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QT n. 2, 22 gennaio 2000 Servizi

Un Pasolini “a tesi” fra new age e provocazione

Una mostra a Bolzano sullo scrittore e regista: considerazioni sulle politiche culturali dell’ente pubblico e sui rischi della cultura-spettacolo.

Bertorelle Carlo

Le polemiche innescate sulle manifestazioni culturali pubbliche (dopo l’insuccesso della recente mostra del Comune di Bolzano intitolata "Mir - Arte nello spazio") riaprono il discorso anche sulla recentissima mostra su Pasolini, legata al filmato Rai "Un giallo puramente intellettuale". Anche in questo caso dubbi e perplessità sulle politiche culturali, e relativi finanziamenti, responsabilità e scopi appaiono legittimi. Di qui il dibattito che si è aperto sul senso di alcune manifestazioni: servono veramente come intervento di promozione e allargamento culturale o sono piuttosto politica di immagine per gli enti che le organizzano?

Esercitarsi nel commento critico a proposito della rassegna su Pasolini ("Organizzar il trasumanar", Bolzano 4 ottobre - 6 novembre 1999) allestita dalla Provincia e dal Comune di Bolzano significa in primo luogo affrontare il pittore friulano Giuseppe Zigaina, amico e coetaneo di Pasolini, che ha improntato di sé e della propria lettura pasoliniana tutta la mostra. Col contorno di una non debolissima lobby editoriale e promozionale (editore Marsilio in testa, ma anche altri editori, gallerie d’arte, giornali, Rai, enti locali capaci di lauti finanziamenti), a dispetto dell’ostracismo di cui lo stesso Zigaina e i suoi seguaci più fervidi si dichiarano vittime e che verrebbe dai circoli letterari e culturali ufficiali.

Due parole allora sui contenuti principali di questa mostra e sulla sua impostazione, prima di passare a qualche considerazione sui rischi delle politiche culturali da cui nascono simili iniziative.

Già dal titolo della rassegna appare una tendenza disinvolta a forzare filologicamente l’autore e ad imboccare un percorso esoterico e misticheggiante. Una raccolta poetica ben precisa di Pasolini, con date, contesti e contenuti piuttosto chiari ("Trasumanar e organizzar", del 1972) diventa "Organizzar il trasumanar" e il sottotitolo invita accattivante ad "oltrepassare" non ben precisati confini. E va bene, oltrepassiamo. Tale motto, ci viene spiegato in qualche didascalia, sarebbe l’interpretazione legittima di una frase detta da Pasolini ad un giornalista francese in un’intervista sul suo progetto di film su San Paolo. Questa tecnica a scatole cinesi di interpretare rifacendosi ad altre interpretazioni è tipica del metodo investigativo di Zigaina che sarà affascinante, come dice qualcuno, ma è parecchio arbitrario. Per fortuna i testi di Pasolini ci sono, disponibili a chiunque, e alla fine diranno qualcosa a chi li vuol leggere attentamente senza farsi condurre per mano da nessuno.

Intendiamoci, il riferimento c’è nel verso di Pasolini della poesia che dà il nome all’intera raccolta ("Non a caso ho sulla schiena la mano sacra e untuosa di San Paolo che mi spinge a questo passo");ma si riferisce alla lacerante contraddizione politica ed esistenziale che il poeta spesso ha espresso tra la vocazione intellettuale e l’impegno militante nel partito della classe operaia, il Pci; e lo slancio apostolico di San Paolo diventa un emblema di militanza attiva. Zigaina o chi per lui parte quindi da un dato, ma poi lo "monta" in termini e con svolgimenti del tutto arbitrari e deformanti.

Pasolini viene qui presentato come un "santo", appunto accostato all’ esperienza mistica, e più in generale ai "cristiani delle origini".

Strettamente collegato con questa tesi di fondo è l’altro chiodo fisso della rassegna: la rilettura di tutta l’opera di Pasolini alla luce di alcune categorie antropologiche sulla morte esibita, sul corpo e sul mito sacrificio-rinascita, comune a religioni e miti classici. E anche questo ha indotto una prospettiva interpretativa parziale e funambolesca su tutto Pasolini per riconoscere in diversi testi dell’autore un consapevole progetto di costruzione della propria morte, come espressione finalmente libera e capace di senso. Un atteggiamento, questo, sicuramente serpeggiante nel poeta, legato al suo profondo istinto di morte e all’estrema protesta contro il potere del capitalismo consumistico, contro il quale, soprattutto per il Pasolini del pessimismo apocalittico di "Salò" e di "Petrolio", si affaccia anche l’ipotesi chenon si possa far altro che offrirsi come vittime. Il che dà qualche fondamento allo scavo critico tentato, ma non consente di esaurire in tali termini l’opera dell’artista nel suo complesso.

