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Navigando sul lavoro

Secondo una ricerca americana, sono numerosi gli impiegati che trascorrono buona parte del loro tempo di lavoro vagando per Internet a scopo di diletto personale.

Adami Davide

All’interno del filone di studi che Transcrime conduce sulla sicurezza aziendale, assume una grande importanza l’analisi di quei comportamenti dei dipendenti che possono causare delle perdite ai propri datori di lavoro. Un comportamento rilevante, anche se spesso trascurato, è quello di coloro che trascorrono una parte del proprio orario di lavoro utilizzando il computer per scopi personali o navigando in Internet, occupandosi di questioni che con le loro mansioni lavorative non hanno nulla a che fare. Questo fenomeno si è imposto alle cronache grazie ad una ricerca compiuta da una società statunitense, la Nielsen Net Ratings.

Questa ricerca mostra risultati molto preoccupanti: il tempo trascorso per motivi personali in rete da parte degli impiegati sarebbe quantificabile in 21 ore settimanali, circa la metà dell’orario di lavoro. La questione non è quindi da sottovalutare, visto che l’analisi riguarda solamente l’abuso di Internet, tralasciando altre possibilità di svago legate all’utilizzo dei computer aziendali quali i videogame o i programmi personali: la dimensione del fenomeno appare quindi tale da meritare maggiore attenzione da parte dei responsabili della sicurezza delle varie imprese.

A tutto ciò bisogna aggiungere che questo modo di agire espone le aziende ad elevati rischi per l’integrità dei sistemi aziendali, visto che i lavoratori, utilizzando i computer per attività non permesse, rischiano di introdurvi virus che possono risultare estremamente pericolosi. E’ importante sottolineare che secondo il criminologo Marco Strano la fattispecie in esame è da considerare alla stregua di vero e proprio reato passibile di denuncia presso l’autorità giudiziaria, in quanto si può concretizzare nella figura di furto di un bene immateriale dove l’oggetto della sottrazione illegale è il tempo che dovrebbe essere dedicato alle proprie mansioni lavorative. In realtà sono quasi inesistenti i casi in cui le imprese denunciano i propri dipendenti, preferendo agire nei loro confronti con provvedimenti disciplinari. Spesso, però, tali misure appaiono insufficienti a contrastare il dilagare di questi comportamenti illegali.

Negli ultimi tempi le imprese, probabilmente motivate dagli scarsi risultati ottenuti con le misure repressive, si stanno muovendo verso politiche che hanno lo scopo di controllare gli illeciti in questione. La pratica più diffusa appare essere, soprattutto negli Stati Uniti, l’utilizzo di programmi informatici in grado di segnalare al responsabile del personale l’uso improprio del computer in dotazione, mettendo in atto un vero e proprio monitoraggio dei dipendenti. Il più diffuso di questi programmi risponde al nome di Investigator ed è il frutto di un compromesso tra le esigenze del datore di lavoro e la tutela della privacy del dipendente, visto che da un lato permette l’attività di monitoraggio, mentre dall’altro prevede che il lavoratore sia avvertito del controllo con un messaggio sul video del terminale utilizzato.

Iprogrammi di controllo dei dipendenti si stanno diffondendo anche in Italia, visto che si ritiene che almeno 20.000 computer siano ‘spiati’ dai datori di lavoro.

Questo comportamento pone questioni relative alla tutela della riservatezza dei dipendenti, dato che il controllo delle abitudini in rete può dare al datore di lavoro un profilo della personalità del proprio dipendente relativo, per esempio, alle abitudini sessuali o a particolari passioni dello stesso.

Sulla delicata questione si sta muovendo anche l’Autorità Garante della privacy, che ha avviato un’indagine conoscitiva per verificare quale sia il grado di penetrazione nella sfera individuale di questi nuovi software e quali le modalità di utilizzo in Italia.

La situazione appare, quindi, in continua evoluzione, anche se presumibilmente alle aziende non sarà concesso di operare rigidi controlli sui propri dipendenti. In realtà il problema vero non è come e se controllare.

Le imprese devono rendersi conto che è necessario cambiare il loro approccio alle problematiche relative alla sicurezza.

Bisogna cercare di privilegiare, oltre alle classiche metodologie di prevenzione, le politiche ad ampio raggio, quali la creazione di un’etica aziendale o la diffusione di codici di condotta concertati con i dipendenti.

Queste pratiche agiscono direttamente sulla sfera emozionale del potenziale criminale, influenzando la decisione razionale di commettere o meno un comportamento anti-aziendale.

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