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QT n. 21, 4 dicembre 1999 Servizi

Centro Sociale: la piccola città contro i giovani irrequeti

La breve, intensa, tormentata esistenza del Laboratorio autogestito “Cirano” di Rovereto. E il clima benpensante che lo ha fatto chiudere.

Dopo mesi di polemiche, sabato 20 novembre è stata scritta la parola fine alla turbolente vicenda del Laboratorio autogestito "Cirano", espressione dell’associazione "Le Rêve", sito in via Savioli a Rovereto. Questo locale di circa 150 metri quadri, al piano terra di un edificio del ventennio con un soffitto troppo basso, è stata la sede di concerti e dibattiti e laboratorio d’arte di un gruppo di giovani. Ma soprattutto sede di concerti, che hanno visto una larga partecipazione giovanile. Troppa, visti gli esiti.

Ma torniamo indietro: come mai, dopo un’esperienza di circa un anno, il Comune di Rovereto ha deciso di non rinnovare la concessione all’uso dei locali? Le doglianze pubbliche nei confronti dei frequentatori del centro sono di essere dei fracassoni, di ospitare ubriachi e di tollerare l’uso delle droghe leggere. Sono stati anche sospettati di essere fiancheggiatori di anarchici, indagati dalle procure d’Italia.

Ma se sono davvero così cattivi, perché hanno chiesto lo spazio al Comune invece di occuparlo? E perché hanno sempre pagato l’affitto, circa 300.000 lire al mese? E perchè una volta cacciati, se ne sono semplicemente andati? Non è che forse, l’intera vicenda sia stata un po’ sopravvalutata?

La storia è interessante e ricordiamoci che si svolge nella dimensione di una cittadina di 30.000 abitanti, benestante, tollerante, e soprattutto, in un ambiente che gode di una stabile pace sociale. Perciò lasciamo stare l’anarchia e la lotta di classe. O almeno: diamogli il giusto peso, cioè poco. Il problema non è politico, è culturale.

Il centro di via Savioli è stato assegnato all’incirca un anno fa ad un gruppo di giovani che avevano fondato il Laboratorio Autogestito. Ma la storia viene da più lontano. Infatti esisteva un impegno delle amministrazioni comunali precedenti di assegnare uno spazio ai giovani che ruotavano attorno al Centro Sociale ‘Clinamen’. Questi infatti avevano uno spazio in un vecchio stabile del centro, dal quale però erano stati sfrattati per lavori di ristrutturazione. Le amministrazioni passano, ma i problemi restano e dopo tanta tenacia, dopo qualche anno, arrivano gli spazi di via Savioli, precedentemente occupati da una stamperia.

E così nell’ottobre scorso riprende l’attività di questo circolo culturale-politico. Culturale, perché le attività di maggiore impatto sono concerti rock nei fine settimana. Politico, perché comunque l’organizzazione ruota attorno alla rielaborazione di idee libertarie.

E qui iniziano i guai. Perché le scelte del gruppo sono prive di qualsiasi previsione strategica, o meglio, di qualsiasi diplomazia, e men che meno si pongono il problema di prevedere quali siano le reazioni della città a iniziative decisamente anomale. Così i concerti registrano un eccesso di successo: una musica che finalmente non è l’ennesima cover-band di Vasco Rossi, attira in spazi angusti 100, 200 giovani per sera. E poi la politica: tra tutte le battaglie, una domina su tutte, la legalizzazione delle droghe leggere. E tutte le leggende sul Laboratorio partono da qui.

Purtroppo all’inizio i problemi organizzativi si sentono. Da una parte, il gruppo storico sembra un po’ tirarsi indietro. In fondo gli anni passano, e la stessa amministrazione comunale vede cambiare gli interlocutori; che, ahimé, diventano più giovani e più sprovveduti. Nel nome della libertà, ai concerti i ragazzi del pubblico hanno la piena libertà di bere senza che qualcuno gli faccia presente che non è il caso di esagerare. Ma le stesse droghe leggere sono tollerate: diamine, non si fanno le battaglie per liberalizzarle? Così piano piano un’esperienza che poteva forse rivogersi ad un pubblico molto più vasto attraverso un’offerta culturale più articolata, diventa prigioniera di un cliché da essa stessa costruito.

Ecco che il Laboratorio inizia a fare notizia per le bottiglie vuote lasciate sulla strada, per i ragazzini che ne escono intontiti, per i capelloni che lo frequentano, per il rumore dei concerti. E da allora, siamo a gennaio, le cose prendono questa piega e non cambieranno più. Un lento stillicidio di lamentele, e di conseguenti reazioni un po’ spavalde, ma sempre più deboli. Ormai il luogo comune ha vinto: il Laboratorio diventa un luogo equivoco, una ‘fumeria’ frequentata da persone ‘che sporcano’.

