione pubblica li ha accompagnati al cimitero. Uno (quello del poliziotto Petri) con una folla immensa e commossa e tutte le cariche dello Stato, L’altro (quello del brigatista) con il solo frate e nessun altro.
Filippo Ceccarelli, subito dopo il grave fatto, ha scritto sulla Stampa un lungo editoriale ("A cosa servono i morti"), probabilmente a rispettoso sostegno dell’implorazione della moglie del poliziotto ucciso: "Che la morte di Lele sia servita". In effetti il ministro Pisanu, riparando all’agghiacciante silenzio dei media e dell’opinione pubblica, si è dimostrato un politico civile e sensibile, più di tanti altri, esprimendo in Parlamento cordoglio alla famiglia del brigatista e allo stesso Galesi, "vittima delle sue folli idee politiche". Adriano Sofri, in un lucido articolo sulla Repubblica del 7 marzo, esamina la disperazione di questa nuova generazione di brigatisti: "Pochi, anzi pochissimi, qualcosa che si trascina e contraddice la consuetudine per cui la milizia armata e clandestina è affare di generosità o spavalderie giovanili e l’alleanza con le masse arabe una battuta surreale... Li si prenda prima, saranno liberati loro stessi".
Se è logico pensare che le funzioni di un poliziotto siano di ordine pubblico, cioè vigilare sulla vita degli appartenenti ad una comunità per renderla più sicura e dunque, per quanto doloroso possa essere il lutto, la morte rientra nelle probabilità di quel mestiere, sgomenta sapere che ci sono ancora persone capaci di lottare, uccidere e farsi uccidere per la rivoluzione proletaria senza rendersi conto della propria solitudine e sconfitta.
A meno che costoro non siano utili per qualche disegno criminoso orchestrato per altri fini, e allora la loro cattura sarà difficile, anche se la loro esistenza segnerà il destino di altre vittime nel macabro rituale di uno Stato. mai sazio di sacrifici.