Menù
Home
QT
Questotrentino
Mensile di informazione e approfondimento
Utente
Cerca

Amnesie, ipocrisie e falsità

L’America, l’Italia, la stampa e la sinistra.

Luciano Baroni

Nella marea dei commenti, delle interviste e delle opinioni in cui si è tuffata e guazza la quasi totalità dei mezzi di informazione di massa in questa debole Europa dove l’Italia (come direbbe Berlusconi) fa egregiamente la propria parte, le parole più lucide e perciò davvero preoccupanti sono venute dalla penna e dal pensiero di una donna alla quale dovrebbe essere grato anche più di noi il Paese che è suo.

Americana ed ebrea, nata proprio nella metropoli che ha subito la tragica aggressione dell’11 settembre, Susan Sontag, in un articolo apparso su La Repubblica del 17 settembre, si dichiara triste, depressa e sgomenta non solo e non tanto per ciò che è accaduto, quanto per la "sconnessione" e cioè per l’assenza di nesso tra un avvenimento di tale portata e "le sciocchezze ipocrite, le falsità belle e buone che vengono spacciate in America da quasi tutti i politici e i commentatori televisivi". Aggiunge la scrittrice che le sembra "che levoci autorizzate a seguire un evento di tale portata siano coalizzate in una campagna mirata a infantilizzare il pubblico". E quindi si chiede dove stiano nascosti quelli che dovrebbero riconoscere "che non si tratta di un vile attacco alla libertà o alla civiltà o al mondo libero. ma di un attacco all’autoproclamata superpotenza del mondo, sferrato in conseguenza di specifiche azioni e alleanze americane" e si domanda ancora: "Quanti americani sanno che l’America continua a bombardare l’Iraq ?".

Non siamo americani e non siamo ebrei come Susan Sontag, ma se ci si assolve, come ci auguriamo, dal sospetto di tolleranza filoterrorista e di indifferenza per la strage e i lutti di un’intera comunità, non possianmo non riconoscere che lo sgomento per l’ipocrisia e la falsità delle voci autorizzate vale anche per noi e che anche di noi parla la sua denuncia di una campagna volta a infantilizzare il pubblico.

E però, il fatto che più colpisce nel panorama delle reazioni di casa nostra è l’allineamento alle tesi della globalizzazione patriottarda non già di un pubblico, di un governo e di un’informazione già da tempo semiamericanizzati, ma quello di una certa sinistra che si indigna persino per una vignetta satirica su Bush o propone addirittura un fronte unico governo-opposizione accanto al quale il compromesso storico del PCI anni ‘80 figurerebbe come un capolavoro di intelligenza politica. E per spiegarsi o per capire i motivi di tali atteggiamenti non serve più la psicosi del crollo del muro a Berlino e del mito sovietico, né il timore di un’opinione pubblica drogata dall’anticomunismo berlusconiano, né l’ostentata e ahimè frustrata voglia di governo per il governo a ogni costo. C’è da un lato la cancellazione pura e semplice dei precedenti e dell’attualità di colpe che lo strapotere degli Stati Uniti ha commesso e commette nello scacchiere mondiale e in quello mediorientale: la maschera di una ignoranza, indotta, plausibile forse nei grandi numeri della popolazione ma imperdonabile nei politici di professione. Dall’altro una sorta di complesso di colpa che si è gonfiato fino a scoppiare davanti alle stragi dell’11 settembre: come il rimorso assurdo e tardivo di genitori troppo severi davanti a un’improvvisa, grave infermità del figlio. Ma a parte il ruolo improprio che a quella sinistra verrebbe così attribuito, di un simile stravolgimento del giudizio storico nei confronti di chi ha subito persecuzione ma diventa poi persecutore a sua volta, è testimone la falsa coscienza dell’Europa. Un’Europa che si accolla le colpe del genocidio degli ebrei e pensa di espiarle e di farsele perdonare ignorando spesso e tollerando quasi sempre la guerra che l’esercito israeliano combatte dall’alto della sua superiorità militare contro il popolo palestinese.

Ma l’essere stati e il continuare ad essere più che mai nemici del razzismo e il portare den- tro il cuore e la mente il martirio della Shoà non può tradursi nella giustificazione delle sofferenze di quel popolo, del saccheggio sistematico della sua terra, dell’uccisione di centinaia di suoi figli. E condannare il terrorismo e deprecare le stragi di Manhattan e di Washington non può significare il rifiuto della ragione, la perdita di memoria di un passato non lontano sul quale aleggiano, ombre sinistre, le guerre del Golfo e del Kosovo, le trame dei finanziamenti e degli armamenti ai talebani in funzione antisovietica, i corsi di addestramento dai quali in USA e in Gran Bretagna sono uscite le avanguardie di un terrorismo che si rivolta contro chi l’ha covato.

E se questa cecità della ragione si coniuga con l’isteria seminata a larga mano da un’informazione a tesi unica, non si va solo alla guerra dietro la febbre di vendetta e gli ultimatum di Bush ai soci della Nato, ma si finirà col giudicare correo del terrorismo e colpevole di tradimento militare chiunque avrà il coraggio di dissociarsi e l’onestà di rivendicare i diritti della libertà, la libertà di pensare, di parlare , di scrivere e di protestare, la legittimità e il bisogno della critica. Coraggio e onestà che possono e debbono spendersi anche in nome di tutti quelli che per suggestione, conformismo, per paura o per amore del quieto vivere, vi hanno ormai rinunciato.

Questo, forse, è il senso più profondo, l’avvertimento più allarmante del messaggio che Susan Sontag lancia con l’angoscia delle sue parole.