Globalizzazione a Bolzano
Anche la strada più caratteristica di Bolzano invasa dai prodotti delle multinazionali.
Bolzano è una città nata dal commercio. Il primo nucleo fu costituito dai Portici, dove i commercianti di Venezia e di Augsburg esponevano e scambiavano le loro preziose merci. Un negozio sotto i Portici è come un titolo nobiliare per i borghesi bolzanini.
Dunque è un avvenimento allarmante per tutti, se un commerciante dei Portici, il cui negozio esiste dal 1920, dichiara di avere deciso di andarsene e di spostare la sua attività in altro luogo, perché "l’amministrazione comunale ha promosso una politica di sviluppo non compatibile con la tradizione del commercio locale", con la conseguenza che "il turismo di massa ha imposto ritmi da supermercato e questo a spese della qualità del servizio".
I prestigiosi locali sotto i Portici verranno dati in locazione ad una multinazionale dell’abbigliamento, ennesimo segnale della trasformazione dei Portici in luogo qualunque, o sul modello americano. Per molti i vecchi negozi erano un punto di riferimento: davanti a Kompatscher, di fronte a Mumelter, nel portone vicino a Stadler. Così ci si orientava. Oggi ogni paio di mesi i nuovi negozi, che hanno fatto sparire i vecchi, cambiano e il centro della città diventa sempre più "qualunque".
Negli ultimi anni le scelte degli amministratori della città di Bolzano è stata quella di fare del capoluogo una mèta del turismo di bocca buona, con iniziative che hanno portato ad accrescere smisuratamente la quantità dei turisti di passaggio, che affollano ogni spazio, indirizzati dai grandi cartelloni che si sono appropriati dello spazio pubblico all’esterno dei parcheggi che assediano da vicino il centro storico e li dirigono senza compassione verso il Museo della Mummia e il mercatino di Natale, o una delle feste cosiddette popolari, senza bisogno di degnare di un’occhiata tutto il resto.
La politica ha incentivato questa scelta di consumo rapinoso, trascurando altri aspetti più caratteristici e colti della città. Così le lunghe file in pantaloni corti che aspettano di andare a rimirare la mummia, voltano le spalle, ignorandone l’esistenza, al bel Museo civico, avvolte, nell’attesa, dagli odori della multinazionale delle pizze e dalla vista mediatica dello speck anch’esso transnazionale (maiale olandese, allevato nei famigerati grattacieli, e fumo sudtirolese).
Il valore dei locali commerciali lungo la direttrice Portici-Ötzi è cresciuto vertiginosamente e sono spuntati una miriade di negozi di "marchio" che attirano gridando il passante frettoloso e abituato a trovare ovunque le stesse merci firmate. Mumelter, che vende stoffe e biancheria per la casa, annuncia che non può più reggere a pagare venti milioni di affitto al mese.
Schönhuber-Franchi vende le più belle chincaglierie della città, generazioni di bolzanine hanno comperato i loro servizi da tavola da festa, magari approfittando delle svendite per risparmiare, ma non rinunciare a piatti e tazzine "come si deve".
La sua scomparsa dai Portici è un segno che i residenti si ritirano nelle vie secondarie per far posto ai gruppi scesi dai pullman e diretti alle mète programmate da amministratori ormai dimentichi dell’abilità di coniugare tradizione e sviluppo. Così si aspetta di vedere se sarà Nike o Vuitton, Cacharel o Calvin Klein a prendere il posto dei piatti e delle zuppiere di Meissen e della Rosenthal. Intanto la città, che da molto tempo soffre di una crisi di identità, rischia di perderla del tutto, annegata nei marchi delle multinazionali. La tradizione viene cancellata, mentre le novità non riescono a trovare la via dell’inclusione, infruttuose, nell’attesa di una classe politica più colta e sensibile. Il nuovo intanto non ha alcun sapore, se non quello del trionfo del commercio senza faccia, uguale in tutto il mondo.
Se la multinazionale degli stracci firmati sarà abbastanza famosa, avremo un luogo sotto casa dove studiare e osservare come procede l’omologazione del paesaggio urbano e dei nostri cervelli e dove forse i giovani protesteranno per il furto che subiscono della memoria e della riconoscibilità dell’ambiente di vita, fatto in nome dei quattrini guadagnati in fretta e consumando il più possibile di risorse e di cultura a buon mercato.