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Moena, il paradiso perduto

Giorgio Jellici

Con una lettera apparsa su Questotrentino del 15 luglio scorso (La nostra povera montagna) la signora Angela Chiocchetti ha dato sfogo al suo sconforto per "la lenta, inesorabile distruzione della montagna" e "l’agonia delle nostre valli e dei nostri paesi". Un tema che dovrebbe quindi interessare non solo Questotrentino, ma tutto il Trentino.

Moena, in un'immagine di trent'anni fa.

Il paese della Chiocchetti è Moena. Un luogo (non il solo) distintosi negli ultimi decenni più che altro per la scomparsa di quanto gli era valso, seppur senza meriti, il titolo di "Fata delle Dolomiti". La Chiocchetti si chiede: perché nessuno fa qualcosa per evitare che ai nostri figli rimangano solo "le rovine di una storia e di una montagna perduta?". La risposta, se vogliamo esser franchi, è semplice: della montagna, dell’"inquinamento acustico ed atmosferico" alla gente non interessa un fico secco. Esagerato? Esagerato un corno. Non hanno forse tutti a Moena assistito, o contribuito, al degrado ambientale? Al soffocamento del paese con seconde, e terze case, con scatoloni-condominio? All'ampliamento sproporzionato di alberghi ed abitazioni private, alla barbara eliminazione (altro che "ristrutturazione"!) dei "tabià (o "tabièez, per esser precisi), secolari monumenti architettonici? E poi ci meravigliamo quando i Talebani distruggono i Budda...

Non hanno forse accettato tutti come niente fosse l’asfaltamento di strade senza l’indispensabile marciapiede per i pedoni (e non sono i soldi che mancano)? Il disseccamento, o quasi, dell’Avisio, il baccano degli altoparlanti di tutte le stazioni del Lusia (un tabù), dove per far soldi un giorno tireranno su anche il motocross e tante altre aggressioni alla bellezza ed alla vivibilità del paese?

Tanto per intenderci: uno è l’andazzo del mondo, cui si possono attribuire certe brutte tendenze, ma altra cosa sono le responsabilità individuali, il far finta di nulla quando sorgono, buttati lì alla carlona, quei capannoni all’entrata sud del paese, come sfondo al "Benvenuti a Moena!", senza un albero che nasconda quella misera carta da visita, o, ultimamente, quando nasce in Navalge un mostro architettonico, chissà per quali necessità della popolazione. Ma nessuno protesta. Salvo forse con le solite battute al bar.

Come mai? Innanzitutto protestare costa tempo: occorre informarsi, magari andar a vedere come vengono risolti problemi analoghi da chi il turismo alpino lo pratica senza tagliare i rami sui quali poggia (e non occorrerebbe far viaggi tanto lunghi). E poi ci vuole un po’, solo un po’, di coraggio civile, disinteressato. Bisogna esser disposti a rinunciare, per il bene della comunità, a qualche tornaconto personale immediato. E le pare, signora Chiocchetti, che a Moena ci siano in giro tipi del genere? A me pare di no. Le pare che chi scarrozza per il paese con quei carri armati (i SUVs, Sports Utility Vehicles), indispensabili per portare i marmocchi a scuola e andare dal giornalaio, simbolo di chi ha gettato nella spazzatura gli ammonimenti di Kyoto e di Johannesburg per farsi i propri porci comodi, le pare, signora, che codesti amanti del progresso abbiano voglia di difendere "l’integrità della natura" che lei desidera? O di protestare? Ma non ne hanno nemmeno più il diritto morale.

Diciamolo chiaro: il turismo di massa non solo ha offeso il territorio, ma ha banalizzato anche la vita, sbilanciato la struttura sociale del luogo: spazzato via l’artigianato (vanto dei nostri padri), l’agricoltura, il commercio qualificato ed ha cambiato in peggio il carattere degli abitanti. Ha lasciato una cittadinanza carente di specifiche capacità professionali (senza arte né parte, si diceva una volta), priva di interessi e conoscenze naturalistiche o storiche per il mondo in cui vive, dedita a far soldi e allo svago, senza nulla produrre, vendendo ai turisti posti letto, skipass e castagnate. A spese della bellezza locale - che sarebbe di tutti - ma senza preoccuparsi di salvaguardarla. In questo ambiente chi critica il vivacchiare e l’effimero benessere cui attinge, viene "isolato, tacciato di protagonismo". Nel migliore dei casi, deriso.

