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Hans Kelsen, giurista profetico

La sua intuizione: il primato del diritto internazionale rispetto a quello dei singoli Stati

Proprio in questi giorni ricorre l’anniversario della nascita di Hans Kelsen, giurista e filosofo, nato a Praga l’11 Ottobre 1881. La Boemia faceva allora parte dell’impero asburgico, ed era uno dei centri culturali della Mitteleuropa. Kelsen visse e studiò in quella particolare e felice atmosfera. Divenne professore di diritto pubblico nella università di Vienna dal 1911 al 1930, e insegnò poi a Colonia fino al 1933. All’ avvento del nazismo abbandonò la Germania e si rifugiò in Svizzera, dove visse e insegnò a Ginevra dal 1933 al 1940. Emigrò quindi negli Stati Uniti e fu docente all’ Università della California.

La cultura politica europea ed occidentale deve molto a Kelsen, divenuto famoso dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale con la sua opera "La dottrina pura del diritto"("Reine Rechtslehre"), pubblicata per la prima volta molti anni prima, nel 1911, ma poi rimaneggiata e completata.

Con questo lavoro il Kelsen delimita l’oggetto dell’indagine alla struttura logica e formale del diritto, separandola dal contenuto economico e sociologico e dai fini etici e politici, portando a compimento rigoroso una scuola di pensiero rappresentata da molti studiosi, tra cui i giuspubblicisti Carlo Federico Gerber, Paolo Laband e soprattutto Giorgio Jellinek.

Intorno a Kelsen si formò una vera e propria scuola (la scuola di Vienna), i cui più illustri rappresentanti furono il Merkl, il Verdoss e il Kaufmann.

Non è facile sintetizzare il pensiero del Kelsen che merita un ricordo e un omaggio in questo particolare momento della storia europea.

Elemento essenziale e originario dell’esperienza giuridica è la norma, cioè la regola di diritto che esprime un dovere (di condotta), cioè un dover-essere (Sollen) rispetto alla sfera dell’ essere (Sein). La struttura della norma è costituita da una proposizione ipotetica; per esempio: "se si commette omicidio la pena è il carcere". L’ipotesi è l’illecito, la conseguenza invece è la sanzione. La struttura complessiva dell’ ordinamento giuridico è a piramide rovesciata, basandosi l’intero sistema su un’unica norma fondamentale (Grundnorm).

Ne consegue che le norme giuridiche hanno un ordine gerarchico (teoria dei gradi): sentenza, legge ordinaria, Costituzione fino alla Grundnorm, che fonda la validità e l’efficacia del sistema secondo una catena più o meno lunga di delegazioni.

Nel contesto della situazione attuale caratterizzata da guerre, piccole e grandi, dalla violazione dei diritti umani, e dal contestuale tentativo di processare anche i Capi di Stato colpevoli di crimini contro l’umanità (Pinochet), Hans Kelsen va ricordato per i suoi studi di diritto internazionale proprio nel momento in cui viene violato e fatto a pezzi. La caduta del muro di Berlino e la fine della guerra fredda, con la scomparsa dei blocchi, hanno determinato la fine di un equilibrio internazionale, e le scosse di assestamento sono molte e sanguinose. Durante la recente guerra balcanica e i tragici avvenimenti a Timor, il protagonismo della Nato e gli ondeggiamenti dell’Onu hanno energicamente riproposto all’attenzione dei politici e dei giuristi il ruolo del diritto internazionale per la composizione delle controversie, e il problema di superare l’ostacolo della sovranità nazionale quando si tratta di difendere i diritti umani.

Come dimenticare, in questa fine secolo e all’inizio del 2000, la grande lezione di Kelsen?

Ha osservato acutamente Bobbio che secondo il Kelsen fautore della teoria monistica "l’ordinamento internazionale è superiore agli ordinamenti statuali. Lo stesso principio di effettività dal quale l’ordinamento statuale trae la validità nel suo complesso, è una norma del diritto internazionale, il che in altre parole significa che il fondamento di validità del diritto interno ("domestic") deve essere cercato nel diritto internazionale".

Kelsen stabilisce dunque il primato del diritto internazionale che unicamente può salvare il mondo dalla frammentazione, dai contrasti razziali e religiosi, e dalle guerre. Il giurista austriaco riconosce esplicitamente che dietro l’opposta teoria del primato del diritto statuale (di ogni singolo stato) sta l’ideologia imperialista che egli respinge come errata e pericolosa. Kelsen infatti sostiene che il diritto è una tecnica speciale diretta a comporre i conflitti e quindi in definitiva "a preservare la pace o a ristabilirla dove sia stata turbata". Ne consegue che se si può parlare di una tendenza nello sviluppo del diritto essa può essere individuata nella pace universale attraverso un unico ordinamento giuridico mondiale.

Nonostante la "grande confusione" esistente oggi sotto il cielo, o forse proprio per questo, sono maturi i tempi per un ulteriore sviluppo del diritto internazionale e per una riforma stringente dell’Onu che spezzi definitivamente le spade, e costituisca una sicura difesa dei diritti umani.

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