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Il sogno infinito di una cantautrice

Storia di Nicoletta e delle sue speranze monomaniacali.

Si chiama Nicoletta, dalla voce potrebbe avere una trentina d’anni anche se si esprime come una sedicenne. Le hanno detto che faccio arrangiamenti col computer e in sala di registrazione, così mi telefona per sapere se sono disponibile a orchestrare alcune sue canzoni. Non perdo un attimo a scoraggiarla: è informata male, ormai non faccio più quel mestiere da un sacco di tempo, sono già tanto pieno di casini, il lavoro, la famiglia...

Insiste, è piena di entusiasmo. Mi dispiace piantarla così, anche perché non saprei dove dirottarla. Ci incontriamo nel mio studio a Verona. Effettivamente l’età è proprio trenta se non qualcuno in più. Non bella, però quando parla dei suoi progetti gli occhi le brillano un poco e trasfondono tenerezza. Ascoltiamo un cd con alcuni suoi pezzi realizzati insieme a un amico che glieli ha arrangiati in quattro e quattr’otto e poi l’ha scaricata. Ha uno stile abbastanza particolare, una specie di Bocelli al femminile, però più aggressiva e ritmica: quando canta nei medio bassi usa un registro rock (alla Mia Martini per intenderci), quando sale verso gli acuti invece diventa un vero soprano lirico, un po’ come faceva quella dei Matia Bazar. Il materiale è grezzo ma non è male. Anche i brani, che sono suoi, hanno una loro piacevole inventiva musicale, sono melodici e grintosi allo stesso tempo.

Le chiedo come vive: ha un part-time in municipio e poi integra il fabbisogno facendo serate. Mi dà il suo biglietto: "interprete e cantautrice, voce tastiera e chitarra, animazione". Alla faccia della specializzazione. Parla di tutto con aria un po’ svanita ma ha dei progetti: il produttore che aspetta il provino, il festival di qua e lo stage di là… tutte grandi opportunità, ma con accesso a pagamento. Provate a spiegarle che non deve fidarsi della gente che promette gloria contro lira: è come parlare a un sordo, la sua fede è cieca e assoluta perché se le venisse a mancare quella fede il suo mondo le crollerebbe addosso. Andando avanti coi discorsi mi spiega delle tante inculate che le hanno rifilato e io mi rendo conto che a questo punto non posso mollarla. Non so se dalla sua canzone saprò restituirle un capolavoro, però almeno le eviterò di buttare via più soldi del necessario. La convinco a puntare sull’arrangiamento di un solo pezzo in modo da non svenarsi in ore di sala di registrazione. Tra qualche giorno sarà tutto pronto, lei canterà, faremo il missaggio e poi... in bocca al lupo, Nicoletta.

Perché ho raccontato questa storia? Perché rappresenta un cliché del nostro tempo. Nicoletta è una ragazza che come molti altri giovani è appassionata di musica, canta bene, è creativa e si dà un gran da fare per emergere. Nulla di male.

Però alla lunga quella voglia di emergere può diventare una fissa, ti può isolare dal resto del mondo, schiavizzare la tua coscienza per il raggiungimento di obiettivi attraenti e fumosi, focalizzare la tua vita verso un solo scopo che ti fa perdere di vista valori, rapporti e prassi quotidiane che fanno parte della fisiologia dell’individuo, dell’equilibrio interiore.

E così magari ti trovi a buttare via tempo, denaro e dignità perché non puoi permetterti di non arrivare alla meta, perché nelle tue proiezioni mentali non c’è posto per diversioni di percorso o fermate intermedie, per alternative al successo a tutti i costi.

Non voglio abbandonarmi troppo a toni da Savonarola: è bello e ineludibile il piacere di sognare.

Attraverso il sogno si costruiscono prospettive, si rinvigoriscono ambizioni, si potenziano le dinamiche per conseguire le mete... insomma si resta vivi.

A patto che tutte le mattine, sia pure a orari personalizzati, dopo essersi levati dal letto ci si dia una bella lavata di faccia con l’acqua fredda.

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