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“Come un pesce fuor d’acqua”

AA. VV., Come un pesce fuor d’acqua. Il disagio nascosto dei bambini e dei ragazzi immigrati. A cura di Graziella Favaro e Monica Napoli. Guerrini e associati, Milano, 2002, pp. 238, 15,50.

"Mi sento come un pesce fuor d’acqua che deve imparare a respirare e gli manca tutto": questo vissuto espresso da un ragazzo immigrato nel nostro paese è uno dei tanti stralci dei racconti di vita che il saggio raccoglie. Frutto del lavoro sul campo di psicologi ed educatori, prevalentemente nell’area dell’hinterland milanese, il libro ci offre un contatto con il mondo interiore di chi ha spezzato le radici con il proprio paese d’origine per catapultarsi in un luogo di accoglienza sconosciuto. Ma nella nostra società poco incline alla cura dell’anima vi è scarsa attenzione per i risvolti psicologici ed affettivi di questa separazione. Ed è proprio su questo tema che gli autori si soffermano ed indagano con il loro bagaglio d’esperienze sviscerando, attraverso analisi ed interviste, il mondo emozionale degli immigrati lungo un arco d’età che va dalla prima infanzia all’adolescenza.

E’ un viaggio inusuale quello che il lettore intraprende leggendo il libro per conoscere in itinere gli aspetti sommersi del fenomeno migrazione, che spesso scorre davanti al Bel Paese "senza far rumore", ma che apre nei protagonisti molte ferite: un lutto per la perdita dei legami affettivi e culturali col passato ben difficile da elaborare. Un universo fatto di fragilità che si esprime nella paura, nello smarrimento, nella rabbia: un fardello pesante che si aggiunge alle fatiche di crescere in questa delicata fase evolutiva. Una vena intimista fluisce, dunque, lungo tutto il saggio facendo affiorare la sofferenza psicologica che il corpo esprime comunicando emozioni e bisogni profondi. Così succede che la paura di essere diversi porti ad idealizzare certe caratteristiche somatiche, a costruire un falso sé per essere accettati dagli altri.

E’ davvero una sfida difficile per i giovani immigrati costruire, mattone dopo mattone, la propria identità su un terreno denso di conflitti: storie di vita che trasudano la difficoltà di dare un senso al presente, di ricomporre la propria storia personale fra i pochi frammenti ormai sbiaditi della cultura d’origine e quella d’accoglienza, con tante regole nuove da capire ed accettare.

Leggendo le biografie e i pensieri dei ragazzi cogliamo le loro insicurezze nel vivere in un mondo "provvisorio", fatto di distanza e solitudine che gli affetti familiari spesso non riescono a colmare. "I genitori tendono infatti a ignorare o sottovalutare il peso delle sfide che i loro figli devono attraversare e comunque si trovano spesso nella condizione di non poterli aiutare, dato che non conoscono la lingua, le regole implicite, le aspettative e i messaggi degli spazi educativi, della scuola e dei luoghi di socializzazione. Essi hanno inoltre spesso difficoltà ad assumere il ruolo di ‘esempio’ e di "mediatore"tra lo spazio interno, familiare e quello esterno: di iniziatore del nuovo viaggio, reale e simbolico."

Ma se la famiglia in questo percorso interiore non
può fungere da "contenitore emotivo", il tessuto sociale può invece arricchire questo passaggio di significati, aiutando i minori a ricostruire un "senso d’appartenenza al mondo" dentro una rete di relazioni ed affetti. Per questo gli autori chiamano in campo tutte le strutture, quali scuole e comunità d’accoglienza, che in primis possono leggere i loro bisogni relazionali attraverso un approccio che richiede attenzione, ascolto ed empatia.

Nel libro sono presenti alcuni capitoli con proposte didattiche per conoscere le modalità d’adattamento e reattivo-difensive non solo dei ragazzi ma anche degli insegnanti, per realizzare una comunicazione il più possibile scevra da contaminazioni e stereotipi. La scuola è, infatti, il primo banco di prova ove il minore sperimenta insuccessi e difficoltà d’apprendimento e spesso si richiede che egli vi si adatti in breve tempo, senza prestare attenzione agli aspetti della sua vulnerabilità psicologica.

In conclusione, sebbene alcune parti del libro siano dedicate agli educatori, il suo stile narrativo semplice e fluido lo rende godibile a coloro che intendano allontanarsi da un giudizio etnocentrico, considerando l’altro come una chance d’arricchimento culturale.