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QT n. 16, 25 settembre 1999 Cover story

Trento: la sua crisi e il nuovo Prg

Il capoluogo non potrà più essere il centro amministrativo, che distribuisce sussidi. E allora, come dovrà riqualificarsi? Le potenzialità di Trento alla vigilia del nuovo Prg, tra nuove idee, vecchie pigrizie e eterni appetiti.

E' stata l’In Arch, associazione culturale che raggruppa tecnici (ingegneri e architetti) liberi professionisti e dipendenti pubblici, a gettare il sasso nello stagno: “Trento è alla vigilia di scelte importantissime, la città può rinascere o al contrario regredire indebolendo ulteriormente il proprio ruolo. Attenzione, perchè a questo appuntamento si sta arrivando impreparati.” Il fatto è che siamo alla vigilia del nuovo Piano Regolatore. E la città deve affrontare la definizione di parti importantissime: la aree dismesse come la centralissima Michelin, l’Italcementi, Trento Nord; la localizzazione di nuove strutture e servizi (ospedale, polo giudiziario, polo fieristico); e poi ancora le aree militari, l’aeroporto, l’interporto... Tantissima carne al fuoco.

E problemi di basilare importanza. “Il vero problema è l’identità della città: come recuperare il suo rapporto con il paesaggio circostante (Trento è immersa in un anfiteatro naturale) il rapporto con la storia e con l’arte (cioè con lo spirito della città come si è espresso nelle grandi opere tramandateci nei secoli)” - afferma l’arch. Leo Salvotti.

Non si creda che queste siano fisime intellettuali. L’identità dei luoghi, il senso di appartenenza a una città, a una comunità, segnano fortemente la vita civica della polazione, e più in generale la qualità della vita. Il cittadino che vive\lavora nel centro storico, che passa per piazza Duomo, per le strade con i nostri bei palazzi rinascimentali, si sente parte di una storia, di una comunità di cui è orgoglioso; quando invece è a contatto con le schifezze di Trento-nord o dei nuovi informi quartieri residenziali... “Questo è avvertito dal cittadino, che difatti esprime in varie forme un comprensibile disagio. Anche se non c’è consapevolezza sui motivi veri, e allora le contestazioni si canalizzano su problemi secondari, come quello del traffico” - afferma l’arch. Renato Rizzi.

Ci sono anche problemi ancora più di fondo. Quale momento storico sta oggi attraversando la città? “Tutti sappiamo come sia prossima la crisi della Pat, del modello di società assistita incentrata su un capoluogo che redistribuiva le risorse - in gran parte provenienti da Roma - a una periferia, peraltro orgogliosa di una sua specificità, anche architettonica, rispetto alle altre più sciatte periferie del Nord - afferma l’arch. Sergio Dell’Anna - Questa crisi si ribalterà sul capoluogo, non più come un tempo centro amministrativo ed erogatore di sussidi. E allora, quale forza attrativa, quali prospettive avrà la città? Come può attrezzarsi, riqualificarsi?”

Questi sono i temi da affrontare oggi. “I momenti di crisi possono essere fecondi. Altre città d’Europa hanno attraversato crisi analoghe, dal sud della Francia, Nantes, Montpellier, a quelle spagnole, a partire da Bilbao e Barcellona, e ne sono uscite in avanti - prosegue Dell’Anna - Così per Trento: si tratta di ripensare la città, costruendo un’autovalorizzazione, per poter concorrere sul mercato delle città europee.”

Tutti gli interlocutori concordano: Trento ha grandi potenzialità, come realtà storica, patrimonio artistico, una natura pressoché integra visibile da ogni parte della città; ha servizi e non ha criminalità; è lambita da un incessante flusso di merci (purtroppo) e di persone (e questo è interessante) lungo la principale arteria europea nord-sud. Ha quindi una forte vocazione turistica in gran parte ancora inespressa. Non solo: oggi le località ad alta qualità della vita, sono fortemente appetite come localizzazione per le attività più avanzate, in un circuito virtuoso (chi più ha, più avrà) oppure vizioso (guai ai derelitti) a seconda dei punti di vista, ma questo è un altro discorso.

