Menù
Home
QT
Questotrentino
Mensile di informazione e approfondimento
Utente
Cerca

Immigrazione: numeri e considerazioni

Da "Appunti", mensile di Moie di Maiolati (Ancona), pubblichiamo ampi stralci dell’ultimo rapporto sulla immigrazione della Caritas di Roma.

Caritas di Roma

Al 31 dicembre 1997 sono risultati in vigore 1.240.721 permessi, 145.000 in più rispetto allo scorso anno; non tanto perché si tratti di nuovi ingressi quanto perché sono stati registrati tutti i permessi concessi ai circa 250.000 regolarizzati del ’96, assicurando così una piena visibilità statistica a questo provvedimento straordinario. La loro incidenza complessiva sulla popolazione residente è pari al 2,2% (meno della metà rispetto alla media europea). Tra loro a cercare un inserimento stabile in Italia sono circa un milione. Le donne sono 562.470, pari al 45%.

Nel corso di questi ultimi sei anni, nonostante la stagnazione del mercato del lavoro, gli occupati stranieri si sono triplicati e i disoccupati sono diminuiti di quasi un quinto. In particolare merita di essere segnalato che i disoccupati, che erano pari alla metà dei lavoratori dipendenti nel 1990, ora sono scesi al 18,5%. Parlare di un mercato del lavoro stagnante, che non è in grado di riservare spazio ai lavoratori stranieri, significa non tener conto che è intervenuta un’evoluzione positiva seppure non priva di problemi. Parimenti risulta completamente infondata l’affermazione che un immigrato su sei non paghi i contributi.

Un’analisi incrociata del numero dei permessi concessi per motivi di lavoro, delle posizioni registrate presso l’INPS, degli stranieri autorizzati a lavorare come autonomi o professionisti e di quanti sono disoccupati, porta a ridimensionare a circa 50.000 i lavoratori per i quali non vengono versati i contributi da parte dei rispettivi datori di lavoro. Al contrario questi lavoratori assicurano un forte gettito contributivo con un peso crescente specialmente in alcuni settori (nel lavoro domestico incidono per il 15%). Un altro dato significativo è che il valore aggiunto complessivo del lavoro degli immigrati è stimabile pari all’1,5-1,8% (24-25.000 miliardi).

Meno dinamico si presenta invece il settore del lavoro autonomo. Nel 1990 si trattava di 23.876 permessi, passati poi a 36.586 nel ’97 con un aumento del 50% in sette anni. Complessivamente i lavoratori autonomi rappresentano appena il 5% dei permessi concessi per motivi di lavoro. Questo segmento lavorativo può riservare maggiori sbocchi, che però finora non si è riusciti a cogliere, né attraverso la programmazione dei flussi e neppure in occasione dell’ultima regolarizzazione. Solo una maggiore flessibilità normativa nella fase dell’ingresso in Italia e la deroga al principio della reciprocità, almeno dopo un certo numero di anni di permanenza in Italia, consentiranno nel futuro lo sviluppo di queste virtualità molto diffuse nella popolazione immigrata, riducendo il numero dei disoccupati e favorendo inoltre l’inserimento nell’area produttiva e assicurativa degli stessi familiari.

Tra i permessi di soggiorno, rilasciati per motivi diversi da quello dell’inserimento lavorativo, circa la metà (230.450) sono legati al ricongiungimento familiare, aumentati al ritmo di 15-20.000 l’anno e in maniera più consistente nell’ultimo biennio. Anche questo è un segno inequivocabile del processo di stabilizzazione della popolazione straniera. Sono anche aumentati i bambini stranieri entrati in Italia per adozione e/o affidamento (quasi 10.000, più del doppio rispetto al 1990), un flusso che è andato in crescendo in corrispondenza con le difficoltà che caratterizzano le adozioni nazionali.

Per quanto riguarda l’area di provenienza degli immigrati, l’evoluzione nel periodo 1990-97 è stata caratterizzata dal maggior peso assunto della componente europea (sette punti percentuali in più), mentre l’Asia ha mantenuto la posizione e l’Africa e l’America hanno perso qualche punto.

Basando il confronto sulle aree più rilevanti per ciascun continente, si riscontra che in questo periodo i paesi dell’Est europeo sono passati dal 5% a quasi un quarto del totale, mente i comunitari sono scesi da quasi il 20% al 14%. L’altra area che si avvantaggia, ma in maniera più contenuta (dal 13 al 16%) è l’Estremo Oriente. Il Nord Africa (17-18%) e l’America Latina (8-9%) rimangono sostanzialmente stabili.

Il Marocco è la prima comunità (131.406), con una incidenza del 10,6% sul totale. L’Albania si rafforza al secondo posto (83.807 persone e 6,8% sul totale), dopo essersi più che raddoppiata nell’ultimo biennio. Il terzo posto è mantenuto dalle Filippine (61.285), a seguito di una consistente crescita negli ultimi due anni (41%).

Gli Usa (59.572), pur restando al quarto posto, registrano una lieve flessione nell’ultimo biennio. Superano 40.000 unità Tunisia, ex Jugoslavia e Germania, mentre Romania, Cina popolare, Senegal e Polonia superano le 30.000 unità. Sono otto i paesi che si collocano al di sopra delle 20.000 unità: Francia, Sri Lanka, Gran Bretagna, Egitto, Perù, Brasile, India e Croazia.

Ma dove risiedono queste persone? La ripartizione percentuale della popolazione straniera in Italia ha conosciuto questo andamento nel periodo 1990-97:

- stabilità nel Sud (dove vive circa l’11% degli immigrati);

- diminuzione nelle isole (dal 9 al 7%) e nel Centro (dal 41 al 31%)

- aumento nel Nord (dal 39 al 51%) di cui sette punti percentuali nel Nord-Est e 5 nel Nord-Ovest.

