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QT n. 8, 20 aprile 2002 Monitor

“Jazzndove”: vita dura per i festival non allineati!

Mentre rassegne blasonate come Itinerari Jazz inciampano nel proporre artisti ormai spompati, a Lavis si è svolta una piccola, bella e coraggiosa rassegna, che ha proposto stimolanti serate con giovani artisti locali e nazionali. Ma il pubblico da una parte e la stampa dall'altra...

Qualche giorno fa abbiamo assistito (ma non resistito a lungo) a un concerto di Itinerari Jazz, manifestazione rigorosamente di élite, in cui 3 maturi signori blasonati, Carter, Barron, Cobham, un tempo musicisti ora cariatidi, proponevano una broda stantia. Capita non di rado che jazzisti, specialmente americani, ormai musicalmente cadaveri, siano convocati dagli organizzatori dell’Europa credulona a fare marchette , pagate mica male. In quella circostanza l’Auditorium era comunque pieno e la performance ha avuto buona eco sulla stampa.

Al contrario, si è svolta a Lavis una rassegna assai meno eclatante, ricca e prestigiosa, però più coraggiosa, estranea agli schemi collaudati e rassicuranti dei soliti organizzatori che per non rischiare puntano sulle élite e a volte si fanno bidonare. Questo mini-festival, tenutosi tra il 10 e il 18 aprile, intitolato Jazzndove, che presentava giovani musicisti locali e di rilievo nazionale, non ha avuto ripercussioni trionfali. Eppure (non voglio parlare della serata a cui ha partecipato il gruppo dei Jazzprint di cui faccio parte) si è respirata un’aria di novità e di vitalità e le proposte di giovani talenti in cartellone non sono mancate. Abbiamo ascoltato volentieri il concerto di giovedì 11 aprile in cui Michele Francesconi al piano e Ivan Valentini al sax hanno proposto ai non numerosi presenti un jazz fluido, con tanto swing incalzante, nonostante l’assenza di strumenti a percussione. Questa incisività ritmica va a merito del pianista Francesconi che ha saputo emulare bene il cosiddetto Walkin’ bass, cioè la scansione ritmico-melodica tipica del contrabbasso. Valentini, grazie a quella solida base, poteva lanciarsi in improvvisazioni molto libere ma allo stesso tempo ben fraseggiate. Il suono del sax soprano era teso e graffiante, modellato sullo stile di Steve Lacy. La scelta dei brani è partita da classici del bop, Parker e Monk…, con excursus anche in Bach e Webern, per arrivare a composizioni dello stesso Valentini. Abbiamo riscontrato un limite nel sound globale, che, considerato il valore individuale dei singoli, ci si sarebbe aspettato caratterizzato da maggior fusione e più intensità espressiva. In questo senso ha forse pesato la personalità musicale ancora un po’ acerba e introversa del pianista.

La manifestazione ha offerto l’occasione di ascoltare qualcosa di diverso rispetto a certe minestre propinate in ambiti più istituzionali. Ciò nonostante, nessuno stimolo di curiosità ha solleticato la stampa, che ha latitato, e pure il grosso pubblico non si è fidato. Per chi canta fuori dal coro non sono mai rose e fiori, ma il fatto che piova sempre sul bagnato deve convincerci ad essere rassegnati e fatalisti? No, cari. Per quanto ci riguarda continueremo a sostenere le iniziative che favoriscono il ricambio d’aria nelle sale da concerto e a non temere di infrangere il diritto di lesa maestà quando facciamo notare che il re è nudo.

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