O forse questo è il discorso; Trento si trova a un bivio: o riesce a sfruttare le potenzialità e si inserisce tra le città d’eccellenza, oppure si condanna al declino e alla marginalità. “Oggi la qualità urbana (immagine, efficienza, pulizia) è abbinata all’economia. Questo è il motivo per cui Trento, che parte da un buon livello, non può sedersi - afferma Roberto Ferrari, presidente dell’Ordine degli Architetti - L’attuale generazione tende ad adagiarsi sugli indubbi miglioramenti perseguiti dalla generazione precedente, e così manca di progettualità.”

Se questi sono i termini del problema, quale ne è la consapevolezza? E la città, com’è attrezzata per affrontarli?

Storicamente pesano due fattori, contrastanti. Da una parte il pesante, costante impatto che nel dopoguerra ha avuto il partito del mattone e/o della speculazione, sempre agganciato alle varie amministrazioni: gli esiti scadenti come la Clarina o Gardolo, scandalosi come Trento-nord o il Centro commerciale (solo per fare alcuni esempi) stanno ad ammonire come la città non sia stata in grado, nel dopoguerra, di far prevalere gli interessi generali su quelli particolari. Il sindaco ammanicato con il costruttore non è stata la deplorevole eccezione, ma la triste regola.

Sull’altro piatto della bilancia c’è stato il dibattito culturale, la spinta civica verso una città più vivibile, che nel dopoguerra in un solo, importantissimo caso, ha vinto la propria battaglia, condizionando le scelte e indirizzando la vitalità economica verso sbocchi positivi: ed è stata la conservazione\ristrutturazione del centro storico. Esito non facile né scontato e che può indicare come la grettezza degli interessi immediati possa essere vinta e superata.

Oggi, di fronte al prossimo Piano Regolatore, con l’attuale amministrazione Pacher, quali sono le prospettive?

Diciamo subito che la situazione è difficile. Il sindaco sull’argomento ha sempre tenuto un profilo bassissimo; come altri esponenti di sinistra giunti al governo hanno cancellato parole come clientelismo o doroteismo, così Pacher ha cancellato “speculazione edilizia”. Nei fatti non ha dato all’urbanistica (che è la vera competenza dei comuni) alcuna centralità; per quanto sollecitato a nominare come assessore un tecnico competente e super partes, ha preferito seguire il manuale Cencelli, nominando una brava persona, il prof. Alessandro Andreatta, però assolutamente incompetente in materia; alla presidenza della Commissione urbanistica ha poi posto il segretario del Pds Stefano Albergoni, altrettanto incompetente e - come ha dimostrato da segretario - indifferente ai contenuti dell’agire politico.

Premesse tutt’altro che esaltanti. Anche perché il dibattito sulla città è spesso stato confuso. Tutta una serie di polemiche sembrano nate come riflessi automatici; qualsiasi proposta, qualsiasi progetto, ha sempre trovato il Pierino di turno, l’associazione iper-ambientalista pronta a stracciarsi le vesti, a parlare di “sfregio”, “danno irreversibile”, ecc, quasi che costruire o modificare sia comunque un delitto. E si sa che a gridare di continuo al lupo, poi ci si finisce in bocca.

L'assessore Andreatta pone alcuni indirizzi: “Dobbiamo riuscire a mettere insieme diverse cose: Trento non è solo centro amministrativo, deve assecondare la sua vocazione ad essere città d’arte, città turistica, città anfiteatro, città sul fiume, città ponte di culture. Tutte cose di cui si può fare sintesi. Deve essere sia una città per i suoi abitanti (quindi attenzione al verde, alla mobilità, ai servizi, agli spazi per la comunità), sia una città per i visitatori, interessati soprattutto ai valori estetici. Ecco, la sintesi di tutto questo è l’identità della città.” Non basta: spunta il concetto (forse abusato) di “rete di città”, “nel senso che dobbiamo favorire i rapporti, non alimentare rivalità, con le altre città, a iniziare da Bolzano e Rovereto (quindi, per favore, niente campanilismi né sull’aeroporto, né sul Mart, su questi temi la posizione della giunta è molto chiara); invece incremento dei collegamenti, quindi sì alla metropolitana di superfiice; e per me essere in rete può significare riconoscere a Rovereto una maggior vocazione verso le attività produttive. Nella stessa ottica i rapporti con le valli: va favorito il decentramento, Trento non deve assolutamente diventare una città di 140.000 abitanti”.

