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Turbolenza sulla giustizia

Abbiamo fatto tornare i conti economici e finanziari per entrare in Europa: ora devono tornare anche i conti della giustizia.

La turbolenza che investe a raffiche il potere giudiziario, turbando i suoi rapporti con il potere legislativo ed esecutivo e con l'opinione pubblica, ha cause molteplici. Proverò a indicarne alcune nel tentativo di fare il punto.

La prima causa è la sostanziale inefficienza dell'apparato, che non produce più giustizia civile, poca e contraddittoria quella di natura penale, lenta e ingarbugliata quella amministrativa. I cittadini sono delusi, avviliti, a volte indignati. Il potere politico invece (Parlamento e Governo) appare distratto e indifferente al problema di una giustizia normale, cioè funzionante.

Nonostante la sostanziale paralisi, l'apparato giudiziario conserva per fortuna segmenti ancora vivi che incidono come bisturi contro la mafia e la corruzione. Ne sono esempi le Procure di Milano e di Palermo. Ciò preoccupa, a volte per motivi opposti, il mondo politico, in particolare quei settori collusi con la mafia o inquinati dalla corruzione. Questo fatto, insieme con la cattiva volontà del legislatore e la sua impreparazione tecnica, contribuisce ad accrescere una situazione di conflittualità permanente tra giudici e politici.

Non solo l'opposizione, ma spesso anche la maggioranza accusa la magistratura di fare politica, invadendo recinti riservati al potere legislativo ed esecutivo.

L'accusa è priva di fondamento. Si può capire che provenga da destra, in particolare da Forza Italia: Berlusconi è un plurinquisito eccellente per reati gravissimi e la tesi della persecuzione ai danni del capo dell'opposizione è un espediente difensivo. Ma le censure che provengono dall'Ulivo sono stupefacenti. Non vi è dubbio che il ciclone di "Mani Pulite" ha contribuito a spazzare via il ceto politico dirigente della prima repubblica. Ha disfatto due partiti di governo: la De e il Psi, e questo dice tutto.

Ma lo ha fatto perseguitando reati comuni. Quando un magistrato scopre un ladro o un mafioso, è suo dovere denunciarlo e indagare perché l'azione penale è obbligatoria e non deve chiedersi se l'inquisito è un uomo comune, un uomo politico, un ministro o un prete. Il magistrato non può e non deve porsi il problema se la condanna di un politico può determinare la caduta di un governo o la sparizione di un partito (se lo facesse, obbedirebbe a esigenze di carattere politico). Il terremoto che "Mani Pulite" ha determinato nella vita italiana è stata la conseguenza inevitabile (ma non lo scopo) di una azione giudiziaria legittima. Diverso e opposto sarebbe il giudizio se l'azione giudiziaria fosse stata infondata e perciò persecutoria, se cioè gli indagati fossero stati innocenti.

Coloro che accusano la magistratura di fare politica dovrebbero porsi questa domanda: erano innocenti i vari Craxi, Martelli, Cusani, De Michelis, Citaristi e tutti gli altri (anche magistrati) che sono stati trovati con le mani nella marmellata? La risposta viene da sé.

E' davvero strano e rivelatore che gli accusatori della magistratura non abbiano speso una parola in un recente caso in cui un giudice ha fatto davvero politica. Il pretore dott. Madaro ha deciso, come tutti sanno, che il Servizio Sanitario nazionale deve somministrare gratuitamente il farmaco Di Bella ai malati di cancro. Il dott. Madaro non perseguiva un reato, né esprimeva un'opinione, ma emanava un'ordinanza che equivaleva a un atto amministrativo o a un provvedimento di legge, travalicando così i suoi poteri. Nessun uomo politico, a quanto mi risulta, ha mosso critiche o sollevato obiezioni all'anomalo comportamento del pretore.

