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Giustizia planetaria

La Corte Penale Internazionale dovrebbe entrare in funzione nella primavera del 2003. Ma Stati Uniti, Cina, Giappone, Israele ed altri ne restano fuori.

Laura Gheorghe

Alla fine della seconda guerra mondiale il mondo intero si è confrontato con una nuova realtà, molto più scioccante e drammatica rispetto alla tragedia della guerra: la verità sulle atrocità commesse dai nazisti nei campi di concentramento. Per punire questi episodi, le potenze vincitrici istituirono un tribunale internazionale per giudicare i crimini commessi contro la popolazione civile. Il tribunale militare di Norimberga prima, e il Tribunale istituito per giudicare i crimini commessi dai giapponesi nei territori occupati poi, rappresentano l’inizio di un lungo e difficile processo volto a creare un organismo permanente con competenza di giudizio sui più gravi crimini commessi a livello internazionale: crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio.

Durante la guerra fredda, gli studiosi di diritto penale internazionale tentarono di muovere la coscienza della comunità internazionale, insistendo sull’impossibilità di "vivere in pace senza giustizia". Ed è proprio questa giustizia che viene reclamata ancora oggi in ogni angolo del mondo da migliaia di innocenti costretti a vivere le guerre e le loro conseguenze. Si tratta di Paesi dove l’espressione "dignità umana" è stata privata di significato, dove il rispetto per la vita non è mai esistito, oppure è scomparso all’improvviso. Nascondendosi dietro al principio internazionalmente riconosciuto della sovranità, numerosi Stati si sono resi colpevoli dei più terribili crimini contro i propri cittadini. La Dichiarazione dei diritti e delle libertà fondamentali è rimasta pertanto lettera morta.

Si è dovuta attendere la guerra dei Balcani, il conflitto inter-etnico scoppiato tra i Paesi della ex-Jugoslavia, perché si comprendesse finalmente che la sovranità nazionale e il diritto fondamentale all’autodeterminazione dei popoli non giustificano le violazioni dei diritti umani. In questo contesto e sulla base di questa considerazione, nel 1993 l’ONU ha approvato la costituzione di un tribunale internazionale per la ex-Jugoslavia, a cui ha fatto seguito la decisione relativa all’istituzione di un tribunale per il crimine di genocidio commesso in Ruanda.

Si è così compreso che, nel secolo della globalizzazione, esiste un bisogno primario di un organismo internazionale permanente, la cui competenza sia quella di giudicare i più atroci crimini commessi "in nome della pace".

Il 17 luglio 1998, a Roma, è stato così siglato lo Statuto della Corte Penale Internazionale, documento ora sottoposto alla ratifica da parte dei Paesi che hanno già firmato, e di firma per gli Stati che hanno deciso di diventare membri dopo il 1° luglio 2002.

La comunità internazionale ha festeggiato un evento importante, anche se non sono mancate assenze significative, tra cui Israele, Cina e Giappone, che hanno rifiutato di firmare lo Statuto. L’istituzione della Corte Penale Internazionale aveva fatto sperare in un maggior rispetto degli obblighi assunti dai Paesi a livello internazionale, dato il sistema sanzionatorio delle violazioni rappresentato dalla Corte stessa. Tuttavia, ciò non può dirsi realizzato.

Lo Statuto della Corte è entrato in vigore il 1° luglio 2002, dopo la ratifica da parte di 60 Stati - come previsto dallo Statuto - e ci si aspetta che la Corte sia pienamente funzionante dalla primavera del 2003.

Fra i Paesi che non hanno firmato e/o ratificato lo Statuto, ci sono anche gli USA, con la giustificazione che questa forma di giustizia internazionale potrebbe portare a processi politicamente motivati. A questo punto resta da chiedersi se questo organismo sarà capace di guadagnarsi il rispetto del mondo e se sarà all’altezza degli compiti affidatigli. I pessimisti sostengono che una Corte senza l’appoggio della più grande potenza mondiale è destinata a fallire. Gli ottimisti, al contrario, affermano che gli Stati aderenti (attualmente lo Statuto è stato firmato da 139 Stati, di cui 82 hanno già provveduto alla ratifica) sapranno gestire la nuova Corte in modo da renderla efficace e indipendente; e che, una volta iniziato il lavoro vero e proprio, la Corte saprà svolgere le funzioni attribuitele e far rispettare le proprie decisioni.

Dal canto nostro, ci limitiamo a riportare i fatti: tra gli Stati aderenti figurano anche i Paesi dell’Unione Europea, una controparte significativa della potenza americana; inoltre, la Corte Penale Internazionale funzionerà secondo le regole del diritto internazionale, nel rispetto dei diritti dell’uomo; del personale della Corte faranno parte personalità note e insigni del mondo giuridico penale. Date queste premesse, pare difficile pensare alla Corte come ad un organismo pronto a condurre azioni politicamente motivate.

Non possiamo certo illuderci che con l’avvio delle attività della Corte tutti i crimini cesseranno di essere commessi; ma quanto meno si saprà che l’impunità non varrà più come regola generale, e che gli atti compiuti in danno di popoli ed individui in nome di ragioni etniche, religiose o d’altra natura, potranno - e dovranno - essere puniti da un organismo internazionale appositamente costituito.