Pertanto, cara signora Chiocchetti, temo ci sia poco da fare. Lo dico con dolore perché a Moena mi sento profondamente legato. E’ il paese della mia famiglia paterna. L’ho conosciuto quando era una paradiso profumato di fieno e di resina, ospitale, popolato da gente abile, cortese, che manteneva la parola data e parlava solo ladino, meno che a scuola: oggi è l’inverso.

Le misure retroattive sono inadeguate a salvare l’ambiente. O conosce lei, signora, qualcuno capace di far sparire due terzi di quelle seconde case? Qualcuno capace di liberare Moena dell’inquinamento causato dalla massa di autoveicoli che invade ogni strada per troppi mesi dell’anno (autoveicoli che gli stessi moenesi lasciano lì con il motore acceso, davanti ai bar, al tabaccaio, alla porta di casa... e ha mai visto un vigile che dia una contravvenzione?).

Molti credono ora che la circonvallazione, certo necessaria, risolverà il problema. Illusione. L’unica soluzione durevole - appunto per i nostri figli, è - come ebbi modo di scrivere - la ferrovia Ora-Canazei. I miei coetanei ricordano il trenino Ora-Predazzo, incoscientemente messo fuori uso proprio quando lo si sarebbe dovuto potenziare. Siamo in Italia, mica in Svizzera. Io parlo di una linea simile alla Ferrovia Retica, che trasporta attraverso le valli dei Grigioni, da Poschiavo a Coira superando il Bernina, dalla Bassa Engadina a St.Moritz, migliaia di turisti e di residenti: senza inquinare, senza far chiasso, senza code, senza ritardi. Intelligentemente. Ma lei, signora, vede a Moena, nelle valli limitrofe o in Provincia, dove abbondano i soldi e scarseggia la lungimiranza, vede la capacità imprenditoriale, la fantasia turistica necessaria a realizzare un progetto del genere? O lei conosce forse qualcuno disposto a far qualcosa perché l’acqua torni a scorrere, naturale, nel letto dell’Avisio? Quella meravigliosa acqua della Marmolada che era l’anima del paese, come documenta lo stemma di Moena... Non sarebbe ora di sostituire quell’antenato ladino in barca con un moenese strombazzante nel suo fuoristrada? Siamo sinceri, signora, l’Avisio senza acqua non crea grattacapi ai venditori di posti letto, né ai gestori delle funivie. E mi pare logico ritenere che anche in futuro i politici in Provincia, per non perder voti, seguiteranno a sovvenzionare ogni impianto di risalita, senza tanti riguardi, ogni "wellness center" (altra invasione), ogni cementificazione e consumo di territorio. Quando sarà la volta del "Prà de Sòrt"?

Lei, signora Chiocchetti, si chiede: "Cosa lasceremo ai nostri figli da ammirare?". Guardi: la Moena di trent’anni fa (si badi, trenta, non cento) è sparita. I moenesi, indipendentemente dal colore dell’Amministrazione comunale, proseguiranno sulla strada del turismo di massa, che conduce solo ad un paese-dormitorio dove tutti sono pronti ad ogni strappo, ad ogni prezzo, pur di occupare i fatidici posti letto in eccesso. Si deve pur vivere, no?

Del paradiso perduto, già oggi nella mente dei giovani non resta nemmeno la memoria (che sarebbe coscienza applicata al presente). Della sobria, dignitosa vita dei padri, nemmeno un gesto. Delle loro storie, qualche aneddoto. Delle loro case, qualche angolo. In questa desolazione alcuni, a tempo perso, riempiranno di primule le gerla e le "bène" dispostesul prato all’inglese del giardinetto, altri appenderanno falci arrugginite e ruote di carro alle pareti, altri si scervelleranno per trovare un nome ladino alla villetta sorta dove c’era il "tabià".

Sono troppo pessimista? Vederón.