Sono invece quotidiani gli attacchi e addirittura gli insulti a magistrati come Borrellli, Colombo, Davigo, Boccassini, Caselli non solo per i loro atti giudiziali ma anche per le opinioni che esprimono. Secondo alcuni politici, i magistrati non dovrebbero parlare, neppure per criticare un progetto di legge o per suggerire soluzioni tecniche ai problemi di giustizia, quasi che l'art. 21 della Costituzione valesse per tutti eccetto che per i giudici.

La magistratura è preoccupata per la sostanziale inerzia del Parlamento e del Governo in materia di giurisdizione. Il ministro Flick nel corso degli ultimi due anni ha presentato un pacchetto di proposte che, se tradotte in leggi, potrebbero alleviare o addirittura risolvere alcuni mali che affliggono la giustizia. Le proposte sono finite in qualche "buco nero" che le ha inghiottite.

Perché il Parlamento non le discute? Perché il Governo non chiede la procedura d'urgenza? I magistrati non ricevono risposta e nello stesso tempo assistono all'inevitabile babele di polemiche sulla divisione delle carriere, sulla duplicazione del Csm, e su altre peregrino proposte tendenti a limitare l'indipendenza dei giudici.

Ad aggravare sospetti e tensioni si aggiunge la superficialità del legislatore e la sua sostanziale impreparazione tecnica in materia giuridica, L'ultimo esempio è costituito dalla sciagurata riforma dell'ari. 513 c.p.p., riforma ispirata al principio di civiltà giuridica del contraddittorio ma realizzata al rovescio.

Su questo punto la verità comincia a farsi strada. Eugenio Scalfari ha scritto in un recente editoriale su La Repubblica che il 513 nella stesura attuale non è un atto di civiltà giuridica ma un incitamento all'imputato a intimidire il "pentito", e insieme un incitamento al "pentito" a ricattare l'imputato. Sante parole. Come è stato generato questo mostricciattolo, nonostante gli ammonimenti ripetuti di numerosi magistrati tra cui Caselli, Vigna, Borrelli e Colombo? Scrive Scalfari: "La riforma del 513 fu voluta dall'opposizione con l'appoggio dì buona parte dei popolari come rivincita contro le Procure cosiddette d'assalto". Io non so se questa ipotesi maliziosa sia vera. Mi domando invece se sia possibile rimediare al mal fatto. Scalfari è pessimista: "Rimettere le mani sul 513 creerebbe quel casus belli di cui Berlusconi si servirebbe per mandare all'aria il processo delle riforme. La giustizia sta pagando un prezzo molto alto per non far deragliare il treno della bicamerale. Questo è il vero punto della questione del 513".

Temo che abbia ragione. Tuttavia la clamorosa intervista rilasciata il 26 aprile da Cesare Salvi, con cui il Presidente dei senatori democratici compie una svolta di 180 gradi, apre qualche varco alla speranza. E' con piacevole sorpresa che il popolo di sinistra ha letto la severa autocritica compiuta da Salvi, il riconoscimento dei gravi errori compiuti, l'ammissione che "Colombo ha ragione", che anzi "la magistratura ha ragione" e che "senza un coraggioso rinnovamento dell'organizzazione giudiziaria e del ministero i cittadini non avranno mai giustizia".

Da anni non sentivamo parole così chiare e nuove. Il senatore Salvi è andato ancora più in là a proposito dei pasticci combinati dalla Bicamerale: "Io penso che si debba tornare all'impianto della Costituzione attuale ".

Speriamo che alla parole seguano i fatti. La dott. Elena Paciotti, presidente dell'associazione nazionale magistrati, ha recentemente dichiarato che la politica "virtuale" del Governo deve tradursi in provvedimenti concreti. La giustizia deve diventare un obbiettivo prioritario; Flick come Ciampi, in poche parole. Abbiamo fatto tornare i conti economici per entrare in Europa: ora devono tornare anche i conti della giustizia. Altrimenti la dea bendata, oltre che cieca, diventerà anche sorda e paralitica. Solo i potenti ne trarrebbero vantaggio. I cittadini invece vogliono una giustizia normale, efficiente e uguale per tutti.

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