Quell’etichetta, il Laboratorio non se la toglie più; ed è un peccato, perché i tentativi di riprendere in mano la situazione da parte dei ragazzi ci sono stati. Abbiamo sotto mano dei volantini distribuiti da questi giovani, con una serie di richiami alla buona educazione (non schiamazzare, non sporcare...) ed anche con la preghiera di non trasformare il Laboratorio in Coffe-shop stile Amsterdam, pena lo sfratto.

Ma ormai...

E l’amministrazione, come si è posta di fronte al problema? Un po’ burocraticamente. L’assessore alle Politiche Giovanili di Rovereto, Sala, probabilmente non ha mai avuto a cuore l’esperienza. Si ha l’impressione che si trovi meglio ad interloquire con i giovani Boy-Scout e con le Polisportive: secondo la logica che le politiche giovanili devono aiutare i giovani che non hanno problemi.

Ma appare curioso che tra i più feroci avversari del Laboratorio ci sia addirittura lo ‘Spazio Ascolto Giovani’, cioè l’ufficio comunale preposto alla prevenzione del disagio giovanile, che ha i propri spazi nello stesso stabile. Quale migliore occasione di vedere e di cercare di dialogare con i giovani in modo non retorico? Se si vuole, da adulti, convincere un ragazzo a non ubriacarsi e a non usare droghe leggere, lo spazio del Laboratorio non poteva essere il luogo ideale?

I ragazzi si erano detti disponibili a un tentativo simile, eppure ai sabati sera c’erano agenti della Digos in borghese (che giustamente facevano il loro mestiere), ma mai un assistente sociale che almeno ‘guardasse’ cosa succede realmente a chi potenzialmente può diventare un ‘soggetto a rischio’.

E perché c’erano agenti della Digos? E’ il loro mestiere, dicevamo. Altrove questi laboratori autogestiti presentano connotazioni politiche molto più marcate. Gli spazi vengono presi e occupati. E sembra che a volte attorno a questi centri si sviluppino progetti dinamitardi, vedi le bombe contro l’alta velocità in Val di Susa, vicenda comunque molto più oscura di quanto sembri, a giudicare da alcune inchieste del settimanale ‘Il Diario’. Ma non andiamo troppo lontano. Nessuno dei frequentatori del Centro ha avuto problemi penali. C’è stata addirittura una prima pagina de L’Adige che suonava pressappoco: ‘Porta a Rovereto l’indagine sugli attentati’. Notizia che non è mai stata suffragata da fatti e che lo stesso giornale, nel corso dell’articolo, finiva per escludere.

Ma tant’è, ormai il luogo comune ha vinto, quindi è solo un problema di ordine pubblico.

Vediamo ora un po’ meglio la politica del Laboratorio. Abbiamo recuperato una sessantina dei loro volantini. Non uno è firmato con la A cerchiata degli anarchici. Ci sono volantini contro la guerra, accuse ad alcune industrie multinazionali, come Nike e McDonald’s, di sfruttare i lavoratori, iniziative sulla liberalizzazione di droghe leggere. Niente di particolarmente sconvolgente: alcuni partiti dicono le stesse cose.

Ma è interessante notare una serie di volantini di tema artistico. Il progetto del Centro di proporsi come laboratorio di multimedialità, l’arte come gioco libertario, grandi citazioni del movimento situazionista. E allora è stato un peccato che le cose siano andate così. Perché proprio i situazionisti predicavano l’arte del camuffamento, e se questi ragazzi si fossero chiamati ‘Gli Amici del Mart’, senza proclamare a mezzo mondo che loro ‘si facevano le canne’, probabilmente vivevano tranquilli e avrebbero ricavato anche qualche sovvenzione dalla Provincia.

Nonostante 700 firme di solidarietà raccolte, ora il Laboratorio è stato chiuso. Le svastiche apparse sui loro muri testimoniano il colore di chi in città sta brindando. Il Consigliere Pappolla di AN ora chiede che la Giunta si impegni a emarginare definitivamente questa esperienza. Il sindaco Ballardini di centro-sinistra forse chiederà di essere rieletto e a questo punto ci si chiede: non è che stia dando troppo peso al voto moderato?

E’ un peccato: forse dopo le difficoltà iniziali i ragazzi potevano essere responsabilizzati da una dialettica democratica. Infine, il centro poteva diventare un luogo di sperimentazione artistica svincolato dalle leggi di mercato e l’amministrazione poteva sperimentare una forma di intervento culturale non dirigista. Ma chi lo sa, forse questa fine era inevitabile, perché la logica della politica sembra dover emarginare qualunque esperienza non si svolga sotto il suo diretto patrocinio.

Tuttavia i bisogni che i ragazzi hanno espresso vengono da lontano e sono ancora presenti; ed è illusorio pensare che si possa eliminarli chiudendo una sede.