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Discorsi appassionati. E poi?

Bellissimo discorso di Veltroni ad Andalo: ma le grandi idealità servono solo nei comizi?

La sala del Palacongressi di Andalo era stracolma: ovvio, era l’atto conclusivo della Festa dell’Unità, con il comizio del segretario. I militanti erano anche contenti, quasi commossi: ovvio, altrimenti, che militanti sarebbero? Ma anche i dirigenti più smaliziati non nascondevano una vena d’emozione per le parole di Veltroni; emozione, sì, ma assieme a un po’ di smarrimento, di inquietudine…

Veltroni aveva fatto il suo discorso appassionato. Rivendicati i risultati dei governi di centrosinistra, agitato lo spauracchio dell’orrido centrodestra, aveva disegnato gli orizzonti della sinistra nel mondo del 2000. Un mondo percorso da grandi possibilità e grandi tragedie: Internet e i bambini che muoiono di fame, la tecnologia diffusa e l’incultura sostanziale, le possibilità della società multietnica e il pericolo del razzismo. In questo quadro la sinistra ha grandi compiti: perché è la sua visione del mondo - un mondo equilibrato, in cui si compensano gli squilibri - l’unica razionale, che coniuga moralità, lungimiranza, convenienza di lungo periodo.

Occhi lustri nella sala, durante l’applauso finale. Mi si avvicina un dirigente diessino: "Bel discorso. Ma è la quarta volta che glielo sento fare."

Appunto, non è un discorso di investitura, non è il programma per una nuova carica; Veltroni è segretario dei DS da due anni, il suo partito è al governo da cinque, lui stesso è stato vicepremier. Questo è il momento dei consuntivi: cosa ha fatto la sinistra al governo per tradurre in pratica questi orizzonti?

D’accordo: ha affrontato una situazione finanziaria drammatica e l’ha sanata mantenendo i livelli di benessere della popolazione; ha avviato riforme meritorie e decisive, nel fisco e nella macchina burocratica; ed altre coraggiose, seppur dagli esiti difficili (la scuola). Però tutte queste cose le avrebbe potute fare anche un governo di un sano centrodestra: è mancata insomma la visione d’insieme. E forse proprio in questa mancanza, si è inserito il politicantismo più deteriore, che non solo ha portato alla disgregazione dell’alleanza, ma ha inferto durissimi colpi alla società: basti pensare alla giustizia, già poco efficiente e tuttavia ulteriormente disastrata dai dilettanteschi interventi di questa legislatura (come su queste pagine tante volte hanno denunciato Giorgio Tosi e Renato Ballardini) perenne tavolo di baratto con le esigenze di Berlusconi, e terreno di rivincita del ceto politico umiliato da Tangentopoli. Su questo il centrosinistra paga oggi costi durissimi in termini elettorali; e la società regredisce in termini di civiltà, con il tema "sicurezza", diventato facile bandiera di odiosi demagoghi.

Ma il punto è a monte: perché è mancata questa visione d’insieme della società? Perché i grandi discorsi di Veltroni sono troppo simili a se stessi, e non considerano il momento del consuntivo?

"Veltroni la deve smettere con queste menate ideali, in cui ovviamente non crede. Crea solo confusione" - dichiarò pubblicamente uno dei tanti cinici personaggi dell’entourage di D’Alema.

Appunto. Se ci crede davvero, perché non affronta, perché non denuncia gli ostacoli nel tradurre in concreto le idealità? E perché, con un mandato così irrisolto, si appresta a lasciare il posto di segretario per la carica di sindaco di Roma, dove per la dolente Africa potrà fare proprio poco? "E soprattutto, perché lascia la segreteria a un politicante come D’Alema, che tiene solo al proprio potere? - mi/si chiede un diessino in crisi - E perché il mio partito accetta tutto questo?"