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QT n. 11, 2 giugno 2001 Monitor

Tre italiani nella Parigi della Belle Epoque

Nell’arco di alcuni anni, intorno al 1870, tre pittori italiani si recano a Parigi e la scelgono come luogo di vita e di lavoro permanente: sono Giovanni Boldini di Ferrara, Giuseppe De Nittis di Barletta e Federico Zandomeneghi di Venezia.

Federico Zandomeneghi, "A letto (fanciulla dormiente)", 1878.

Non sono i primi italiani a intraprendere il viaggio. Altri avevano, dalla prima metà del secolo, sentito il fascino delle novità che venivano dalla Francia, il fascino di Delacroix, Courbet, Corot, la scuola di Barbizon. Ma si trattava allora di scambi ancora bidirezionali, come nota Rossana Bossaglia, con i francesi che continuavano a sentire l’Italia, il suo paesaggio (pensiamo appunto a Corot) e la sua cultura, come una fonte primaria di ispirazione.

La mostra in corso a Palazzo delle Albere (fino al 29 luglio) racconta le storie parallele di tre italiani desiderosi di evadere da quello che percepiscono come un contesto provinciale e soffocante. Non è un caso che ognuno di loro, prima di iniziare l’esperienza francese, abbia sentito il bisogno di cercare in patria gli stimoli antiaccademici, entrando in contatto con quello che fu a Firenze tra il 1855 e il 1867 (gli anni dell’unificazione) il gruppo di artisti più innovativo del paese, i macchiaioli.

C’è in mostra un quadro - forse il più bello di Zandomeneghi qui esposto, insieme ad "A letto" - che ritrae Diego Martelli. Chi era Martelli? Critico d’arte, amico e sostenitore dei macchiaoli, fu tra i primi ad apprezzare le novità dell’impressionismo, in ripetuti soggiorni a Parigi, e a parlarne in Italia. I due movimenti, tuttavia, erano fondati su presupposti estetici che avevano poco in comune.

Quel tanto di matrice macchiaiola che, ad esempio, De Nittis porta con sé, rende le sue opere ben distinte dalla poetica impressionista, nonostante certe affinità di soggetti, di composizione, di condizioni di lavoro en plein air. "La signora col cane", il suo quadro del 1878 che funge da icona della mostra, risente del gusto per il contrasto chiaroscurale di matrice italiana (nessun impressionista avrebbe interpretato in quel modo le parti scure del dipinto). De Nittis raccolse un grande duraturo successo tra la borghesia parigina, la sua casa divenne un frequentato salotto, lui il cantore dei riti e dei costumi della classe agiata, soprattutto del risvolto mondano delle corse a cavallo. Gli stessi temi, quando ricorrono in ambito impressionista, sono molto più liberi dalla connotazione sociologica e aneddotica.

Un successo fors’anche maggiore ebbe Giovanni Boldini.In questo caso, le opere esposte consentono meglio (per De Nittis manca un confronto con il "prima", e anche qualche significativa opera menzionata nel saggio della Sperken) di vedere il passaggio dalla fase giovanile a quella matura. Il ritratto della ragazzina Alaide Banti (1866) è grande pittura d’un realismo largamente fondato sul disegno, il valore chiaroscurale, il taglio compositivo. Poi vediamo il virtuosistico talento di Boldini piegarsi, a Parigi, al gusto corrente (tra le classi agiate) per il recupero del rococò, e più oltre, invece, il definirsi di quello stile "movimentato" e quasi presago delle ricerche futuriste, in cui le figure sono sottoposte a una torsione manierista e si sfrangiano in un turbinio di pennellate rapide e nervose.

Dei tre, Zandomeneghi appare il più influenzato dalla lezione impressionista, soprattutto di Degas e di Renoir. Meno organico alle esigenze di autorappresentazione della borghesia, interessato piuttosto a momenti della quotidianità e a figure femminili della piccola borghesia, appare però, da una certa data, troppo alla ricerca del momento pregnante, e la sua pittura insiste in filamenti pettinati e morbidezze compiaciute. Le sue due opere migliori, sopra citate, sembrano di un’altra mano, risalgno al 1878-79, una fase per lui di maggiore libertà creativa.

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