Arriviamo allora ai problemi concreti. Il primo è la grande occasione delle aree industriali dismesse, Michelin, Italcementi, Sloi e Carbochimica... “se vi aggiungiamo la dismissione delle caserme abbiamo chiara l’opportunità che si presenta: sono aree importantissime, quasi tutte prospicenti il fiume. Ci si presenta un’occasione storica per ridisegnare la città come ai tempi di Clesio - afferma l’arch. Ferrari - Anche perchè questo è un momento di stanca del mercato edilizio, non ci sono necessità impellenti, le pressioni sono minori, si può operare con più tranquillità.”

Eppure già si è molto pasticciato. A iniziare da Trento-nord, all’ex-Sloi e Carbochimica dove - anche prescindendo dall’alt imposto dall’inquinamento - si è evidenziata una drammatica povertà di idee (oppure la proposizione di autentiche bestialità, come la demenziale proposta del non rimpianto ex-assessore Nicolini di costruirvi addirittura il nuovo ospedale: figurarsi, in una zona già congestionata, oltre che inquinata!)

E anche sull’area Michelin. Si tratta di una zona pregiatissima, contemporaneamente a ridosso del centro e prospicente il fiume, undici ettari affacciati su quella che già ora è una palestra all’aperto dei trentini, la fascia tra Adige e Adigetto, luogo di incontri, passeggiate, allenamenti sportivi. L’area dovrebbe ricucire il rapporto della città con il fiume (dopo che l’idea della “finestra sull’Adige” è già stata compromessa permettendo l’orrida speculazione dall’omonimo nome, del rampante arch. Pallaoro, sorta di fronte a piazzale Sanseverino).

Insomma gli undici ettari della Michelin rappresentano un’autentica risorsa della città. Solo che... solo che acquisirla costava al Comune un centinaio di miliardi, cifra giudicata subito da tutti improponibile.

E qui non ci stiamo più. Perchè sarà pur vero che cento miliardi (o forse meno) sono molti per il Comune, ma è noto che quando si tratta di importanti investimenti interviene Mamma Provincia. Per la quale spendere 2000 miliardi in strade è normale, gettarne 140 per la circonvallazione di Pieve di Bono sono bruscolini, ma investirne un centinaio per sottrarre un’area importantissima del capoluogo alla speculazione, e farne un grande parco urbano-fluviale, con qualche edificio per l’università, la cultura, la ricerca... beh... quello non si può, neanche parlarne, costa troppo... Cascano le braccia.

Si è costituita una società mista pubblico-privato, Iniziative Urbane “con entità come Caritro, Btb, Isa, Sit, Banca Popolare, la Cooperazione, tutte realtà sulle quali viene esercitato un controllo da parte di molti cittadini - ci dice l’assessore Andreatta - E proprio da qui, dalle caratteristiche della società viene la convinzione che sia assicurata la regia pubblica su tutta l’operazione. Mentre potrei capire di più le perplessità se avessimo a che fare con il classico costruttore.”

La cartina di tornasole è cosa sorgerà nell’area. “Non c’è niente di deciso, se non all’interno di quanto stabilito con un odg del Consiglio comunale approvato a larga maggioranza: saranno localizzate funzioni legate allo studio, alla cultura, alla ricerca, una percentuale di verde del 15%, limiti di edificabilità bassi, di 1,8, ci sarà anche della residenza...” A noi la percentuale di verde sembra decisamente deludente, non convince l’insistenza di inserire in quell’area della residenza (“c’è stato un investimento nell’area da parte dei privati, deve esserci un ritorno economico”). Appunto, l’ingresso dei privati si finisce con il pagarlo con localizzazioni incongrue; con il pericolo sempre incombente che anche la Michelin vada a finire come tutti gli altri grandi progetti variamente sbandierati, da Trento-Nord all’ex-Magnete: condomini più negozi, qualche ufficio pubblico e la qualità urbana sotto i tacchi.

