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QT n. 1, gennaio 2022 Seconda cover

Tempesta Vaia, occasione sprecata

Conversazione con Paola Favero, alpinista, scrittrice, forestale, esperta di educazione ambientale.


Vaia è stato un evento inatteso in Italia, eravamo convinti che simili tempeste di vento si verificassero solo a nord delle Alpi. Finalmente ci siamo, seppur dolorosamente, svegliati: i cambiamenti climatici in atto interesseranno anche il nostro sistema forestale. Quale valutazione dà degli interventi fino ad oggi effettuati? Si poteva fare diversamente?

“È molto difficile rispondere, poiché l'evento Vaia ha colpito in modo diverso le varie zone, ed ogni area ha caratteristiche e necessità differenti. A questa enorme variabilità si devono sovrapporre le diversità delle regioni e province interessate, a partire dalla presenza ao meno di un efficiente corpo forestale e da come è indirizzata la politica e la gestione forestale. Comunque, quanto ha reso difficile per tutti una risposta pronta ed efficace sono stati anzitutto l'imprevedibilità dell'evento e l'impreparazione ad affrontarlo, nonostante i ripetuti allarmi che ci venivano dal nord e centro Europa, già colpiti da eventi simili e spesso molto più grandi.

Certamente la risposta più valida e veloce è stata quella dell'Alto Adige grazie alla presenza di un efficace corpo forestale e di una ancora buona filiera del legno, oltre che di una gestione attenta e puntuale dei boschi, che hanno permesso di rilevare prontamente le aree danneggiate, procedere al più presto all'esbosco degli schianti recuperando immediatamente i tronchi utilizzabili e conferire gran parte del materiale a ditte di lavorazione locali.

Paola Favero

All'opposto è stata invece la risposta del Veneto, lenta, frammentata, disorganizzata: ci sono state aree dove gli interventi sono stati fatti solo quest'ultima estate, senza nessun recupero di legname da opera, o svendendolo a ditte straniere, ed altre dove si è assistito a un intervento massiccio di esbosco fatto in modo “industriale" grazie a macchine come harvester e forworder, che hanno permesso il recupero di gran parte del legname da opera. Purtroppo però il prodotto non è stato utilizzato dal mercato italiano, che pur lamenta eccessive importazioni di legname dall'estero, ma è stato venduto a compratori cinesi, portando direttamente i tronchi dall'Altopiano di Asiago a Marghera per imbarcarli in grandi navi dirette in Cina.

Queste operazioni a mio parere sono assolutamente deleterie, perché alimentano un mercato viziato e insostenibile, che reca danno all'ambiente e anche alle economie locali, alle piccole ditte che lo Stato avrebbe dovuto supportare già da tempo, favorendo le attività in montagna, dando respiro anche con incentivi a ditte locali di esbosco, a segherie, a falegnamerie, che in molte aree montane sono ormai scomparse, a favore delle multinazionali.

Altri effetti negativi sono le molte piste e strade forestali spesso inutili e qualche volta addirittura dannose per i versanti, realizzate spesso solo per poter utilizzare i fondi disponibili, e anche molti interventi fatti con harvester e forworder che se da un lato hanno esboscato tutti i tronchi caduti, dall'altro hanno lasciato suoli distrutti, con solchi profondi fino a un metro e la biodiversità presente nel terreno completamente devastata.

L'urgenza di intervenire e un ottica poco attenta alla natura hanno spesso causato più danni che benefici: in alcune aree, infatti, sarebbe stato meglio lasciare tutto a terra, anche per alimentare il nuovo soprassuolo che sarebbe presto tornato a popolare quella zona. L'ottica di massimizzare i profitti anche in questo caso ci ha portato lontano dall'attenzione alla natura e ai suoi equilibri, ed ancora di più ai suoi tempi”.

Nell’azione di recupero del legname schiantato e da ora in poi negli eventuali rimboschimenti, come prestare attenzione alla biodiversità? Forse siamo stati abituati a vedere nel bosco un sistema un po’ troppo semplificato: alberi uguale legname, foresta una somma di alberi e nessuna attenzione alle tante interazioni naturali presenti in una foresta.

“L'attenzione alla biodiversità dev'essere la nostra priorità. Troppe volte vogliamo semplificare e velocizzare tutto, dimenticando che la natura è complessità, che ogni luogo è diverso e va valutato in modo differente: e se può esserci la necessità di rimboschire una scarpata stradale o un versante sopra le abitazioni, per la gran parte delle aree distrutte da Vaia dobbiamo lasciar fare alla natura. Da esperienze fatte oltre le Alpi, il bosco tornato alla naturalità ha impiegato un po' più tempo ma è certamente più forte e vigoroso, più ricco di specie e biodiversità, e più resistente.

