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QT n. 6, 23 marzo 2002 Servizi

La Regione batte un colpo. Finalmente

La nuova Giunta regionale rappresenta, per la coalizione Ulivo-autonomisti-Svp, uno scatto d’orgoglio. Che il peggio sia passato?

Non è la staffetta Dellai-Durnwalder, che avrebbe rappresentato l’inizio di un nuovo modo d’intendere la convivenza regionale, nel segno di una maggiore integrazione tra le due comunità provinciali. Non è neppure una Giunta guidata da Wanda Chiodi o Vincenzo Passerini, che avrebbe avuto il significato di una continuità nel lavoro per la riforma dello Statuto ed anche di un forte impegno per una gestione rigorosa dell’amministrazione regionale, di cui i recenti scandali hanno evidenziato la grande ed urgente necessità.

La nuova assessora Wanda Chiodi (Ds) con il segretario diessino Mauro Bondi.

Tuttavia la nuova Giunta regionale, presieduta da Andreotti, con Theiner e Chiodi vicepresidenti e Fontana assessore, rappresenta un bel segnale. Forse per la prima volta dopo tantissimi anni, la Regione non è stata trattata come la pattumiera della partitocrazia provinciale, alla stregua di un ente di sottogoverno di cui ci si occupa al solo fine di distribuire poltrone. La nuova Giunta è composta di sole quattro persone, il minimo possibile per statuto (un presidente, due vicepresidenti ed un rappresentante del gruppo linguistico ladino), un numero più che sufficiente per gestire le poche competenze rimaste alla Regione. Un metodo che sarebbe auspicabile diventasse la regola anche per il futuro, almeno sino a quando l’istituzione regionale non sarà riformata attraverso una modifica statutaria.

Anche qualitativamente, poi, la nuova Giunta regionale nasce col piede giusto. Fuori le due persone coinvolte negli scandali: colpevoli o innocenti che siano, è il buon gusto, oltre che il rispetto delle istituzioni, che avrebbe dovuto suggerire a Grandi ed Atz di farsi da parte di propria spontanea volontà. Fuori anche la Dominici, finita in Giunta regionale al solo scopo di assicurare un voto in più alla maggioranza provinciale di Dellai. Sull’altare della logica della "Giunta corta" è poi stata sacrificata anche Alessandra Zendron, che invece, nonostante i disastri in cui è incappata la Regione, aveva ben lavorato per migliorare la trasparenza dell’ente, trovando peraltro i maggiori ostacoli proprio in seno alla stessa Giunta di cui faceva parte.

Del precedente esecutivo sono rimasti Fontana e Theiner, due persone serie e oneste, virtù piuttosto rare di questi tempi. Nessuno dei due brilla per riformismo, ma neppure si può dire che siano degli ostinati conservatori.

Wanda Chiodi è una garanzia, non ha mai sbagliato un colpo. La sua sobrietà è di matrice scandinava: all’auto blu preferisce quella privata, ai ristoranti d’alta classe preferisce le pizzerie (e paga sempre di tasca sua!), considera chi lavora con lei dei collaboratori anziché dei subordinati. Sulle riforme è sempre stata tra quelli che tirano il carro, sul rigore amministrativo è inflessibile. Infine, ha l’esperienza ed una spiccata abilità nel gestire i rapporti con le altre forze politiche, ciò che serve in questo periodo alla Regione per uscire dalle secche.

Infine Andreotti. Con l’elezione a Presidente della Regione ha vinto alla lotteria. Ed assieme a lui il PATT. Per quest’ultimo, la nuova Giunta regionale rappresenta il riaggancio con mamma SVP, oltre che la smarcatura da un Governo nazionale insofferente verso le autonomie speciali. Inoltre, si tenga conto che la nuova legge elettorale costringerà il PATT a scegliere con chi stare: col centrodestra, per i motivi appena descritti, gli spazi per il PATT si erano ridotti al lumicino (come dimostra la sconfitta di Bezzi alle politiche), mentre col centrosinistra si apre la possibilità di una riunificazione degli autonomisti, che a questo punto possono ambire ad avere un ruolo da protagonisti nella coalizione.

Per quanto riguarda Andreotti, fino a poche settimane fa pareva avviato sulla strada del tramonto: oggi ha l’occasione di tornare in gioco. Peraltro, alla luce delle difficoltà nelle quali è incappata la Giunta provinciale in questa legislatura, sono in molti ad aver rivalutato l’esperienza di Andreotti alla presidenza della Provincia di Trento, nella scorsa legislatura. Andreotti è un po’ come lo Zelig del film di Woody Allen: come i camaleonti, assume le sembianze di chi lo circonda. Quando è attorniato da riformatori diventa riformatore pure lui, come quando guidò la Giunta provinciale con la sinistra. Quando invece ha avuto sul collo il fiato di Tretter, non ha esitato ad indossare braghe di cuoio e cappello piumato. Questa volta Tretter è fuori gioco e Andreotti avrà al suo fianco Wanda Chiodi: speriamo bene.