“Invece proprio la fascia tra la città e il fiume sarebbe quella che potrebbe riqualificare la città - ci dice l’arch. Dell’Anna - Pensiamo a quanto ha realizzato Renzo Piano a Lione lungo il Rodano: spazi per l’università e il territorio all’interno di una vasta area verde, non il 15%!” A Trento, con la prossima dismissione delle caserme, sarebbe possibile un’operazione analoga, dalle Albere al ponte di Ravina, e poi più giù, collegandosi all’area sportiva. “Non solo - prosegue Dell’Anna - Questa fascia si affaccia sulle vie di attraversamento, la ferrovia, la statale, l’Autobrennero: è quindi uno strumento formidabile di autopromozione. Purtroppo da noi lo capiscono le aziende, che si piazzano a ridosso delle autostrade rovinando il paesaggio; mentre dovrebbe promuoversi la comunità, utilizzando la vista d’asta come una risorsa da usarsi con parsimonia, per dare visibilità a pochi edifici di grande impatto e significato.”

Insomma la fascia tra il fiume e la ferrovia come luogo della vivibilità della città, e al contempo sua vetrina per i milioni di passeggeri che transitano lungo il Brennero. Utopie? Irrealizzabili per una comunità spendacciona, che poi fa mancare i 100 miliardi per l’acquisto delle aree, a rischio di ridursi a costruire gli ennesimi condomini? Siamo una comunità così stanca, senza slanci, senza progetti, senza visione del futuro?

“Non penso che dobbiamo essere pessimisti - afferma Andreatta - Vogliamo fare un’operazione di alta qualità. E anche Iniziative Urbane intende operare attraverso un concorso di idee, con una mostra delle soluzioni proposte. Sia per raccogliere più input, più idee, sia per prendere le decisioni attraverso un processo più pubblico e trasparente. Nulla è compromesso: pensiamo per esempio alla possibilità di interrare via Sanseverino e ampliare la fascia verde prospicente il fiume; realizzare altri sottopassi per collegare a pettine la nuova area con la città. E magari realizzare anche un progetto architettonico di ampia risonanza: un grande edificio, progettato da un nome internazionale come - butto lì un nome - Renzo Piano, che allo stesso tempo si inserisca nell’ambiente e sia ampiamente visibile; come verrebbe accolto dalla cittadinanza?”

Bella domanda. Chi scrive pensa che il trentino medio, per quanto tradizionalista, dopo un primo sconcerto sarebbe favorevole a una tale prospettiva. Si tratterà di discuterci; e di vedere se una riqualificazione del genere sarà supportata dalla necessaria convinzione.

Ci siamo dilungati sull’area del lungo fiume, quella che offre le più interessanti prospettive. Altre zone della città abbisognano di interventi. Alcune invece, come Trento-nord e l’asse di via Brennero, sono talmente degradate, che i nostri interlocutori allargano le braccia “Soluzioni? Mah, oltre alla dinamite...” “Trento-nord? Ormai...” “Preferisco non rispondere: sinceramente non saprei cosa dire.” Su altre periferie invece, una paziente opera della scorsa legislatura, fatta di tante piccole ricuciture, ha migliorato diverse situazioni (e se ne sono viste le conseguenze nell’urna elettorale).

Comunque il discorso sul prossimo Prg è più ampio e solo agli inizi. Secondo noi fa parte della difficile strada che hanno di fronte Trento e il Trentino: c’è una crisi alle porte, per affrontarla bisogna cambiare. E cambiare ora, che c’è il tempo e ci sono le risorse. Ma cambiare è difficile. Vi ritorneremo.