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Sovranità popolare: c’è ancora?

Cosa succede quando il “popolo” diventa ”gente”.

Dall’epoca della Rivoluzione americana e francese - sono ormai due secoli - è principio fermo in ogni democrazia e comune convinzione che la "sovranità" non appartiene al monarca ma esclusivamente al popolo. Così è in tutte le democrazie liberali dell’occidente. L’Italia non fa eccezione. L’art.1 della nostra Costituzione stabilisce: "La sovranità appartiene al popolo". Per sovranità popolare si intende il potere politico nella sua radice primigenia, da cui traggono legittimazione il potere legislativo (il Parlamento), quello esecutivo (il Governo) e quello giudiziario (la Magistratura). Fino a qualche decennio fa il principio costituzionale rispondeva grosso modo alla realtà: dal dopoguerra in poi il popolo italiano ha effettivamente esercitato la sua sovranità "nelle forme e nei limiti della Costituzione", cioè eleggendo i propri rappresentanti (deputati e senatori) al Parlamento, cui spetta, con il concorso dei partiti (art. 49 della Costituzione), il compito di legiferare, di dare o ritirare la fiducia ai governi, cioè, in una parola, di determinare la politica nazionale. Così è stato fino a quando alla politica corrispondevano interessi e idee forti, contrapposizioni chiare, schieramenti immediatamente comprensibili dal "popolo sovrano", che infatti partecipava, discuteva, si organizzava, lottava. Le idee e i programmi della cultura cattolica, di quella comunista, di quella socialdemocratica e liberale, di quella fascista trasparivano attraverso i simboli della DC, del PCI, del PSI, del PLI e del MSI, ed erano immediatamente percepiti dagli elettori. Dietro i simboli c’erano soggetti forti, riconoscibili: classi, lavoratori e grandi proprietari, gruppi e posizioni culturali, dallo storicismo al marxismo, al solidarismo cristiano e al liberismo. Una storia leggibile nonostante le contraddizioni e l’esistenza del doppio Stato (quello legale e quello illegale della mafia, della P2, dei servizi deviati, dello stragismo). Questo mondo sembra non esistere più, salvo la doppiezza dello Stato. Alle idee forti e alle contrapposizioni chiare è subentrata la confusione, la futilità, la rissa da cortile, la verbosità inconcludente, gli insulti e gli "sgarbi quotidiani" che coprono la dilagante vitalità del mercato. La lotta di classe (che esiste ancora) si è occultata, sta subendo una eclisse mediatica ad opera della globalizzazione, parola che vuol dire tutto e nulla. Da quando le "masse" e il "popolo" si sono trasformati nella "gente" cara a Berlusconi, la politica non rimanda ad alcuna reale alternativa tra forze collettive determinate, interessi popolari e no, tra differenti concezioni della organizzazione e del governo della società. Il conflitto fra capitale e lavoro, che continua ad essere l’asse portante, e gli altri conflitti che caratterizzano la società (produzione e ambiente, nord e sud, uomini e donne, giovani e vecchi, ecc.) sono sepolti dal chiacchiericcio che ci informa ogni giorno su orribili delitti comuni (che ci sono sempre stati), ma tace sulle cause vere degli eventi, tace sugli oleodotti che devono passare in Kossovo e in Cecenia, tace sull’emergere della Cina, tace sulla iniquità che il prezzo di acquisto e di mantenimento di un calciatore di serie A, per una stagione sportiva, equivale all’aumento di salario di un milione e mezzo di operai metalmeccanici in occasione dell’ultimo rinnovo contrattuale. La "gente" accetta e si adegua. Si ha l’impressione che la democrazia sia stata svuotata di contenuto: rimangono (per ora) le libertà garantite a tutti e a ciascuno, ma la partecipazione alle decisioni non c’è più. Trasformandosi da "popolo" a "gente" i cittadini hanno delegato ogni scelta, anche la più grave, a gruppi politici ristretti, quasi ad oligarchie che decidono nel disinteresse generale. Un esempio eclatante è costituito dalla recente guerra nei Balcani. L’Italia ha partecipato in prima linea all’intervento militare contro la Serbia, senza che il Governo chiedesse la preventiva autorizzazione del Parlamento (come prescrive l’art. 78 della Costituzione), e nessuno ha protestato e chiesto spiegazioni. Su una questione così grave come la guerra la "sovranità popolare" è stata elusa, con una grave violazione della lettera e dello spirito della Costituzione. Anche i partiti politici non hanno consultato la loro base, che è stata scavalcata da decisioni di vertice e messa di fronte al fatto compiuto.

Questa obliterazione della volontà popolare è particolarmente grave per la sinistra, che ha (aveva?) ereditato una tradizione non "pacifista" ma di difesa attiva della pace, in sintonia con l’art. 11 della Costituzione. Con la guerra nei Balcani il "ripudio della guerra" come strumento di risoluzione delle controversie internazionali è diventato una frase priva di contenuto. Il declino grave della sovranità nazionale è dimostrato anche dall’astensionismo elettorale, che nelle recenti elezioni europee e nelle ultime suppletive di domenica 28 novembre ha raggiunto livelli prossimi al 50%. Il cittadino che si astiene rinuncia di fatto alla sua quota di sovranità. Un ulteriore esempio è costituito dal conflitto, falso nella sostanza ma urlato nella forma, fra i poteri dello Stato. Solo quando la radice della sovranità popolare è scalzata o consunta, può accadere che un oligarca della politica come è Berlusconi si ribelli al potere giudiziario e con lucida arroganza continui a proclamare ai giudici non la sua innocenza, ma la sua impunità: "Voi non potete giudicarmi. Voi siete un cancro da estirpare. La legge sono io!" Questo in sintesi il messaggio di Berlusconi che passa nella testa della "gente" e che invece sarebbe stato respinto con sdegno dal "popolo", cioè da un soggetto politico con idee forti, partecipe della "res publica". E’ lecito dunque chiedersi se esista ancora la sovranità popolare, o se sia stata trasferita nel passaggio fra la prima e la seconda repubblica a oligarchie ristrette, che non si limitano a parlare un linguaggio incomprensibile, ma prendono decisioni anche gravi come la guerra senza neppur chiedere il nostro parere. Se così fosse, il ritorno della sovranità nelle mani del popolo passerebbe necessariamente per la restituzione alla politica di una conflittualità autentica, partecipata, fra interessi e valori contrapposti. L’alternativa è l’anemia perniciosa della democrazia.

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