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QT n. 2, 25 gennaio 2003 Monitor

“Nuovo Spazio Italiano”

Mostra di 18 giovani artisti, in collaborazione tra Mart e Galleria Civica di Trento.

Per chi voglia rendersi conto, aggiornarsi un po’ sulle nuove ricerche artistiche in Italia, la mostra "Nuovo Spazio Italiano", con le sue diciotto presenze accomunate dal dato generazionale (quasi tutti trentenni, anche meno) è una finestra aperta su un panorama che non sapremmo - in mancanza di altre informazioni - collocare in un luogo preciso. In un’epoca, quella sì: appunto l’epoca in cui non solo i linguaggi, i mezzi espressivi, ma anche l’orizzonte culturale, il gusto e le inquietudini degli artisti non sono più riferibili - come era ancora un paio di decenni fa - a una certa identità nazionale.

Patrick Tuttofuoco, "Velodream (maschera)", 2001.

Giorgio Verzotti e Fabio Cavallucci, che con Giovanna Nicoletti hanno curato la mostra, non escludono questa possibilità, ma esprimono seri dubbi.

La mostra si propone, nelle due sedi del palazzo delle Albere e di via Belenzani a Trento, come il primo passo di una collaborazione che si auspica fruttuosa tra il Mart e la Galleria Civica sull’attualità dell’arte, e il suo titolo allude sia allo spazio che diversi giovani autori italiani (alcuni qui presenti) si sono creati nel mondo - non in quanto italiani, ma per l’interesse suscitato dal loro modo di frequentare i nuovi linguaggi - che appunto all’accresciuta attenzione delle istituzioni italiane (musei e altro) verso la ricerca contemporanea.

Ma che ne è, invece, dell’interpretazione dello spazio, richiamata nel titolo della mostra? Si può osservare che, nonostante distanze anche notevoli di mezzi espressivi (dal video al manufatto artigianale), questi artisti nella loro maggioranza pensano e operano in termini di installazione, comunque di uno spazio che non assegna allo spettatore la semplice fruizione frontale e spesso nemmeno solo quella visiva. A parte casi estremi di tentativi di coinvolgimento sensoriale - come il doppio schermo su cui Daniele Geminiani proietta il passaggio di un treno, con tutto il suo frastornante rumore - pensiamo alla foresta di grottesche e vivaci figure di cartapesta di Lara Favaretto, oppure agli improbabili tricicli pensati per andarsene in giro avvolti in una surreale carrozzeria ("Velodreams", qualcosa come un sogno pedalabile) di Patrick Tuttofuoco.

Ci sono però artisti che fanno dello spazio un oggetto specifico di esplorazione: Loris Cecchini gioca sul rapporto tra una struttura rigida, rettilinea, efficiente ed una tutta afflosciata (memore forse del gesto pop di un Oldenburg, come nota Cavallucci, ma con uno spirito più disilluso che polemico). Una vera occupazione dello spazio, dovuta alla crescita gigantesca, di sapore magico fiabesco, di un lavoro a maglia, è quella realizzata da Sissi, bel modo di lasciare il segno di un racconto e di un’azione.

Come si vede, questi giovani fanno volentieri spazio a forme di immaginazione divertita, ma si direbbero, più che dediti a coltivare ideali di cambiamento o a suscitare passione, intenti a lasciarsi tentare dal gioco linguistico (come accade a Francesco Gennari col suo "Mausoleo per un verme", e a Sergia Avveduti con "Affettuoso larghetto"), dallo scambio ambiguo tra reale e virtuale, e in ogni caso quasi sempre toccati dal sospetto dell’insensatezza.

Il disagio trapela da molti pori, diventa qua e là esplicito, prende anche la via di una specie di coltivazione di ossessioni che paiono soggettive - ma non lo sono poi tanto - come avviene a Diego Perrone con i suoi "Pensatori di buchi", oppure la piega spettrale degli psico-ritratti su vetro di Roberto Cuoghi, la fosca premonizione delle immagini video sdoppiate e sonorizzate di Stefano Cagol, o quella forma di piccola, metodica elencazione di momenti di disgusto quotidiano inscenata da Gabriele Picco con la sua miriade di tasselli di mini graffiti urbani.

Colpisce molto un’assenza: la natura come materia prima e come orizzonte di immaginazione vitale. Il loro spazio non è più bidimensionale, ma è totalmente artificiale. Forse anche in questo troviamo conferma del fatto che sono "specchio dell’attuale società, allo stesso tempo ironica e assurda. - come scrive Cavallucci - La vita continua a scorrere realmente per ciascun individuo, ma la sua proiezione aleggia impalpabile tra i media di comunicazione. E’ l’età della leggerezza, in cui anche la guerra o la catastrofe assumono i contorni della rappresentazione e l’arte... si insinua sottile e leggera tra i meandri della realtà".

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