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QT n. 13, 27 giugno 1998 Servizi

Pane al pane e vino al vino. Anche a Pinzolo.

Non si può avere Parco e impianti, Val Brenta intatta e Monte Grual sfregiato; non si possono attirare i turisti estivi con le funi e i piloni tra i boschi. Questo vale anche per la sinistra?

Rabano Mauro

Dire pane al pane e vino al vino non è mai stata una virtù della politica italiana. Il lessico contorto degli abitanti del Palazzo è anzi diventato un gergo incomprensibile ai più.

Il linguaggio della politica non è però solo oscuro. Da tempo ormai le parole della politica non corrispondono più al significato delle parole del dizionario. Quest'opera di pervertimento del nostro lessico ha visto una sua stagione di particolare splendore quando Silvio Berlusconi, sceso in campo per plateali interessi lobbistici, ha voluto dare al suo movimento la nobiltà di un partito che voleva rinverdire i fasti della liberaldemocrazia. Sono così stati adottati a padri nobili del partito azienda Einaudi e Sturzo, Gobetti e Amendola. Qualche saltimbanco socialista, approdato alle ultime file della corte berlusconiana era addirittura riuscito ad intravedere in Forza Italia tracce di socialismo liberale. Anche Guido Calogero e Carlo Rosselli erano con questo sistemati.

I virus si diffondono rapidamente. Dalla metropoli milanese alle valli trentine, dagli uomini della destra ai rappresentanti della sinistra. Nel 1992 a Rio de Janeiro, di fronte ad una crisi ambientale che presenta seri pericoli per la stessa sopravvivenza del pianeta, i governi di tutti i continenti, con la riluttanza di quello degli Stati Uniti d'America, si impegnarono a garantire nei propri paesi uno "sviluppo sostenibile". La generale adesione alla parola magica, fu così rapida e diffusa da far pensare ad una conversione miracolosa dell'intera umanità al verbo ambientalista.

Più esteso fu il consenso e più evidente fu però la diluizione del significato che a Rio allo sviluppo sostenibile si era voluto attribuire. Significato che in modo inequivocabile chiariva: sviluppo sostenibile è quello sviluppo in grado di consegnare alle generazioni future lo stato del pianeta con tutta la ricchezza della sua biodiversità, florìstica, faunistica, paesaggistica. Con la firma del trattato, tutti si sono impegnati a tradurre a casa propria i solenni deliberati sottoscritti.

Abbiamo, per parte nostra, la fortuna di vivere nel più ricco e delicato ecosistema del continente, quello delle Alpi. I presupposti di Rio sono stati quindi recepiti dai governi interessati come linee guida per la tutela e lo sviluppo della regione alpina. Nei protocolli per la Convenzione delle Alpi si mette perciò in evidenza l'impegno solenne a bloccare ulteriori strutture impiantistiche, ineluttabile pretesto per altri insediamenti edilizi, altro cemento, altro traffico sui delicati versanti delle nostre valli. Dal Tiralo alla Baviera ai Cantoni svizzeri, tutti impegnati sul nuovo fronte economico ambientale. A rivendicare una nuova stagione non erano più solo gli ambientalisti, ma gli economisti ed in particolare quelli che seguono l'andamento del settore turistico, allarmati per una montagna sfregiata, che perde fascino e richiamo, che non è più alla moda. Tutti, tranne il Trentino.

Senza rinunciare alla citazione della compatibilità con lo sviluppo sostenibile e distinguendosi dall'impareggiabile assessore al turismo Francesco Moser solo per una disputa attorno al danno ecologico che sarebbe prodotto dai piloni degli impianti funiviari, l'onorevole Olivieri è impegnato in queste settimane a dar continua prova della diffusione del virus che porta a declamare un principio e a sostenerne nella pratica l'esatto opposto. Il deputato dell'Ulivo, nelle sue recenti dichiarazioni, afferma infatti di essere un fautore del parco Adamello Brenta, e di non vedere alcuna contraddizione nel fatto che a ridosso del parco siano realizzati altri impianti, con tutto quello che gli stessi provocheranno alla qualità del parco, di difendere l'integrità della Val Brenta, cuore del parco, dimenticando che se i suoi propositi fossero soddisfatti la vai Brenta sarebbe salva, ma tutto ciò che la circonda sarebbe pesantemente alterato. Per Olivieri bisogna evitare di estendere il modello Campiglio ad altre porzioni del Trentino. Per evitarlo non sa proporre di meglio che agganciare Pinzalo e tutta la Rendena, appunto a Madonna di Campiglio.

In fotocopia sono queste le tesi dell'assessore Moser, di cui Olivieri rivendica orgogliosamente la primogenitura. Epilogo inevitabile della perdita delle bussole, quando si usano parole e programmi per sostenere tesi che ne rappresentano l'esatto contrario.

Gli impianti non sono dannosi per l'ambiente sostiene Olivieri perché "i piloni si possono demolire". Ma si costruiscono perché restino, una ventina d'anni almeno.

E intanto sfregiano, e soprattutto distruggono una proposta economica alternativa (il turismo soft) e quella complementare (il turismo estivo).

Tutti coloro che anche solo qualche volta hanno scarpinato in montagna, sanno quanto sia sgradevole e quindi non praticata l'escursione estiva fra impianti e piloni. E l'esempio più eloquente ne è forse quella che una vecchia canzone, cara ai trentini, definiva la montagna che "de pù bele no ghe n'è", la Raganella, ridotta in estate ad arido relitto non più frequentato.

C'è per converso nel Trentino, dopo le disillusioni degli anni passati, uno sforzo a cercar strade inedite, volte a salvaguardare l'originalità del proprio piccolo mondo ambientale. Paesi dalla natura bella ed avara come la Vallarsa. Trombitene, Terragnolo, hanno effettivamente rinunciato a rincorrere Campiglio per proporre integro il Pazul, Bedollo sull'Alto Piano di Pinè abbandona le lamentazioni per gli impianti mancati sul Rujoch e si affida ad un'impegnata gestione del bosco. Solo per il Monte Roèn, qualche tardo epigono dei progetti degli anni Settanta insiste a prevedere impianti e piste.

La realtà è che se i rappresentanti del palazzo continueranno il gioco delle parole e dei quattro cantoni, sarà la dura replica delle leggi dell'economia a costringere tutti a dire pane al pane e vino al vino.

E a prendere atto che non si può avere parco e impianti, vai Brenta intonsa e Monte Grual sfregiato. Madonna di Campiglio degradata e Sant'Antonio di Mavignola conservata nel suo fascino intatto. Tutto si tiene, dicono i francesi. Vale anche per la sinistra.