Sul piano programmatico la nuova Giunta si è posta pochi ma concreti obiettivi: approvare la legge sui comuni (quella che serve per garantire ai sindaci una maggioranza consiliare e che è bloccata in Consiglio da oltre due anni), approvare la legge sulle deleghe (che da sola sarebbe sufficiente per dare un senso alla nuova Giunta, poiché costituirebbe un punto di non ritorno sulla riforma della Regione) e lavorare per rendere più rigorosa e trasparente l’amministrazione regionale (facendo saltare qualche testa tra i dirigenti e tagliando le risorse che hanno alimentato spreco e malcostume per dirottarle sullo stato sociale). Visto il clima burrascoso in cui versa il Consiglio e considerati gli innumerevoli ostacoli che la nuova Giunta troverà sulla propria strada, realizzare questi obiettivi sarebbe già una piccola rivoluzione.

Riguardo alla riforma dello Statuto, invece, l’impressione è che si sia partorito un topolino. Dopo aver tanto discusso di assemblee costituenti e di commissioni speciali, la nuova Giunta si è limitata a proporre un fumoso tavolo di confronto, un modo elegante per dire che tutto è rinviato alla prossima legislatura.

Le motivazioni addotte per giustificare questa battuta d’arresto sono diverse: non c’è più il tempo perché manca poco più di un anno alle elezioni; il Consiglio è bloccato dall’ostruzionismo e dunque la riforma è impraticabile; il nuovo articolo 103 dello Statuto, recentemente modificato, assegna l’iniziativa per la riforma statutaria alle Province.

Sono tutte motivazioni piuttosto deboli, che in realtà nascondono altri problemi. Anzitutto, in seno alla maggioranza manca ancora un’idea sufficientemente condivisa sul futuro della Regione e nessuno intende rischiare una spaccatura a ridosso delle elezioni. In secondo luogo, la riforma dello Statuto, dovendo poi essere consegnata al Parlamento, rischierebbe di aprire spazi di visibilità e protagonismo al centro-destra, cosa che in vista delle elezioni si vuole in tutti i modi evitare. Infine, non si è voluto creare eccessiva attesa su un obiettivo che, sin dall’inizio, appare troppo ambizioso, pena il rischio di dover poi essere giudicati, nel novembre del 2003, sul fatto di non essere riusciti a mantenere le promesse.

In definitiva, sulla riforma statutaria la maggioranza regionale pare aver deciso di giocare in difesa, con la tattica dell’attendismo. Il pericolo, però, è che la nuova Giunta finisca per apparire preoccupata solo di tirare a campare fino alle elezioni. Staremo dunque a vedere fino a che punto il tavolo di confronto è una cosa seria oppure no. Tuttavia, un elemento positivo c’è sin d’ora: se è vero che prima di aprire fasi costituenti è necessario che vi sia almeno un’idea di massima su cosa si vuole fare della Regione, ebbene si può dire che con questa Giunta il club dei riformatori si sia allargato al PATT. Anche Zelig-Andreotti, infatti, ha fatto propria l’idea di una Regione senza competenze, che si configuri come il luogo della collaborazione tra le Province. E’ un fatto politicamente importante, poiché i conservatori non potranno rivolgere al PATTl’accusa sin qui rivolta ai DS, ossia quella di voler distruggere l’autonomia.

In tutta questa vicenda, in pochi hanno colto un aspetto umano che, a nostro giudizio, merita una sottolineatura. Ossia la dignità con la quale l’ex Presidente Margherita Cogo, almeno sinora, ha affrontato la situazione. Solitamente, chi si trova a vivere una vicenda come la sua finisce per farsi logorare dal rancore, rimanendo vittima della cosiddetta "sindrome di Occhetto". Gli esempi di casa nostra potrebbero essere Guglielmo Valduga, mai ripresosi dall’uscita dalla prima Giunta Andreotti della scorsa legislatura, o Sandro Schmid, che alla mancata ricandidatura alle politiche ha reagito in maniera scomposta. Margherita Cogo no. Pur attaccata da tutti, che l’hanno ritenuta responsabile del degrado della Regione in misura non inferiore di quella di Grandi ed Atz, la Cogo ha tenuto i nervi saldi. In Consiglio ha ringraziato le commissioni d’indagine, si è assunta la responsabilità di quanto accaduto (tant’è che si è dimessa da Presidente), si è detta orgogliosa della soluzione trovata dalla maggioranza ed ha fatto gli auguri di buon lavoro alla nuova Giunta. Dopo di che, ha diligentemente votato il nuovo esecutivo ed è andata a stringere la mano ad Andreotti.

Insomma, un comportamento di grande coerenza.