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QT n. 12, dicembre 2021 Servizi

L'assalto all'Alto Adige

La provincia di Bolzano urbanizza le alte quote

Chi frequenta la provincia di Bolzano da turista è convinto di immergersi in uno scenario di perfetta naturalità. Ordine ovunque: i prati sono sfalciati, attorno ai masi vi è pulizia, le strade, anche quelle che raggiungono i pascoli in quota, sono perfette, prive di buche e i drenaggi vengono mantenuti. E poi fiori ovunque. Anche in Trentino la provincia confinante viene letta così.

Andando a ben vedere quanto vi succede ci si dovrebbe anche preoccupare. Non parliamo qui del record nazionale dei suicidi o delle persone seguite dai servizi di Igiene mentale, ci fermiamo alla gestione dell’ambiente sulle alte quote, ai modi con i quali la Provincia, sollecitata dai Comuni e dalle corporazioni economiche, sta trasformando semplici rifugi in luoghi di ristorazione di lusso, su come i parchi e le aree di Rete Natura 2000 vengano umiliate nel loro ruolo conservativo, su come non si vada per le spicce nel dare risposte, anche le più aggressive, ai potentati dello sci e del turismo.

Portiamo solo alcuni esempi, consapevoli che quanto sta avvenendo oggi in Alto Adige, appunto perché ritenuta provincia modello, si trasferirà in tempi brevi sulle Dolomiti e su tutto l’arco alpino. Prendiamo spunto dalle recenti severe denunce avanzate dal CAI provinciale e dall’Alpenverein. E per quanto riguarda lo Stelvio e altri collegamenti sciistici, dal coraggio di Mountain Wilderness.


Cominciamo da due rifugi.

Il “vecchio” rifugio di Passo Sentner.

Un po’ ovunque si potenzia la rete della ospitalità in alta quota, mirando al lusso e imponendo architetture avveniristiche, fuori contesto storico e identitario. Come già avvenuto sul monte Bianco o sul Cervino in Svizzera, o sui versanti del Senales.

In Alto Adige, al momento, la discussione più accesa riguarda la ristrutturazione (o meglio il rifacimento) del rifugio Coronelle nel gruppo del Catinaccio, a quota 2337 metri. A promuoverne il potenziamento è una società sciistica, da sempre problematica per come si impone su territori e paesaggi fragili, la Carezza Ski di Georg Eisath.

La zona interessata dai lavori, come dimostrato da recentissimi franamenti, è area ad elevato rischio geologico. Nonostante questo, il nuovo rifugio passerà dagli attuali 60 posti letto a 97, vi saranno 360 posti per ristorazione, un incredibile terrazzo panoramico e l’edificio sarà alto 20 metri (in parte interrati), le cubature triplicheranno nonostante sia stato ristrutturato e potenziato da pochi anni. Ma tutto questo non bastava ai proponenti: oggi si deve stupire, si deve spaccare la visione romantica e ottocentesca offerta da un insieme di pareti, torri e pascoli incantati. Ecco quindi aggiungersi anche la proposta di una grande torre in vetro alta 18 metri. Tutto autorizzato dai servizi della Provincia.

Come se questo non bastasse, si è fatta scivolare nell’accordo una proposta di partnership per condividere fra pubblico e privato i costi di gestione. Ovviamente i ricavi rimarranno in piena disponibilità al privato, mentre sul pubblico ricadranno i costi e il necessario indebitamento.

L’altra situazione riguarda il rifacimento del rifugio Santner, un rifugio rimasto in stile alpino, a quota 2737 metri, ai piedi della parete Est del Catinaccio, dotato ad oggi di 12 posti letto. I proprietari hanno ottenuto via libera alla demolizione e rifacimento della struttura e la Provincia ha accettato una proposta di ampliamento dei volumi di 5 volte rispetto agli attuali. Eppure siamo in una zona SIC di Rete Natura 2000, nella area core di Dolomiti UNESCO.

Interpellato in proposito, il presidente della Fondazione Dolomiti UNESCO Mario Tonina ha affermato di non saperne nulla e per non rispondere ha affermato che “si informerà”. Eppure, proprio la Fondazione da lui guidata (si fa per dire) ha autorizzato questo stravolgimento anche culturale oltre che paesaggistico dell’intera area.


Sciare nel Parco

Ora lasciamo il turismo escursionistico per passare allo sci. Della oscenità del collegamento verso il Comelico e del nuovo allacciamento tra Monte Elmo e Sillan Hochpustertal in Austria abbiamo parlato in più occasioni (n° 2 del 2018 e n° 8 del 2019). Anche in questi casi si violeranno vaste aree di Rete Natura 2000. Concentriamoci invece sul collegamento sciistico di Solda, in pieno parco nazionale dello Stelvio.

