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Il mio Sanremo

Quella volta che telefonai ad Alba Parietti...

Premetto che preferisco le trasmissioni dei maghi al festival di Sanremo: almeno quelli mi fanno ridere, specialmente quando cercano di farsi prendere sul serio, mentre l’innaturale spiritosaggine del Pippo e dei suoi accoliti mi deprime un po’. Inoltre le canzoni del festival, dovendosi confrontare in una kermesse nazional-popolare, tendono a inseguire un gradimento eterogeneo e generalista: una scelta artistica spesso inconciliabile con la qualità. E allora perché questo Rondò venessiano parlerà comunque di Sanremo? Perché, alla faccia del mio snobismo, non posso negare che anch’io ho vissuto con intensità una mini avventura sanremese.

Un giorno di dicembre dei primi anni ’90 il mio amico Martino Consoli (cantante, valente musicista e molte altre cose…) mi sottopone un suo pezzo da arrangiare per uno spettacolo musicale. Si intitola Cioè Uomini. Il testo è proprio una bella trovata: vizi e virtù del sesso forte ritratti con una certa ironia alla Gaber.

Martino Consoli.

La musica un’altra furberia: orecchiabile, con riflessi Swing e Hully-Gully. L’arrangiamento che gli ricamo sopra sancisce definitivamente lo humour: un ibrido tra Rock e Tarantella affidato a un’improbabile orchestra Rhythm’n blues con simil-trio Lescano nel finale.

Mentre lo realizziamo in sala di registrazione la febbre sale... Terminato il missaggio, l’impressione si fa inequivocabile: il pezzo spacca, sarebbe perfetto per Sanremo.

Non c’è tempo da perdere, le iscrizioni al festival scadono venerdì ed è già martedì. Dobbiamo trovare innanzitutto due volti noti disposti a cantare. Spulciamo liste di attori e comici televisivi: Gaspare e Zuzzurro, Gigi e Andrea, Ric e Gian... Proviamo con gli ex Gatti di vicolo Miracoli. Rintraccio la loro agente e mi faccio dare il numero telefonico di Franco Oppini. Lo chiamo, ma trovo la segreteria e perciò gli lascio un breve messaggio seguito da un esempio registrato del brano, che secondo noi avrebbe dovuto cantare in coppia col suo collega Ninì Salerno. La sera torno a casa e mia moglie mi dice, col tono di chi non ha ben capito se è stato vittima di uno scherzo: Ti ha cercato Oppini, quello dei Gatti. Ha lasciato il numero di Milano della Parietti (che allora era sua moglie) perché tu la chiami subito.

- Pronto Alba? - Mi pare impossibile: è proprio lei, mitica, fresca di nomination a Donna televisiva dell’anno, sublime e ferina meta dei pensieri birichini di tanti italiani… Si complimenta: Bravi ragazzi, la canzone è carina. Mio marito sta tornando da Roma e stasera vi aspetta al Motel Agip di ...

I contatti stabiliti in quei giorni con le divinità dell’iperuranio
discografico e televisivo fecero irrestibilmente impennare le nostre proiezioni subliminali. Sarei un ipocrita se negassi che mi scompisciavo all’idea di andare a Sanremo per sentire una qualche bella ganza annunciare in Mondovisione: Dirige l’orchestra il maestro Francesco Pisanu. Una folata di asciutto libeccio mediterraneo in direzione Trento, proveniente dalla commissione di Sanremo, mise le cose a posto facendo evaporare all’istante quell’atmosfera di euforia e figate: Cioè uomini era stato bocciato.

Non so se il verdetto sia stato spontaneo o viziato. Il pezzo era simpatico, ma non aveva una grande casa discografica alle spalle né l’appeal prodotto dal duo Salerno-Oppini era straripante al punto da compensare questa non irrilevante défaillance. Ad ogni modo quell’edizione del festival ospitò la canzonetta intitolata, guarda caso, Siamo donne cantata da Sabrina Salerno e Jo Squillo.

Ironia della sorte o tramacci del Pippo? Un dilemma destinato a rimanere tale nell’ineffabile Italia dei misteri.

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