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QT n. 1, 9 gennaio 1999

Lo sfregio alle istituzioni

La Regione, la Provincia, che c’entrano con le disavventure giudiziarie del consigliere Tretter? Se costui è condannato per un reato non connesso con le sue funzioni pubbliche, perché dovrebbero esserne coinvolte le istituzioni? Il processo di Rovereto ha dato risposte chiare a questi interrogativi. Non solo nel senso - ovvio - che un consigliere condannato per furto è di per sé un’enormità. E neanche solo per il significato inquietante dell’auto blu (simbolo del potere - e del privilegio - pubblico) usata come nascondiglio di refurtiva ("Ho voluto io che la perquisizione dell’auto avvenisse non sulla strada, sotto gli occhi di tutti, ma in caserma: ci vuole rispetto per le istituzioni" ha rivendicato nella sua deposizione Tretter, con l’usuale sprezzo del ridicolo).

Il coinvolgimento delle istituzioni (della mitica Autonomia) è stato ancora più stringente. E subdolo. Ci riferiamo a due testimonianze, poco credibili, passibili di ulteriori incriminazioni.

Primo testimone, l’autista Livio Offer. Il quale afferma di essere sempre rimasto nell’auto nelle fatidiche ore del fattaccio, e di non aver mai visto Tretter arrivare (a nascondervi nel bagagliaio l’orologio trafugato - secondo l’accusa). E conferma tale versione anche di fronte ai ripetuti avvertimenti del PM Biasi, che gli fa capire come la sua testimonianza non stia in piedi. E infatti il malcapitato autista viene prima smentito dai genitori del derubato Leonardi ("Tretter si allontanò dicendo di andare alla macchina a prendere dei libri per le commesse"); e poi impietosamente affondato dallo stesso Tretter ("Effettivamente andai alla macchina") che poi gli lancia una ciambella di salvataggio ("Offer non c’era, evidentemente si era assentato") peraltro inutile (Offer aveva più volte ribadito di non essersi mai mosso). E così l’autista viene incriminato per falsa testimonianza.

Secondo testimone, il consigliere provinciale Franco Panizza, già portaborse di Tretter, da lui creato, plasmato, portato in Consiglio. Panizza tenta di spiegare il contenuto dell’auto blu del capo (decine di milioni in contanti, banconote straniere, fiches di svariati casinò, collane e orologi, tra cui il Philip Watch trafugato) e propone questa versione: "Eravamo alla vigilia dei rinnovi delle cariche in Consiglio regionale; e c’era l’esigenza di liberare i cassetti della scrivania di Tretter, vice-presidente del Consiglio... perché poteva non venir riconfermato, e dieci minuti dopo la votazione il nuovo presidente può voler prendere possesso del suo ufficio..." Insomma, terrorizzato da tale eventualità, Panizza avrebbe svuotato i cassetti della scrivania di Tretter, e riversato il multiforme contenuto nel baule dell’auto blu, evidentemente considerata - a differenza della scrivania - proprietà personale di Tretter. La storia è una scempiaggine (tutti sapevano, Panizza per primo, che Tretter non sarebbe stato riconfermato vice-presidente, ma solo per diventare presidente del Consiglio; e quindi il trasbordo, anche fosse stato così impellente - andava fatto da un ufficio all’altro, distanti fra loro venti metri, e non dalla vecchia scrivania all’auto blu e poi dall’auto alla nuova scrivania). E difatti, mentre Panizza racconta queste facezie, tutti rizzano le orecchie, a iniziare dagli avvocati difensori, che non vorrebbero una seconda incriminazione di un teste a difesa. Ma Panizza, a non mettersi nei guai, ci pensa da solo: fa una figuraccia nel raccontare risibili trasbordi, ma si guarda bene dall’accennare al fatidico Philip Watch; e allora la sua testimonianza è proprio inutile: che lui si diletti o meno a trasportare milioni e cianfrusaglie di Tretter da un posto all’altro, non è questione che riguardi la giustizia.

Ma una cosa sono le responsabilità penali; un’altra la credibilità delle istituzioni. Franco Panizza non è più un semplice galoppino di Tretter, è un consigliere provinciale; così come Livio Offer non è l’autista privato di Tretter, è un dipendente della Regione. Se in un’aula giudiziaria raccontano storielle, se si fanno incriminare per falsa testimonianza, non è solo affar loro, né del loro capo Tretter: ne sono coinvolte Provincia e Regione. E il peggio sarebbe se si ritenesse fatto "normale" che dipendenti e consiglieri provinciali mentano in Tribunale per coprire le spalle ad un boss.