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Putin, l’Ucraina e i quattro imperi

Cause e possibili conseguenze di una guerra.

La gravissima crisi russo-ucraina in corso ha rivelato alcune tendenze di fondo degli sviluppi geopolitici che sinora erano rimaste celate al grande pubblico. Viviamo un’epoca di transizione, in cui si confrontano almeno tre grandi entità “imperiali”: USA, Russia, Cina e una quarta che stenta a decollare, l’Europa. L’Impero americano è ancora egemone, controllando la finanza e le comunicazioni, una ancor grossa fetta del commercio mondiale e dei servizi bancari e detenendo la superiorità tecnologica in molti settori (meno uno, come vedremo, però di vitale importanza) oltre a controllare i mari e i trasporti grazie alla più grande flotta militare del mondo a una rete di centinaia di basi militari piccole e grandi sparse in tutti continenti, dotate non solo di armi ma anche di sofisticatissimi sistemi di intelligence.

Dall’altra parte si erge l’Impero concorrente, quello cinese, che già oggi batte il primo nella produzione industriale e nel commercio mondiale, ha colmato rapidamente in questi anni molti gap tecnologici nelle comunicazioni, dai satelliti ai telefonini, nella medicina, nelle armi ecc., e soprattutto con una ardita politica commerciale ha saputo espandersi ovunque, in particolare in Africa (“il continente del futuro” si dice) e in America Latina, dal Venezuela all’Argentina, ossia nel ”cortile di casa” degli USA. I due imperi sono chiaramente rivali - lo dimostrano le periodiche guerre dei dazi, il bando di Trump alla tecnologia cinese ecc. - ma non ancora nemici dichiarati. Tuttavia secondo molti analisti è solo una questione di tempo. Gli USA, ossia l’Impero declinante, non potranno tollerare di cedere lo scettro senza prima tentarle tutte per bloccare lo sviluppo dell’Impero in ascesa, la Cina di Xi Jinping.

Ma c’è un terzo Impero, pure questo in declino da tempo, la Russia di Putin, con caratteristiche molto particolari. Dopo la caduta dell’URSS, il paese era entrato in una crisi apparentemente irreversibile soprattutto a causa del disastroso decennio di Eltsin, che, dopo avere raccolto a piene mani l’entusiasmo popolare originato dalla liquidazione del comunismo, è oggi ricordato dai russi come lo stolto affossatore della potenza russa. Alla fine però è arrivato Putin, quello stesso Putin che certa stampa corriva descrive oggi come un “novello Hitler” o persino uno “Stalin redivivo”, ma che la notte della caduta del Muro di Berlino quand’era il più alto ufficiale russo in servizio a Berlino non ordinò alle sue truppe di sparare sulla folla - come tutti si sarebbero aspettati - ragione per cui è ricordato ancor oggi con gratitudine da molti tedeschi. Putin è colui che “fece la storia” in quella notte berlinese; e che, dopo una carriera al KGB, ha fatto la storia anche dell’ultimo ventennio in cui ha letteralmente risollevato le sorti della Russia, riportandola al centro dell’agone internazionale. Putin ha cominciato mettendosi di traverso rispetto all’espansione della Nato a Est, un lungo processo che culmina in queste settimane nella decisione – tragica ma “perfettamente logica” dal punto di vista di un impero barcollante – di invadere l’Ucraina, “ribelle” e ormai pronta a entrare nella NATO, per riportarla all’ovile russo. Ma Putin ha messo anche un freno ai progetti americani di fare il bello e il cattivo tempo in Medio Oriente, a partire dalla sciagurata distruzione dell’Iraq sino a quella della Libia e della Siria o dello Yemen, in combutta con quei magnifici difensori dei diritti umani che sono l’Arabia Saudita e l’Israele dell’apartheid (oggi sotto inchiesta al Tribunale dell’Aja, originata da una recente denuncia circostanziata di Amnesty International, vergognosamente taciuta dai nostri media). Putin ha dato man forte a puntellare i regimi della Siria di Assad e dell’Iran degli ayatollah, non certo per amore degli autocrati dell’area (che non sono degli stinchi di santo), ma per frenare lo strapotere americano e presidiare una zona strategicamente vitale per la Russia. In Siria la Russia ha basi navali e aeree in grado di arginare il bullismo americano (e israeliano) che in questi anni, nella totale indifferenza dei media occidentali, hanno ridotto la Siria a un paese di profughi e di affamati; con l’Iran Putin ha stretto patti di difesa, che rendono di fatto il paese mediorientale il presidio fondamentale del lato sud dell’impero, il suo “ventre molle” proiettato sul Golfo, e ha discretamente garantito al paese qualche scappatoia al cappio delle sanzioni americane (accesso dell’Iran al commercio con la Comunità Economia Euro Asiatica e ingresso nel Patto di Shangai a guida russo-cinese).

