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QT n. 12, 13 giugno 1998 Servizi

Il diritto alla salute? Non entra in carcere

Quando una lieve pena diventa una condanna a morte.

Dorigatti Elena

Carcerato e ammalato di Aids: purtroppo è una condizione frequente, visto che la giustizia italiana, in genere mite con tutti, è invece rigorosissima con i tossicodipendenti, e la droga è considerata il Male assoluto. Dunque sono numerosi i sieropositivi carcerati: ed anche nei piccoli istituti di pena di Trento e Rovereto i sieropositivi ufficiali sono oltre la decina, ma quelli reali probabilmente di più (non è prevista infatti alcuna analisi di routine).

Però, se fuori dalle porte di via Filati la salute del cittadino è gestita dal ministero della Sanità, varcata la fatale soglia questa competenza passa al ministero di Grazia e Giustizia. Le conseguenze sono enormi, tanto che si può tranquillamente dire che nelle prigioni la salute non è garantita. Le strutture all'interno del carcere, nella maggior parte dei casi, sono solo di pronto soccorso e non certo in grado di far fronte ai problemi gravi e specifici che inevitabilmente si presentano, ne vi è praticamente possibilità di poter usufruire delle strutture ufficiali e specializzate. Si giunge così all'attuale caso di un ragazzo che nel carcere di Trento sta aspettando ormai da mesi di poter fare una semplice radiografia.

Dopo una lunga attesa, il mese scorso si è finalmente compiuto un grande passo avanti: è stata infatti firmata una convenzione tra la direzione del carcere e l'Azienda Sanitaria. Tale convenzione (valida peraltro solo nel carcere di Trento e non in quello di Rovereto), se da un lato migliora notevolmente la situazione precedente perché permette al medico specialista di fare visite direttamente nell'istituto di pena, lascia in realtà aperte una serie di problematiche legate a casi specifici.

Michele Poli, presidente della sezione di Trento della Lila (Lega Italiana per la lotta contro l'Aids), in una recente conferenza stampa ha portato l'attenzione sulle particolari esigenze del malato sieropositivo. Attualmente esistono dei nuovi strumenti farmaceutici (gli inibitori della proteasi) che permettono un notevole miglioramento della qualità e soprattutto della durata della vita. Questi tarmaci però, che devono essere presi con costanza a scadenze molto precise, non possono essere prescritti al di fuori dell'ospedale. La soluzione sarebbe quella di permettere all'ammalato di usufruire delle strutture ospedaliere, ma i tempi per poter ottenere i permessi per un day hospital sono molto lunghi. Spesso quindi le possibilità per il sieropositivo di potersi curare sono rimesse alla buona volontà del personale sanitario che tenta, anche al di fuori delle vie ufficiali, di far ottenere i farmaci ai malati. In pratica il risultato è che gli inibitori della proteasi non sono ancora disponibili per circa il 70% dei detenuti che ne avrebbero necessità.

Di qui la giornata di mobilitazione nazionale organizzata dalla Lila il 29 maggio, per ricordare come le promesse, formulate ormai da più di un anno durante la conferenza nazionale sulla droga, non sono ancora state mantenute. In quella occasione infatti i ministri si erano formalmente assunti l'impegno di attivare concrete misure legislative per evitare l'entrata in carcere ai tossicodipendenti, ottenere misure alternative al carcere per i malati di Aids, garantire l'assistenza sanitaria nei penitenziari, ed evitare che chi ha concluso o sta sperimentando un percorso di disintossicazione debba tornare in carcere per l'accumularsi di pene relative a reati commessi quando faceva uso di droga.

Tutte belle intenzioni, scontratesi però con un mix di inerzia e di problemi reali. Difatti una legge che prevedeva la scarcerazione in caso di Aids esisteva già, ma è stata abolita in seguito ad alcuni episodi di sieropositivi che, scarcerati, continuavano a delinquere (rapine, ecc.) contando su una impunità di fatto. Evidentemente si doveva cambiare registro, ma le nuove proposte di legge giacciono da mesi in Parlamento. E così la scarcerazione per motivi di salute è un fatto assolutamente eccezionale e in carcere si continua a morire, trasformando nei fatti una condanna a qualche anno in una condanna a morte; oppure il detenuto viene fatto uscire tatticamente in casi estremi, in modo tale che non risulti tra i decessi avvenuti in carcere.