Cinque anni fa l’allora assessore all’ambiente Richard Theiner aveva rassicurato gli ambientalisti affermando che lo smembramento in tre ambiti regionali-provinciali del Parco Nazionale dello Stelvio (QT n° 2 del 2016, n° 5 del 2018, n° 11 del 2019 e altri ancora) non avrebbe compromesso gli habitat naturali e specialmente non si sarebbero potenziate le aree sciabili attive. Siamo ancora in attesa del piano parco (si era garantito che con l’efficienza regionale in 12 mesi il piano parco sarebbe stato approvato, ma ne sono passati 48 e siamo all’anno zero). Sono operative invece le linee guida del parco approvate dal Comitato di indirizzo nazionale il 19 gennaio 2017.

In tema di aree sciabili queste sono precise: prevedono per il settore solo potenziamenti leggeri funzionali allo sviluppo di una rete di mobilità sostenibile, anche via fune dove presente infrastrutturazione. Ed invece il collegamento Ortler Ronda, cioè Solda-Madriccio, approvato dalla Provincia, esce dalle aree sciabili, si porta fino a quota 2800, interessa e taglia vasti spazi di Rete natura 2000 con la presenza di 6 habitat diversi e 8 specie faunistiche, queste ultime inserite nella lista rossa europea.

La val Venosta aspetta da anni il varo del progetto “Solda senz’auto”, un programma di mobilità che avrebbe dovuto essere studiato e realizzato dalla Provincia in sintonia con l’Ente parco e definito dalla società sciistica.

Di questo progetto nessuno parla più, si è pensato solo all’offerta turistica dello sci. Nel frattempo l’osservatorio nazionale del parco istituito dalle associazioni ambientaliste aveva promosso un ricorso al TAR contro il collegamento sciistico, un ricorso che è stato respinto (come ovvio, vista la costituzione dei TAR delle due province autonome, con giudici di nomina politica locale). Ora si è in attesa del responso del Consiglio di Stato, procedimento avviato dalle associazioni nel gennaio 2020 e al momento in attesa di risposta.


La città in montagna

Il cantere del nuovo rifugio.

Sia per quanto avviene nel settore dello sci che nei sostanziosi investimenti di rifacimento dei rifugi in alta quota, si è in presenza di una diffusa urbanizzazione della montagna, dove viene trasferito quanto richiesto negli ambiti urbano-padani: arene di svago per i ciclisti, vie ferrate nuove, parchi divertimento, parchi natura perfino (animali in sagome di legno o plastificati).

La montagna viene così trasformata, passo dopo passo, in protesi “naturale e green” delle città, in un parco ad uso e consumo degli ospiti. Si tratta di una promozione del turismo strutturata sulla naturalità della montagna, una montagna anche democratica in quanto permette gli accessi al mondo dei disabili, anche in spazi fragili e attraverso una motorizzazione forzata, modificando così in modo irreversibile paesaggi e specialmente consumando biodiversità. Questi processi di degrado qualitativo della montagna verranno poi accentuati dalla necessità di potenziare ovunque i servizi essenziali, come reperibilità di acqua potabile in sempre maggior quantità, scarichi dei reflui, rimozione dei rifiuti, garanzie di sicurezza, comfort assoluto. Sono tutti costi che in tempi più che brevi ricadranno nelle casse degli enti pubblici.

Vi sono poi conseguenze sociali e culturali. Questa tipologia di offerta turistica allontana dalla montagna le categorie più deboli, i lavoratori con scarsa professionalità, anche causa il costo della vita sempre più insostenibile per residenti non legati all’economia turistica. I soggetti fragili saranno relegati, come già accade, in una fascia del lavoro sempre più povera di diritti, e con stipendi inadeguati. Nel medio e lungo periodo si arriverà a soffrire, in modo irreversibile, la perdita di culture e identità, di caratteristiche quali l’attenzione al limite e alla sobrietà, l’accoglienza vera e intima tipica della montagna, con la perdita di storie e di lavori sempre essenziali nella gestione dei territori, selvicoltura e allevamento.

Guardando oltre le straordinarie fioriture di gerani su balconi e terrazze, anche questo è l'Alto Adige. Si tenga presente che ad oggi la provincia di Bolzano non ha ancora recepito i procedimenti di Valutazione d’incidenza come imposti dall’Unione europea e dallo Stato. Una disattenzione non casuale.

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