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QT n. 5, 8 marzo 2003 Monitor

Due successi alla Cartiera di Rovereto

Spettacoli duri, pugni nello stomaco il "Bukowski" di Haber e "Srebrenica" di Giovannozzi: eppure spettacoli efficaci, successi di pubblico che fanno riflettere.

A. D'Alessandri e R. Antolini

Buk l’ultimo beat. Decisamente il migliore spettacolo della stagione roveretana il "Bukowski" visto al Teatro alla Cartiera il 20 febbraio con Alessandro Haber come mattatore, accompagnato da un quartetto jazz (regia di Giorgio Gallione). Uno spettacolo tratto dall’antologia poetica di Buk "Spegni la luce e aspetta" (edizioni Minimum fax, 2003) che restituisce all’autore americano scomparso nel ‘94 (conosciuto in Italia finora soprattutto per i racconti di "Storie di ordinaria follia") la sua vera grandezza poetica, seppur spesa in una poesia da bassifondi, dalla voce impastata come quella dell’alcoolizzato che era effettivamente Buk: un sopravvissuto all’epoca beat finito a vivere nel No Future dei punk.

Charles Bukowski.

Lo spettacolo si presenta come un reading poetico. Haber inizia, spalle al pubblico, a leggere, immedesimandosi nel personaggio autobiografico che esce dalle poesie: barcolla, fuma e rutta proprio come Buk (aiutato anche da una grande somiglianza fisica: entrambi piccoletti, pancettati, capelli radi), muovendosi in una scena che ricostruisce il disordine un po’ acido dell’eterna camera d’un albergo di infimo ordine, con bottiglie qua e là e la musica del quartetto jazz che accompagna contrappuntisticamente la lettura continua, un pezzo dopo l’altro. Un vero mattatore Haber, che fa suonare la sua voce come in un assolo di sax, facendo vibrare con un borbottio roco e discontinuo l’acre lirismo della vita quotidiana della poetica bukowskiana, che pur nella strascicata depressione dell’eterno sconfitto, dello sconfitto per scelta (o per impossibilità di ogni altra scelta), trova momenti di folgorante energia nel sarcasmo demistificante delle vite allineate, come nel ritratto "Il mio amico William",quello che "stasera lo vedrete alla festa/sorridere/davanti al suo martini//beato e contento/mentre qualcuno/gli chiava la moglie/nel bagno".

Lo spettacolo è uno dei maggiori successi del momento con già oltre 50 date in programma. Chi l’avesse perso lo può riacciuffare in un altro passaggio in regione: domenica 9 marzo al Teatro Puccini di Merano.

come Srebrenica, visto al Teatro alla Cartiera di Rovereto il 25 febbraio, è un pugno nello stomaco più che un esercizio di piacevole intrattenimento. Uno spettacolo-denuncia che vuole far riflettere, e dunque prendiamolo per quello che vuol essere, ed usiamo anche questo spazio per parlare di guerra: di quella infinita della ex-Jugoslavia e dello spazio della guerra nel mondo contemporaneo, perché queste sono effettivamente le domande che battono nella testa – o meglio nello stomaco – di chi esce da questa pièce teatrale.

AQuindi, pur prendendo fuggevolmente atto della grande efficacia del testo di Giovanna Giovannozzi – una narrazione a monologo seccamente referente, ma proprio per questo alla fine con una forte vena surreale derivata alla vicenda dalla indicibilità di quanto successo a Srebrenica – e prendendo parimenti atto della strepitosa interpretazione di Roberta Biagiarelli (cresciuta alla scuola del torinese Teatro Settimo di Gabriele Vacis e Laura Curino e del loro teatro della parola), pur prendendone fuggevolmente atto dicevamo, e sottolineandone la funzionalità all’intento della denuncia, passiamo a parlare d’altro, di guerra appunto.

La narrazione dei fatti parte con quella che sembra una storia della porta accanto, fatta di frizioni fra vicini per beghe condominiali. Solo che in quei paesetti della Bosnia con 3 diverse chiese – l’ortodossa per i serbi, la cattolica per i croati e la moschea mussulmana – soffiano sul fuoco personaggi come Milosevic, Karazic, Mladic e altri cattivi maestri, in cerca del loro quarto d’ora di celebrità, e dalle liti condominiali si passa ai primi assassinii e poi, di follia in follia, all’assedio nella cittadina di Srebrenica di 40.000 mussulmano-bosniaci in fuga dalle loro case.Per un anno nessuno vuole accorgersene, poi entra in azione l’ONU mandando controvoglia qualche centinaio di caschi blu: ragazzini prima canadesi e poi olandesi, con tutt’altro per la testa. I serbi la guerra contro i mussulmani la fanno sul serio cercando di sloggiarli con un sadismo che ricorda quello dei nazisti contro gli ebrei, i contingenti ONU invece no. I ragazzini e i loro generali, dopo aver disarmato la popolazione mussulmana, invece di difenderla, si chiedono cosa hanno fatto loro di male per trovarsi in quell’inferno, e a forza di proclami roboanti tagliano la corda lasciando i mussulmani in balia dei serbi, che ne fanno subito fuori 9000, cacciando via tutti gli altri. Pulizia etnica riuscita!

La performance teatrale qui si ferma, ma la mente dello spettatore va oltre, ricorda che, vista l’impotenza dell’ONU, entrò in ballo la NATO bombardando le postazioni serbe, prima a Sarajevo poi nel Kosovo, fino alla caduta di Milosevic. E va anche oltre, fino ai dilemmi attuali, con un Bush pronto ad aggredire l’Irak accusando l’ONU appunto di impotenza imbelle nel controllo del disarmo irakeno.

Forse vale la pena ricordare che all’interno degli stati nazionali è l’affermarsi del monopolio statale nell’uso della forza che permette di superare quella Srebrenica diffusa che è anche la storia del resto dell’Europa, nei secoli del feudalesimo pre-statale. Neanche l’affermarsi dei nostri stati nazionali è stato un pranzo di gala, basti ricordare le guerre di religione, o – per restare a casa nostra – le campagne piemontesi contro il banditismo post-unitario nell’Italia del sud. Lo stesso problema di affermazione di un monopolio legittimo nell’uso della forza si pone ora a livello internazionale e il problema è solo se deve avere il volto macho e USAcentrico di Bush o quello di un diritto internazionale in cui tutti i popoli possano riconoscersi.

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