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Bressanini: “Prima di tutto, sinistra più forte”

Il Trentino, la società, il che fare della politica sembra assente dal dibattito congressuale dei Ds. Per non parlare dei nodi di fondo, il doroteismo, il centrismo, il rapporto con Dellai. Perché?

L'avv. Ottorino Bressanini, uno dei due candidati alla segreteria dei Ds.

"Il fatto è che questo è un congresso straordinario, anticipato rispetto a quello nazionale: occorreva dare risposta a alcune crisi, scoppiate in seguito ai risultati delle comunali di Trento".

Insomma fate il congresso perché il segretario Albergoni o il capogruppo Redolfi non sono stati eletti alle comunali?

"Questa è stata la causa scatenante. Alcuni punti però, come l’assoluta carenza organizzativa del partito, erano emersi da tempo. Per esempio sia alle primarie, con l’organizzazione che appoggiava Tonini, sia alle regionali (appoggiava Bondi) si è notato il vistoso scollamento con la base. Nessuno dei due è riuscito perché si è perso il rapporto e con gli elettori, e con i militanti, ai quali non è possibile rivolgersi solo per le elezioni. Noi abbiamo una base particolare, che aderisce al partito come scelta per l’interesse collettivo; e l’organizzazione deve curare questo rapporto. In teoria la progettualità di un partito dovrebbe esprimersi a prescindere dalle scadenze elettorali, mentre invece la passata segreteria - se posso fare una critica alla gestione Albergoni - pressata dalle varie scadenze, difettava sia di una linea precisa, sia nei rapporti con i referenti sociali".

Ma questo congresso, proprio perché tutto imperniato su un dibattito interno, non ripercorre le stesse logiche?

"Il punto è riorganizzare, per avere migliori rapporti con la società. Io penso a due filoni: quello istituzionale (curare il rapporto tra i rappresentanti - consiglieri, assessori, sindaci ecc - da una parte, e il partito e la società dall’altra) e quello sociale (stare sul territorio per sentire i problemi e fare andare i rappresentanti nel territorio per comunicare alla base, alla società il loro lavoro: gli eletti devono essere appunto rappresentanti, non mandarini)".

Eppure questo distacco è vistoso proprio se guardiamo come si cambia quando si passa dall’opposizione alla maggioranza: termini come ‘lotta al clientelismo’ o ‘speculazione edilizia’ sono stati espunti non solo dalla pratica, ma anche dal lessico degli amministratori di sinistra...

"Qui il discorso si interseca con quello programmatico. Noi dobbiamo puntare alla modernizzazione del Trentino nel senso già evidenziato nel nostro buon programma delle regionali: puntare sull’intelligenza, sulla qualità del territorio, sull’adeguamento del welfare, sulle riforme istituzionali. Poi è vero, queste indicazioni non le abbiamo praticate (vedi il caso Passerini, quando ci siamo scordati della priorità all’istruzione per misere convenienze interne); ma questo non vuol dire che il programma fosse sbagliato".

Riformare il Trentino, cioè combattere la politica delle clientele e dei contributi, significa mettersi contro una parte della società; e della politica. Del persistente doroteismo nella società e politica trentine, però, non parlate molto...

"Il problema dei rapporti con quel che resta del doroteismo è reale. Ne siamo tanto consapevoli, da aver creato le due mozioni congressuali su questo: al di là delle personalità dei promotori e dei sottoscrittori, il punto è se fare o no l’unità della sinistra, che secondo me è indispensabile per poter trattare alla pari con Dellai. Finché lui ha il 30% e la sinistra è divisa, non solo continuerà ad essere il leader, ma potrà trattare i vari spezzoni della sinistra come parti intercambiabili a seconda delle convenienze del momento".

Ma è solo una questione di numeri? O anche di convinzioni? Quando nelle scorse elezioni metà del suo partito ha fatto campagna elettorale all’insegna del ritornello ‘Dellai è il nostro leader’? Il Ppi è una nullità in tutta Italia, anche nel bianchissimo Veneto; la Margherita non avete contribuito a farla crescere a dismisura anche voi, annullando qualsiasi differenza culturale, programmatica, fino a prostrarvi?

"Beh, non è stato metà del partito..."

A iniziare dal segretario.

"Il segretario non è il partito".

Se vi aggiungiamo due consiglieri, un parlamentare e mezzo, un vicesindaco...

"Ci sono due piani da distinguere: il piano della coalizione di governo e quello dell’unità della sinistra. Quando nel ’96 l’Ulivo vinse le elezioni, suscitò entusiasmi spropositati, a causa di una confusione: l’unità a sinistra è supportata da un’idealità che ci caratterizza (uguaglianza tra i popoli e equa redistribuzione delle risorse); mentre il centro-sinistra in quanto tale queste idealità non le ha, poiché il centro ha altri riferimenti altrettanto dignitosi e necessari, ma non si pone il problema di tutelare l’uguaglianza e le pari opportunità. Quello che lega i proseliti della Margherita è altro da quello che lega i militanti della sinistra. Ora, all’interno di una scelta giusta e feconda come quella della coalizione, bisogna essere consapevoli che vi sono diverse visioni del mondo, che non vanno negate".

E allora come ci si deve rapportare nella coalizione?

"Gli assessori della sinistra devono avere il compito precipuo di far prevalere l’interesse collettivo. Anche a costo di far saltare gli equilibri di governo quando prevalgono interessi speculativi (ad esempio nell’urbanistica, nella gestione del territorio)" .

Una delle discriminanti è il rapporto con i poteri forti?

"Questo è pacifico".

Ma i poteri forti non sono solo i Tosolini, con cui - almeno in teoria - dovrebbe essere facile oltreché doveroso contrapporsi. Sono anche i funiviari, i sindaci di valle che spingono per il turismo tradizionale, le mille persone beneficiate dalle clientele. Insomma ci si scontra con chi, nella società, vive su un modello economico ormai superato. Siete attrezzati per questo?

"Quando dicevo del mancato contatto del partito con la società mi riferivo anche a questo aspetto: mi ricordo come nei gruppi di lavoro dell’Ulivo costituitisi nel ’96, avessero lavorato, e con entusiasmo, tante teste pensanti della nostra comunità, elaborando proposte decisamente interessanti, poi cadute nel vuoto, finite nel cassetto; e l’esperienza finì malamente. Questa è una responsabilità di tutte le forze, della sinistra e della coalizione, perché non hanno saputo utilizzare quanto veniva dalla società, dedicandosi invece alle scaramucce di partito e alla carriera di questo o quel personaggio. Dobbiamo invece saper ascoltare, e poi non avere la paura di decidere. Questo è il segnale forte che dobbiamo dare".