Infine, con un corto circuito tra opera e vita, la mostra di Zigaina mescola il tutto e assicura che anche nella realtà dei fatti Pasolini aveva organizzato il proprio omicidio ad opera del giovane Pino Pelosi nella notte del 2 novembre 1975 sul prato di Ostia.

L'esempio della mostra fotografica e pittorica, allestita sempre da Zigaina al primo piano del centro culturale "Trevi" non è stata da meno: il visitatore veniva infatti aggredito da un percorso fortemente "a tesi", con forti citazioni e titolazioni perentorie, quasi del tutto decontestualizzato dall’insieme dell’opera di Pasolini. Difficile immaginare quale conoscenza di Pasolini e della storia italiana della seconda metà del secolo poteva sollecitare questa mostra, soprattutto in un pubblico di giovani nati diversi anni dopo la morte del poeta e privi di quei requisiti di conoscenza per poter apprezzare e anche giudicare, relativizzandola, la prospettiva tutta particolare di questo percorso.

Interloquire con queste posizioni è difficile, come appunto si diceva all’inizio. E non solo per il loro carattere ispirato, assertorio, da "prendere o lasciare". Ma anche perché si aveva l’impressione, al di là della proclamata volontà demistificatrice, di trovarsi proprio dinanzi alla elaborazione di un nuovo mito. Magari per voler fare i conti con un passato ideologico in cui molti hanno fatto ricorso a formulette deformanti, si rischia così di erigere nuovi altari: non più al "poeta civile" o al "ribelle" degli "Scritti corsari", ma al "santo" e alla "vittima sacrificale". Non sfuggiva insomma l’impressione di un tipo di ricezione new-age, frutto contraddittorio del clima postmodernista: una ricezione che, anche nella rilettura di Pasolini, sembra orientarsi verso prospettive di rilancio di valori antistorici e pseudospirituali.

Romano Luperini, dell’università di Siena, già alcuni anni fa aveva scritto: "Coloro che fanno di Pasolini una sorta di santo laico immolatosi sull’altare del sacrificio lo uccidono una seconda volta non meno di quelli che il 2 novembre 1975 hanno tirato un sospiro di sollievo e si sono affrettati a voltare pagina".

La preoccupazione - ed è innanzitutto uno scrupolo epistemico - nasce vedendo che si è fatto, in tutto questo, uno scarso servizio alla conoscenza di Pasolini. E’ stata insomma un’occasione sprecata, rovinata da un provinciale e velleitario desiderio di meravigliare. E qui entrano in ballo le responsabilità degli enti pubblici che organizzano rassegne tanto importanti che portano tuttavia ad una lettura acritica e sbilanciata di tutta una fase storica e letteraria. Se infatti ciascuno può prendere le sue bufale e dire le cose più bizzarre nel libero dibattito delle opinioni critiche, quando si organizza qualcosa col denaro pubblico bisogna, a mio parere, affidarsi a criteri deontologici un poco più avveduti. Altrimenti quello che rimane è, di fatto, la promozione di Zigaina e il sostegno ben organizzato ad una precisa impostazione culturale e ideologica.

E’ opportuno quanto meno che si conosca quale è lo stato degli studi e il panorama della ricerca su un fenomeno artistico, in modo che le decisioni politiche delle amministrazioni pubbliche siano dotate degli strumenti per decidere consapevolmente un intervento culturale; così la particolare impostazione di Zigaina poteva essere contemperata con le altre interpretazioni di Pasolini, soprattutto in una rassegna di così ampia durata, e magari non dimenticando di inserire un letterato nella ampia rosa degli invitati (Pasolini in fondo è prima di tutto uno scrittore, o no?).

In secondo luogo si potrebbe scegliere un taglio comunicativo che favorisca la conoscenza e la ricerca anziché tarparle con posizioni già date in partenza come dogma. Non basta rispondere, come è stato fatto, che si vuol far nascere il dibattito: la provocazione potrà anche andar bene, ma purché parta da un ragionamento col quale ci si possa confrontare, producendo un risultato di allargamento culturale. Lasciamo le provocazioni vere a chi ha i numeri e l’istanza morale autentica per farle. In fondo oggi mass media, spettacoli, entertainment e management culturale ed editoriale di ogni genere fanno a gara in finte provocazioni che muoiono nel giro d’una stagione e alla fine stancano la gente; e puntiamo, soprattutto nelle manifestazioni culturali pubbliche, a far circolare strumenti seri e razionali di consapevolezza culturale, di crescita del patrimonio di conoscenze e di informazioni, a presentare ad esempio un artista come Pasolini nella sua completezza e nella pluralità dei punti di vista su di esso.

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