Ma la Russia ha un problema fondamentale, il declino industriale e commerciale che sarà ulteriormente accentuato dalle sanzioni americane imposte a seguito dell’invasione dell’Ucraina. Il paese esporta praticamente solo materie prime come gas, metalli rari e cereali. Ma le sue industrie non sono competitive a parte il settore dei fertilizzanti, di cui è tra i massimi produttori mondiali, e quello delle armi: dai missili antiaerei ai radar, dai caccia intercettori alle apparecchiature per la guerra elettronica. E qui sta il vero punto di forza del paese. La sua tecnologia missilistica è da anni la prima al mondo e il Pentagono ammette che le sue portaerei – dalla fine della seconda guerra mondiale lo strumento di dominio USA sui mari – sono alla mercé dei missili di precisione russi, capaci di colpire una nave a duemila km di distanza con uno scarto di +/- 3 metri, tanto da essere stati ribattezzati nella letteratura specializzata “killer di portaerei (americane)”. Non meno temibile è l’arsenale nucleare russo che mantiene intatta la sua capacità di deterrenza e si è arricchito recentemente di un siluro monstre, a propulsione nucleare, in grado di navigar e negli oceani per anni, e che potrebbe causare uno tsunami facendo esplodere la sua testata termonucleare davanti alla East Coast americana. Armi di deterrenza certo, che mai saranno impiegate verosimilmente se non come estrema ratio o ritorsione verso un attacco nucleare.

La guerra all’Ucraina ha messo in campo sin dalla prima notte un nuovo scenario militare: con circa 250 missili di precisione, è stato annientato l’intero sistema di basi aeree e di difesa antiaerea ucraina senza che neppure un soldato russo entrasse in territorio ucraino. E sono stati risparmiate invece tutte le strutture civili, dalle fabbriche industriali alle centrali elettriche e delle comunicazioni telefoniche e via internet - che infatti in piena guerra funzionano perfettamente in tutte le città ucraine - e che invece, in una guerra totale, sarebbero state distrutte subito (esattamente come fece la NATO con i suoi aerei nell’attacco alla Serbia, e a Belgrado in particolare, durante la breve devastante guerra degli anni 90, a cui diede il suo bravo contributo di “bombe intelligenti” anche l’allora governo del democratico D’Alema). Oggi che per la guerra in Ucraina si batte la grancassa della “più devastante guerra in Europa dalla fine della seconda guerra mondiale” , si omette serenamente di ricordare l’aggressione brutale alla Serbia (oltretutto compiuta senza nessuna copertura ONU).

Tornando a Putin, egli è certo l’espressione di una Russia che aveva vissuto per decenni un grande senso di umiliazione e di declassamento nel concerto dei grandi della terra, e che – come emerge nel suo discorso alla nazione che ha dato il via all’invasione dell’Ucraina – ha deciso di mettere i paletti all’espansione della NATO nel suo “cortile di casa”, ossia gli stati confinanti. Ma l’Ucraina, come ben sanno gli storici, non è solo il cortile di casa di Putin, ma molto di più: è parte inalienabile della stessa identità e coscienza storica della Russia. Qui nel XII secolo nacque il Principato di Kiev, il nucleo storico della futura rinascita russa dopo l’invasione mongola dell’Orda d’Oro. Da qui sono usciti fior di artisti, pensatori e scrittori che hanno fatto grande la cultura russa. Come pensare che qui la Russia, di fronte all’invadenza della NATO, non avrebbe segnato la sua “linea del Piave”? Purtroppo oggi ci vanno di mezzo giovanissimi soldati russi e ucraini mandati a scannarsi tra di loro, ci vanno di mezzo le popolazioni ucraine, ma la responsabilità dell’occidente euro-americano in questa tragedia è lampante: dalla caduta dell’URSS, la NATO ha accolto a braccia aperte Polonia, Romania e paesi Baltici, ha fomentato rivoluzioni rosa o arancioni in Georgia e in Ucraina (con la caduta nel 2014 dell’ultimo governo filo-russo) e ha messo il suo zampino anche nel recentissimo abortito colpo di stato in Kazakhstan. Vista da Mosca, si trattava evidentemente di una serie di crescenti e intenzionali “provocazioni” che hanno portato la Russia di Putin a dire in sostanza: ora basta.

Ma veniamo ora al quarto (mancato) impero, l’Europa delle mille divisioni, con tre “medie potenze” (Francia, Germania e Inghilterra) che fanno ognuno la propria politica estera, ma tutte comunque saldamente al guinzaglio della politica e degli interessi del “canaro” americano. Qualche analista ha detto, a ragione, che Biden è il vero vincitore della guerra tra Russia e Ucraina. In un colpo solo e senza mandare un solo soldato in battaglia, è riuscito a separare i destini di Europa occidentale e della Russia per chissà quanto tempo. Spieghiamoci meglio. L’Europa e la Russia hanno economie complementari: importiamo grano e gas dalla Russia, e ci esportiamo tecnologie civili e prodotti industriali. Una unione economica russo-europea, quale fu preconizzata da De Gaulle e da Willi Brandt con la Ost Politik, diventerebbe rapidamente il dominus dell’economia mondiale ed emergerebbe nel medio periodo come la nuova superpotenza, eclissando gli USA e tenendo testa all’impero cinese. Non è interesse evidentemente né degli USA né della Cina che ciò avvenga, piuttosto si farà di tutto per ritardare questa alla lunga ineluttabile alleanza. La Cina può limitarsi ad attendere che maturi il declino economico russo, per fare dell’ex-paese degli zar e dei Soviet il socio di minoranza del suo impero; gli USA, dopo la guerra russo-ucraina, potranno stringere ancor più il guinzaglio al collo degli europei che, obbedienti e contro i propri interessi, hanno già sospeso molte collaborazioni vitali con la Russia, dal gasdotto North Stream 2 ai rapporti bancari. Questa la dura realtà, che la crisi ucraina ha messo sotto gli occhi di questa imbelle, disunita e confusa Europa.