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QT n. 18, 27 ottobre 2001 Monitor

“Maria Stuarda”: un’opera d’arte

Per la stagione di prosa di Trento, ottima rappresentazione della bella, complessa, impegnata piece di Dacia Maraini.

Con tre colpi d’accetta, il 7 febbraio 1587, cadeva la testa di Mary Stuart. Vedova, prigioniera, cattolica, la regina di Scozia aveva perso da tempo il favore degli inglesi e della cugina Elisabetta. Al suo tragico destino, romanzato, s’ispirarono Campanella, Alfieri, Schiller, Donizetti, fino a Dacia Maraini, che proprio da Schiller partì verso una meta più sottile. "Tu non sei una bambina, sei una corona. Non sei un corpo che gioca, sei una statua"; ma Mary non imparò a rimuovere sentimenti, emozioni, l’intero universo femminile. Cosa che riuscì benissimo, e con molti sacrifici, ad Elizabeth. Androgina, maschile per il suo temperamento? Piuttosto senza sesso, né donna né persona, ma regnante.

Elisabetta Pozzi e Mariangela D'Abbraccio.

Il testo è di tale bellezza, impegno, complessità, che sembra partorito da Shakespeare, e ci auguriamo che non cada nel dimenticatoio com’è avvenuto per anni. La pièce, del ’75 (dell’80, secondo altri), è stata rappresentata in 22 paesi tra cui a malapena figura l’Italia. Per fortuna, sfogliando qua e là, Elisabetta Pozzi e Mariangela D’Abbraccio l’hanno riscoperto. Prima una lettura in pubblico, a Pordenone, poi la messinscena con la regia di Francesco Tavassi. Singolare la coincidenza di nomi fra le attrici e le regine, ma parlare d’immedesimazione sarebbe fuorviante. Entrambe, formidabili, sostengono due parti: quando la Pozzi è una sovrana, la D’Abbraccio è la sua serva, e viceversa. Nanny e Elisabetta I, Kennedy e Maria Stuarda, in un continuo gioco di specchi. Ciascuna è "l’impronta molle" dell’altra, il doppio, la coscienza come in "Duel". "Tu esisti perché io lo voglio" - redarguisce Elizabeth, e Mary ammette di "nutrirsi di se stessa". Ma la politica (ottusa) è degli uomini: invisibili ma onnipresenti, evocati, immaginati, scimmiottati, quasi fossero una proiezione, uno sfondo grigio-oro che opprime e rare volte appaga. La schiavitù ha molte facce e Elisabetta è sia vittima sia boia. Usa il potere è ne è sconfitta. Anche questo è femminismo, non pro o contro, ma per le donne.

"Maria Stuarda" ha fascino. Musiche, luci, costumi sono stati d’animo ironici e inquietanti nelle scene di Alessandro Chiti, divenuto "magicamente" Ugo nel programma: ingranaggi mossi a mano, concentrici, scardinati, con un senso profondo dello spazio che unisce e divide.

Nella morsa la solitudine, la statura di due donne dal destino opposto. E a chi oggi crede di sapere cosa è meglio per l’umanità, lasciamo le parole di Elisabetta I: "C’è di che dichiarare una guerra… ma non lo farò. Il mio paese non vuole guerre, il principio della vendetta non è nel suo spirito" salvo aggiungere in stile Machiavelli "Abbiamo bisogno di una Francia unita contro una Spagna in armi".

Una lezione di diplomazia…

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