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Un Eden praecox

Cento opere di nuova scrittura per ri-creare nuovi codici linguistici.

Non è la prima volta che il Museo d’Arte Moderna di Bolzano esplora i territori minati della "pratica visuale del linguaggio", di un procedere artistico che fa del rapporto parola-immagine un modo forte, a tratti eversivo, di incidere sulla realtà con una serie di domande riguardanti i motivi dello scrivere, i codici che adoperiamo, la ricerca di ulteriori materiali espressivi e la manipolazione di segni e messaggi sotto la veste di un’ingenuità solo apparente.

Ultimamente l’istituzione altoatesina ha acquisito insieme con il Mart trentino come prestito per 20 anni l’imponente collezione Della Grazia (l’Archivio di nuova scrittura-Milano) e da questa autentica miniera sono state scelte circa cento opere per una mostra itinerante. La rassegna, che rimarrà aperta fino al 5 marzo, presenta gli immediati precedenti storici (i libri futuristi, colti nella loro carica innovativa) e le opere che dagli anni Cinquanta, quando forte era il rapporto con la pittura (come ad esempio nel caso di Gastone Novelli), in poi realizzano dei veri e propri poemi-collages per far emergere con chiara evidenza il netto distacco, da parte di queste ultime generazioni di autori, dai codici linguistici comuni e dai tentativi di carattere soltanto formale che da secoli si succedono nella direzione di un allargamento e rinnovamento delle norme della scrittura.

Dai technopaegnia di Simia, Teocrito, Porfirio (componimenti poetici che visualizzano sulla pagina un oggetto - l’uovo, la zampogna, la scure, l’altare...) attraverso la ricerca abile ma rigida, alle lettere inserite all’interno di contorni stilizzati di città nel Rinascimento, e giù fino a Bonnard che dipinge nel quadro pagine di giornale, a Van Gogh con gli ideogrammi dipinti a lato de l’"arbre d’après Hiroshige" o dei Cantos di Ezra Pound, è mancata in questi tentativi la consapevolezza di un utilizzo della parola come segno tra segni.

Il linguaggio scritto, la parola scritta sono messi a nudo e sezionati come in un gabinetto di anatomia, smontati e ricomposti dalle sensibilità individuali a disposizione del fruitore e della collettività sociale, pronti a scardinare certezze e a costituire nuovi significati. Distesi sul foglio, appallottolati, aggrumati i segni diventano le modalità dello spaesamento e del disordine, ma anche il luogo del gioco semantico, dell’interazione, della contaminazione e dell’azzardo, nella ricerca di una molteplicità dei punti di contatto. Un gioco di intarsi dannatamente serio ci trasporta dagli elementi calligrafici alle citazioni, dalla dissoluzione di lettere o dell’intera pagina al recupero della quotidianità e del banale. E si passa dalla "scrittura illeggibile di un popolo sconosciuto" di Munari attraverso l’impiego di scritture d’invenzione, allo stacco che la parola "silenzio" chiede imperiosamente al rumore della pagina (opera di Claudio Parmiggiani) ,o al " progetto panteistico" nei processi di crescita di una foglia (di Vincenzo Agnetti), alle scritture minuscole di Magdalo Mussio cariche di rimandi e addensamenti improvvisi, fino al grande riporto fotografico di angeli e santi trecenteschi che dà al sornione Sarenco la carica per intonare l’"avanti popolo alla riscossa"...

Tanto materiale ri-creativo di contro alle formule vaghe e stantie del nostro vivere, educazione radicalmente diversificata nell’uso e nel consumo dei canali comunicativi e di quello che si intende generalmente per cultura.

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