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QT n. 22, 18 dicembre 1999 Servizi

DS: la svolta di Mauro Bondi

Il nuovo segretario dei Ds: con l’inaspettato plauso di Pinter e Dellai.

Sono stati due autorevoli interventi esterni, del presidente della giunta provinciale Dellai e del vice Roberto Pinter, a dare la cifra del congresso Ds. Tra le righe il messaggio di entrambi - sia pur da posizioni molto diverse - era lo stesso: "Okay, state per eleggere segretario Mauro Bondi, avrete un ruolo più incisivo, a noi va bene così". E il congresso risultava tranquillizzato: si temeva che la sostituzione di Stefano Albergoni con Bondi, esplicitamente contrario all’evidente subalternità diessina alla Margherita e ai troppi condizionamenti di Solidarietà, potesse portare a lacerazioni con la giunta e con i partner di Solidarietà. Invece proprio Dellai e Pinter riconoscevano la necessità di una più decisa azione riformatrice nel governo provinciale, e quindi l’importanza di una presenza diessina più incisiva. Per Mauro Bondi era il riconoscimento definitivo.

Aveva iniziato Dellai. Un bel discorso, alto, di quelli che sa fare lui: "Attenzione - diceva - ai nuovi problemi della competizione: la popolazione può dare risposte segnate dalla paura e dalla chiusura, vedi cosa succede da tante parti nell’arco alpino. In Trentino dobbiamo imparare a misurarci con i cambiamenti: e questo è il nostro ruolo, questo è fare qualcosa di centro-sinistra." Da qui l’importanza non solo delle istituzioni, ma delle forze politiche; e quindi la positività che esse vogliano recuperare un ruolo forte, inteso come impulso riformatore, stimolo progettuale, e non - aggiungiamo noi - come corsa alla poltrona.

Discorso diplomatico quello di Dellai? Il volpone fa buon viso a cattivo gioco, cioè saluta con favore la sostituzione del manovrabile Albergoni con l’ostico Bondi, ma solo perché non può opporsi? Probabilmente sì; ma comunque l’atteggiamento non può che essere giudicato positivamente.

Poi parla Pinter. Come fa ultimamente, a cuore aperto, spiattellando tutte le difficoltà di una politica riformatrice nell’attuale situazione: "Se parti cospicue della società esprimono una tendenza all’individualismo, e parti della politica tendono a canalizzarlo, noi dobbiamo andare in senso opposto. Però sono preoccupato per i risultati che stiamo conseguendo al governo: è giusto chiedersi e aspettarsi di più."

Ma proprio per questo, oltre agli amministratori occorre una sinistra diffusa che stimoli. Una sinistra, insiste Pinter rimarcando - sia pur in termini non conflittuali - la differenza da Dellai, perché significative sono le divergenze dalla Margherita: soprattutto sullo sviluppo sostenibile e sulla necessità di "voltar pagina" (dallo slogan elettorale di Dellai) per davvero, superando le tentazioni conservatrici, le resistenze dei privilegiati, la politica delle nomine come sistemazione degli amici. "Questi i nodi: se su di essi la sinistra non si misura, va verso la sconfitta."

Segnale forte e chiaro. In realtà quest’esigenza di una accentuazione della caratura riformista dell’azione di governo, viene a Pinter anche da problemi interni. Non tutta Solidarietà vive con militante fiducia l’attuale esperienza: negli stessi giorni alla presentazione della nuova rivista de "il Manifesto" (Il "Manifesto" dell'altra sinistra) Elio Bonfanti, anch’egli di Solidarietà, era uscito con durissime emblematiche frasi ("E’ ora di dir basta alla cultura di governo!"). Senza risultati tangibili sul versante riformatore, e se invece persevera in giunta l’egemonia della cultura asfaltista dell’assessore Grisenti, Pinter rischia negli stessi suoi rapporti all’interno della propria formazione politica. Di qui l’oggettiva convergenza con una forte ripresa di iniziativa da parte dei Ds, e il favore verso Bondi e il suo anteporre la politica riformatrice alle diplomazie di partito. Così, se Bondi mette in soffitta la fumosa idea di una federazione della sinistra, cara all’ex-segretario Albergoni e all’altro candidato Bressanini, e ruvidamente afferma "basta discutere su come stiamo assieme, parliamo di cosa facciamo, il resto verrà", Pinter non promette sfracelli; ma pacatamente risponde: "Alle elezioni del ‘98 è stato sottoscritto un patto per fare un soggetto unico della sinistra: per noi è ancora valido".

