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QT n. 7, 3 aprile 1999 Servizi

La Valle Globale

Il caso Lowara: chiusa a Storo, che ne sarà dello stabilimento di Malè?

Alberto Delpero

Con il caso Lowara si scopre che anche l’economia solandra deve fare i conti con la globalizzazione. Inevitabilmente in modo traumatico, in seguito alla chiusura dello stabilimento di Storo che Giuliano Beltrami ci ha ben spiegato nel suo articolo sul n. 4 di QT (Valle del Chiese: signori, si chiude!). Può del resto questa degenerazione dei rapporti economici internazionali non produrre traumi? Dal tracollo delle tigri asiatiche, fino alla chiusura di piccole entità come Storo, sembrerebbe di no.

Ma, a ribadire l’interdipendenza tra macro e micro, il caso Lowara ci dice molto anche sulla politica economica e industriale della Provincia Autonoma di Trento nei suoi tre decenni di vita. Politica che si è concretizzata e caratterizzata essenzialmente attraverso interventi assistenzialistici, distribuiti a pioggia e non vincolati a garanzie di stabilità e sviluppo nel territorio provinciale.

Non per nulla il Trentino è ormai pieno di multinazionali attirate come le mosche al miele dai lauti contributi che questi colossi industriali potevano usare a loro comodo.

La Lowara, un’industria vicentina abbastanza affermata nella produzione di pompe idrauliche, è arrivata in Trentino alla fine degli anni Sessanta. E’ poi confluita nella Public Company ITT, multinazionale statunitense che, fagocitando le più terribili concorrenti, è diventata leader incontrastata del settore a livello mondiale (7.700 miliardi di fatturato nel 1998, 34.000 dipendenti). Anche per un gigante come questo valeva la pena far sopravvivere una piccola affiliata in Trentino (lo stabilimento di Malè occupa 130 operai), anche se questa non era in riga con la produttività richiesta: il mancato introito era compensato dai contributi.

Finché la Provincia, prevedendo tempi di magra, ha finalmente vincolato i contributi alle imprese a effettivi investimenti nel territorio provinciale.

La situazione della Lowara è significativa circa gli effetti che questa nuova politica industriale potrà produrre in diverse realtà provinciali controllate da multinazionali.

La chiusura dello stabilimento di Storo - scriveva Beltrami e confermano le rappresentanze sindacali - non è determinata da una crisi del settore o da difficoltà produttive, ma da un guadagno inferiore alle aspettative.

Ora questa produzione, ritenuta non sufficientemente redditizia, viene spostata a Malè. Inevitabile la preoccupazione degli operai solandri: se non rendeva abbastanza a Storo, perché dovrebbe farlo a Malè? Non è che si stanno creando le condizioni per chiudere anche qui?

Per ora si parla di riorganizzazione produttiva. La Lowara di Malè ha trovato nei decenni scorsi il suo mercato nella produzione del cosiddetto "motore 4 pollici", un prodotto che da qualche anno viene considerato ormai superato, tanto che vari sono stati gli appelli delle rappresentanze sindacali per un adeguamento al mercato attraverso una riconversione. Adesso si vuole eliminare drasticamente questo prodotto sostituendolo con la produzione di Storo che ha dato sì utili, ma non abbastanza alti da soddisfare le esigenze dei manager americani (sembra che i dirigenti italiani non abbiano alcuna voce in capitolo e siano usati semplicemente come portavoce).

Questi si dicono perfino disponibili ad assumere a Malè, tentando sfacciatamente di cavalcare le normative contro la disoccupazione giovanile e far rientrare così dalla finestra i soldi pubblici (ben accetti anche sotto forma di sgravi fiscali) usciti dalla porta. A questo vantaggio si aggiungerebbe quello di aver eliminato una manodopera di anzianità medio-alta e inserendone una molto giovane in un contesto produttivo che richiede parecchio tempo per una redditività lavorativa accettabile.

La strategia aziendale di questa gente fa venire la pelle d’oca: giocano a dama usando fabbriche di decine e centinaia di dipendenti come pedine. Se una viene "mangiata" poco male, fa parte del gioco. E negli ultimi tre anni le pedine italiane sono state destinate unicamente a questo ruolo del gioco: nel febbraio 1997 è stato chiuso un centro di ricerca a Milano, nel febbraio ’98 è stato chiuso uno stabilimento a Livorno e nel febbraio ’99 Storo: macabra puntualità che presuppone un preciso piano di smantellamento del settore italiano.

In un simile contesto le paure degli operai dello stabilimento di Malè sono più che fondate.

Negli incontri avuti con il governo provinciale hanno trovato orecchie attente, comprensione dei problemi, disponibilità di sostegno delle loro azioni sindacali.

Saranno però, come sempre, i fatti a valutare la validità della politica economica della giunta Dellai.

Da lui non si può pretendere che conosca Keynes (anche se il principio di sussidiarietà è pur sempre un’eco della sua voce), ma da Pinter, Benedetti e Andreolli lo si deve esigere.

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