Nonostante queste variazioni percentuali, in termini assoluti la popolazione immigrata è aumentata in ciascuna area, perché si è passati da 781.138 unità nel 1990 a 1.240.721 nel ‘97. La Lombardia, finora risultata la seconda per numero di immigrati, diventa la prima regione (250.400), con un ampio margine rispetto al Lazio (232.611). Terzo in graduatoria viene il Veneto, che per la prima volta, seppure di poco, si colloca oltre le 100.000 unità. Superano le 90.000 unità Emilia e Toscana, le 80.000 il Piemonte, le 70.000 la Sicilia e le 60.000 unità la Campania.

Passando dalle regioni alle province, al primo posto viene la provincia di Roma (211.200), seguita da Milano (150.498) che, perdurando l’attuale ritmo di crescita, è destinata a diventare presto la capitale dell’immigrazione. Seguono con 43-45.000 stranieri, Torino, Firenze e Napoli. Vicenza, con 34.426, precede Bolzano, Brescia, Palermo, Verona, Bologna e Perugia tutte con più di 20.000 stranieri. Superano 15.000 unità Bergamo, Varese, Padova, Caserta, Catania. Si collocano infine nella fascia tra 10.000 e 15.000 unità Como, Trento, Treviso, Venezia, Pordenone, Trieste, Forlì, Modena, Reggio Emilia, Bari.

Un settimanale inglese, prendendo come base di calcolo 60.000 respingimenti annuali alle frontiere italiane, ha ipotizzato che ben 700.000 stranieri l’anno riescano a passare la frontiera impunemente, così che il numero dei clandestini dovrebbe essere arrivato a quattro milioni già all’inizio del ’97. Secondo questo calcolo, si sarebbe ormai a quota 5 milioni.

Siffatte stime, prive di supporto documentativo, sono lontane dalla realtà e servono solo a creare allarmismo. Prendiamo ad esempio i respingimenti alle frontiere. Sono stati 62.442 nel 1995 e 54.144 nel 1996 così ripartiti: 66,6% alla frontiera terrestre, 20,4% a quella marittima e 13,1% a quella aerea. Le persone respinte sono in prevalenza (più di 20.000) cittadini dell’ex Jugoslavia, dell’Albania e degli altri paesi dell’Est. La loro pressione migratoria si configura spesso come un progetto provvisorio, reso possibile dalle vicinanze dei paesi di origine: si tratta di una irregolarità leggera rispetto ai clienti dei "viaggi della speranza" (e dello sfruttamento) organizzati dai trafficanti di manodopera.

Non bisogna poi dimenticare che per un certo numero di questi stranieri l’Italia è solo un paese di passaggio, mentre la meta definitiva è costituita da altri paesi europei e che un’altra parte è stata espulsa e accompagnata alle frontiere. Infine ha usufruito della regolarizzazione una buona parte di quelli che si trovavano in situazione illegale.

Queste disaggregazioni equivalgono ad un invito alla prudenza in fatto di stime, senza dare per scontato che per ogni straniero bloccato alla frontiera ve ne siano altri 12 a farla franca insediandosi in Italia. Il buon senso e la riflessione sui dati disponibili e sui fatti di cronaca porta a concludere che il tasso di irregolarità deve essere inferiore al 25% (uno straniero in situazione irregolare ogni quattro stranieri titolari di permesso di soggiorno).

Nell’Unione Europea l’Italia è ormai saldamente il quarto paese in graduatoria per consistenza del numero degli immigrati, dopo Germania, Francia e Gran Bretagna. Questa stessa dimensione quantitativa ci impone di porre fine ad una alternativa illusoria (accettare o meno l’immigrazione) e di cercare invece di governare al meglio il fenomeno.

L’insegnamento statistico di questi anni ’90, si può così riassumere: una eccessiva rigidità genera il sommerso. Quando diventano troppo ristretti e difficilmente praticabili i sentieri della legalità, i lavoratori stranieri tentano altre vie e diventano più facilmente preda dei mercanti di manodopera, creando una vasta area di sommerso che poi si è costretti a regolarizzare. Al contrario, una programmazione che tenga conto del calo demografico e dei possibili sbocchi occupazionali e preveda un congruo flusso di entrata mediante meccanismi non macchinosi, può esercitare un forte impatto positivo.

Un altro insegnamento che viene dai numeri è che gli immigrati, per la stragrande maggioranza, vengono per stabilirsi da noi in maniera stabile. Di conseguenza la nostra società va improntata ad una prospettiva di convivenza, che affronti seriamente problemi quali la scuola, la cittadinanza, la rappresentanza sociale e i diritti elettorali.

Le statistiche mostrano anche che la presenza straniera in Italia è andata configurandosi come una realtà policentrica, equamente divisa tra comunità di diversi paesi provenienti da tutti i continenti, con differenti culture e religioni. Ciò impone da una parte uno sforzo non indifferente in fase di elaborazione e di proposta, dall’altra lascia intravvedere delle prospettive quanto mai significative di diaologo tra popoli e culture.

Parole chiave:

Articoli attinenti

In altri numeri:
Le cifre e le analisi dell’Atas

Commenti (0)

Nessun commento.

Scrivi un commento

L'indirizzo e-mail non sarà pubblicato. Gli utenti registrati non devono inserire altre verifiche e possono modificare il proprio commento dopo averlo inserito.

Riporta il codice di 5 lettere minuscole scritto nell'immagine. Puoi generare un nuovo codice cliccando qui .

Attenzione: Questotrentino si riserva la facoltà di cancellare commenti inopportuni.