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Il giubileo di Elisabetta II

Come attraverso la musica la monarchia inglese si aggiorna. E si delegittima.

Lì per lì la notizia del Giubileo della regina Elisabetta mi aveva lasciato indifferente. Si è appena finito di giubilare per il Papa... Poi mi ha fatto riflettere.

A che serve il re di Inghilterra? Non governa, i discorsi pubblici glieli scrivono gli altri, non può presiedere manco l’anniversario della Borsa del tè da quando l’hanno chiusa. E allora? L’immaginazione a volte si nutre del passato e il senso estetico si arricchisce, anche per pochi istanti, dell’immedesimarsi in un mondo che non ci appartiene più ma che pur sempre ci ha generati. Una cerimonia regale può significare per qualche inglese un tuffo quasi onirico nel suo passato, per ritrovare una parte di sé nelle grandezze, sfavillanti più o meno, della propria storia. Azzardiamo: un po’ come il rituale della Eucarestia induce nel fedele un ritorno trasfigurato all’Ultima Cena.

Che c’entra la musica in tutto questo? E’ proprio la colonna sonora, che i maestri del protocollo di Buckingham Palace hanno imposto al momento centrale del giubileo, che mi ha colpito: insieme a Elton John e Paul Mc Cartney, ci stanno i vari Ricky Martin e le varie sbarbine che cantano e ballano al ritmo della Salsa o dell’Hip-hop... E’ questo il sound che allieta la corte e sostituisce le "Pumpes and Circumstances" dell’ex Impero Britannico. Solo qualche anno fa si sarebbe convocata la New Symphony diretta, che so, da Baremboim per mettere in piedi un Oratorio di Haendel, le "Variations Enigma" di Elgar, una sinfonia di Mendelsohn (musicista tedesco, ma assai amato dai regnanti inglesi di un tempo che fu)...

Oggi la musica è cambiata, anche nel senso più letterale. Il ciclone Diana aveva contribuito (in aggiunta alle disavventure sexy) a ridurre la popolarità degli Windsor al lumicino. E al cospetto della dea popolarità anche i re chinano il capo. Sua Maestà si adegua: basta con l’etiquette e il self-control a tutti i costi. Quando Diana compariva sulla stampa rosa con le sue belle gambe mentre faceva gli esercizi in palestra sapeva di mangiare gli gnocchi in testa all’ex marito che intanto presenziava alla seduta annuale di Westminster rigido e imbalsamato come un Findus. La lezione i reali inglesi l’hanno imparata, si sono resi conto che si fa più bella figura se ad un rito funebre ci si mostra commossi sulla canzonetta "Candle in the Wind" di Elton John piuttosto che sulle note della "Lacrimosa" di Mozart. Sui rotocalchi veniva pesantemente sottolineata la differenza tra lo spirito solare della principessa Diana che amava il Pop e la Dance, rispetto a quello saturnino e opaco del consorte, che invece è cultore di musica classica. Il confronto, manco a dirlo, giocava tutto a favore di Diana.

Ora il principe Carlo si preoccupa di fare il simpatico sottolineando la sua netta adesione ai gusti popolari: non perde occasione per farsi ritrarre in mezzo alle odierne glorie musicali, tanti ganzi e fighette, spesso eroi per un giorno solo... Ma che importa? Di fronte a icone di idoli post-atomici che si consumano a tempo di rap un accorto monarca, se non vuol perdere punti, si aggiorna in tempo reale sulle mutanti preferenze dei sudditi. Blair, che ha spesso sottolineato la necessità che la monarchia svecchiasse le sue abitudini, sarà compiaciuto di questa svolta pop e politically correct.

E’ comprensibile che un’istituzione, ormai di cartapesta, si omologhi alla moda corrente e globalizzata per combattere la sua battaglia per la sopravvivenza.

Però, a pensarci bene, andando in questa direzione crolla l’unico motivo plausibile che in chiave puramente estetica concedeva al re inglese il diritto di esistere: dedicare ai sudditi più romantici qualche attimo fuggente di nobile, aristocratica finzione.

God save the Queen!

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