Dobbiamo smettere di dire che il bosco ha bisogno dell'uomo che deve gestirlo e curarlo. Siamo onesti, siamo noi che abbiamo bisogno del bosco, dei suoi prodotti e dei suoi servizi, da utilizzare con attenzione senza intaccare gli equilibri che lo regolano con tagli troppo intensi”.

Uscendo dalla emergenza del recupero degli schianti, quali opportunità abbiamo perduto con la tempesta Vaia?

“Molte. Prima di tutto non siamo stati capaci di comprendere il messaggio che ci viene da alberi e boschi sulla terribile crisi climatica ed ambientale che stiamo attraversando e che potrà portare gravi conseguenze proprio su noi uomini. Vaia poteva essere il momento di un vero cambiamento ed anche lo stimolo per corsi, stage, educazione ambientale e divulgazione a qualsiasi livello, e anche se queste cose sono state fatte, si è sempre trattato di iniziative individuali di associazioni o gruppi, non c'è stata un'operazione più diffusa ed efficace a livello nazionale o regionale.

Non abbiamo preso spunto per una nuova attenzione ai boschi, una nuova selvicoltura guidata dall'attenzione soprattutto ai servizi ecosistemici della foresta piuttosto che alla semplice produzione legnosa, tra l'altro denigrata a semplice merce di cui non si cura più la qualità come un tempo, ma la quantità, perseguendo ad ogni costo il profitto a scapito del benessere del bosco.

Non abbiamo neppure approfittato del disastro per avviare studi e ricerche sui suoi effetti su vegetazione, fauna, insetti, funghi, suoli. sulla ripresa del bosco e sul comportamento delle specie nelle varie zone. Questo è stato fatto solo in pochi casi e soprattutto in relazione agli insetti scolitidi, in particolare il bostrico (Yps tipographus), che grazie alle piante morte è esploso numericamente ed ora sta attaccando in modo massiccio gli abeti rossi ancora sani.

Non abbiamo approfittato di quanto accaduto per tentare un'azione di rinascita o riqualificazione della filiera del legno, eppure poteva essere un'occasione per far ripartire attività locali anziché favorire le grandi ditte. Anche solo pensando alle operazioni d'esbosco, proviamo a guardarci intorno per vedere com'è diverso il modo di lavorare di chi conosce il territorio e vi ha sempre operato, rispetto a chi arriva dall'esterno con potenti mezzi e interviene come se ogni luogo fosse uguale all'altro, solo una realtà da cui spremere il più possibile”.

Una macchina Harvester in azione

Quali sono i rischi più immediati che corrono le foreste italiane?

“Attualmente i nostri boschi sono minacciati dalla tempeste di vento causate dal riscaldamento globale, che sembra non arrestarsi più, dagli incendi sempre collegati alla maggiore aridità e ai forti venti, e dagli attacchi di insetti e parassiti, che sono sempre più frequenti dato lo stato di sofferenza delle piante.

Ma un altro grande nemico del bosco è attualmente anche l'uomo, che nonostante tutte le affermazioni sulla protezione di questi ecosistemi sta sviluppando politiche forestali dirette a tagliare di più, con la scusa che i boschi sono cresciuti troppo, e con metodi d'intervento effettuati con nuovi mezzi meccanici, che non permettono più il vecchio taglio saltuario che cercava di non alterare l'assetto del bosco imitando la natura, ma si rivelano impattanti e spesso addirittura devastanti, mettendo a rischio la biodiversità dell'ecosistema. Dietro questa politica si nasconde anche il business delle centrali a biomassa legnosa, grazie alla spinta verso le energie rinnovabili che garantisce incentivi. Accade cosi che nelle centrali non si conferiscano più solo i residui delle segherie o dell'esbosco, ma sempre più spesso alberi interi, che a volte sono recuperati da schianti, ma molte altre sono conseguenza di tagli programmati. Ed ecco che si arriva alla follia di tagliare un organismo che assorbe CO2 e produce ossigeno e che certo rinnovabile non è, e di bruciarne il legno reimettendo nell'atmosfera la CO2 che aveva immagazzinato in decine di anni, con una rendita energetica inferiore al 40%”.

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Paola Favero è stata colonnello del Corpo dei Carabinieri forestali, è una curiosa ricercatrice esperta in biodiversità e scrittrice. Fondamentale il suo libro sulla tempesta Vaia: “C’era una volta il bosco”, ed. Hoepli, oltre ad altre pubblicazioni più recenti. Alpinista, ha fondato il gruppo di animazione artistica e scientifica INSILVA.