E'con queste premesse che Bondi, la strada spianata, presenta la sua relazione. Non un intervento da candidato alla segreteria, ma da nuovo segretario; con diversi appelli a un rinnovato patriottismo di partito e una insistita rivendicazione della novità di una segreteria affidata a uno come lui, proveniente da un’altra esperienza, quella socialista: "Le nostre porte sono spalancate, e io stesso ne sono la pratica dimostrazione".

Ma soprattutto la relazione (stesa - e si vede - con la collaborazione di Giorgio Tonini, già dei Cristiano-sociali, oggi a Roma ghost-writer di Veltroni; e soprattutto di Michele Guarda, segretario particolare prima di Wanda Chiodi e ora di Margherita Cogo) tende a fissare un’asse attorno a cui far ruotare la politica trentina. Ed è il rinnovamento della società, attorno a due concetti-chiave, "innovazione" e "intelligenza". Di qui da una parte un’inserimento in una più generale politica economica che tenga conto delle esigenze anche dei paesi poveri (a loro le produzioni di base, a noi quelle ad elevato contenuto tecnologico); dall’altra la prospettiva di innescare in Trentino uno sviluppo solido e duraturo. Di qui, a cascata, la priorità degli investimenti in istruzione, ricerca, cultura, l’approccio alla questione ambientale, quello al nuovo welfare.

Su questi punti Bondi, evidentemente sicuro della vittoria, prendeva il toro per le corna, affrontando di petto temi rischiosi, prima sostanzialmente rimossi. Anzitutto l’ambiente, su cui lo scorso congresso Ds (al tempo Pds) si era diviso, con l’allora neo-segretario Albergoni che stoppava tutti, decideva di avocare a sé la problematica, e infilava mozioni e documenti in un cassetto di cui buttava via la chiave. Bondi invece afferma la priorità ambientale, la necessità di cambiare le fondamenta dello sviluppo turistico; ma proprio per questo - frase che ha allarmato gli ambientalisti doc - "non possiamo limitarci a dire tanti no: alla PiRuBi, all’aeroporto, alla Pinzolo-Campiglio, alla Val Giumela... dobbiamo dimostrare che tutelando l’ambiente si può produrre ricchezza, anzi maggior ricchezza e più duratura".

E così sul welfare, sulla necessità di assumersi l’onere di riformarlo, "ma con il risultato finale di aumentare le prestazioni, non di ridurle".

Insomma una relazione vera che apre discussioni, pone problemi, semina anche dei dubbi. Ma che rappresenta una base per una politica che non sia il solito giochetto delle alleanze. Il favore con cui veniva accolta, prima ancora delle votazioni del giorno dopo, proclamava Bondi nuovo segretario.

Il nuovo segretario dei DS Mauro Bondi (a destra), assieme all'on. Luigi Olivieri, e alla consigliera Wanda Chiodi, entrambi suoi supporter.

Ei perdenti? Stefano Albergoni usciva di scena con dignità. Qualcuno lo descriveva rancoroso per una per lui incomprensibile defenestrazione; e ci si aspettava una relazione astiosa, in cui - prevedeva un quotidiano - "si sarebbe tolto diversi sassolini dalle scarpe".

Nulla di tutto ciò: una relazione giustificazionista del proprio mandato, ma tranquilla, serena. Il partito poteva voltar pagina senza troppi traumi. Di questo i presenti gli erano grati, salutandolo con applausi sinceri. E Giorgio Tonini si assumeva il compito del saluto di commiato, elargendo anche qualche elogio di troppo, ricordandone il "costante spirito di collegialità nelle decisioni" quando invece gli oppositori (e proprio Tonini in prima fila) gli avevano sempre rinfacciato di fare tutto da solo.

L’altro candidato segretario, Ottorino Bressanini, usciva ancora meglio. Rassegnato alla sconfitta fin dall’inizio dell’assise (anzi, fin dalla sconfitta nel congresso di Rovereto), si presentava con una relazione a braccio, invero non molto ricca di contenuti. Era chiaro che non ci credeva più: la conta dei delegati era irreversibilmente per Bondi. A questo punto dava il meglio, contribuendo, con sagge parole e una tempestiva rinuncia a una serie di pleonastiche votazioni, a svelenire un confronto che aveva avuto aspetti anche troppo aspri. E disarmando così alcuni pasdaran che intendevano proseguire la battaglia ad oltranza.

Il congresso poteva così terminare con il rituale embrassons-nous, con Bondi e Bressanini che si baciavano felici e contenti.

I prossimi mesi ci diranno se sono tutte rose.