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QT n. 10, ottobre 2020 Monitor: Arte

“Atlas Curae”

Rigenerare la città, tra arte e inclusione sociale

Vladimiro Sternini

Dopo 12 anni riapre le porte l’ex Palazzo delle Poste di Trento, gioiello architettonico modernista di Angiolo Mazzoni incastonato nel centro storico di Trento. Non ci si illuda: l’edificio, impreziosito dalle opere di Bonazza, Zueg, e all’interno da una grande opera di Gino Pancheri e dalle vetrate futuriste di Enrico Prampolini, è ancora in attesa di un proprio destino certo, dopo che fu utilizzato nel 2008 per la kermesse artistica “Manifesta 7”.

È comunque significativa, e positiva, la sua pur temporanea riapertura, e nuovamente grazie ad una manifestazione artistica legata al tema della cura, in senso lato: ”Atlas Curae” è un progetto promosso dall’Associazione H20+ e curato dal collettivo Mavi con Elisa Casati, che ha coinvolto alcuni protagonisti dell’arte contemporanea trentina. Un progetto che, a fronte dell’immobilismo pubblico sull’edificio, non poteva che nascere dal basso, con risorse minime e tanta buona volontà.

Ne abbiamo parlato con le curatrici Francesca Piersanti (F. P.) e Veronica Bellei (V. B.):

Come nasce “Atlas Curae”?

F. P. “Atlas Curae” prende vita intorno al bisogno di sperimentare linguaggi e opportunità dell’arte forzandone alcuni confini. Utilizzare il potere delle immagini per parlare del tema della cura, nel tentativo di comporre un warburghiano Bilberatlas è stato il pretesto per coinvolgere undici artisti che hanno accettato la sfida non scontata di lavorare condividendo pratiche e immaginari con pubblici differenti, anche legati alle fragilità. Volevamo investire l’arte di un ruolo quasi terapeutico ed ermeneutico, per avviare un percorso vicino alle esperienze dell’arte pubblica e relazionale tirando un filo tra arte, rigenerazione urbana, distanziamento sociale e terzo settore. Dopo il primo sopralluogo gli artisti si sono innamorati degli spazi e li hanno abitati con opere che hanno declinato il tema della cura e creato delle vie di accesso simboliche alle attività proposte. É nata così anche una mostra.

Come mai la scelta è caduta sull’ex Palazzo delle Poste?

F. P. La genesi del progetto è legata a un bando del Comune di Trento. Non abbiamo ancora capito se il permesso accordatoci di utilizzare gli spazi dell’ex dopolavoro, cuore rinascimentale dell’edificio avvolto un tempo nel caleidoscopico gioco di luci generato dalle grandi vetrate policrome di Tato e Depero, sia solo un felice caso. Certo è stato emozionante pensare che un luogo così denso di storia, storie e arte, possa rispondere a questa primaria vocazione quasi per istinto.

Chi sono gli artisti coinvolti?

V. B. Abbiamo coinvolto artisti che hanno un percorso sia nazionale che internazionale e legami con il territorio: da una parte pittori come Luciano Civettini, Luca Coser, Federico Lanaro, Laurina Paperina, Michele Parisi e Gianni Pellegrini, dall’altra esponenti dell’arte pubblica come Emanuele Benedetti, Angelo Morandini, Museo Wunderkammer, Giuliana Racco e Nuvola Ravera. Tutti artisti che nel corso degli anni hanno sviluppato interventi legati al tema della cura. Oltre a loro, essenziale è stata la disponibilità da parte di volontari - studenti, adulti ed anziani - per la gestione dei flussi e della prima accoglienza e per la realizzazione di foto e video.

Eventi e workshop sono stati effettuati in collaborazione con realtà sociali del territorio. Che riscontro hanno avuto?

V. B. Il nostro intento era quello di coinvolgere persone che normalmente non circuitano nei luoghi deputati all’arte, come musei, gallerie e fondazioni. Ad esempio Giuliana Racco ha tenuto un workshop in collaborazione con la Casa Padre Angelo Onlus e l’Azienda Provinciale per i Minori di Trento, che ha coinvolto dodici ragazzi richiedenti asilo, invitati a riflettere sulla loro fluida identità, né ancorata al paese d’origine (Marocco, Tunisia, Colombia, Argentina, Togo, Nigeria) né ancora al paese che ora li ospita, l’Italia.

Tantissime le richieste di partecipazione. In alcuni casi abbiamo esaurito i posti disponibili già a poche ore dall’apertura delle iscrizioni. Per esempio, il workshop “Post-cards” di Laurina Paperina, nel quale l’artista ha rielaborato insieme ai partecipanti alcune cartoline regalate dai dipendenti dell’ufficio postale ancora attivo nel Palazzo.

Quali eventi oltre i workshop?

V. B. Per i più piccoli ci sono stati alcuni eventi di microteatro. Le visite guidate del team di “Atlas Curae” si sono arricchite della collaborazione con il Touring Club Italiano, i cui volontari hanno illustrato la storia del palazzo delle Poste. Abbiamo voluto condividere lo spazio attraverso collaborazioni spontanee che si sono concretizzate in presentazioni di libri e incontri sull’architettura e sulla storia.

Avendo vissuto intensamente quello spazio, che destino auspicate per l’ex palazzo postale?

F. P. Il maestoso complesso edilizio è da tempo in attesa di una nuova destinazione; qualche anno fa è stato approvato un cambio di destinazione d’uso che permetterebbe una funzionalità mista, che non esclude la possibilità di dare continuità a esperienze artistiche e culturali. L’arte ha bisogno di uscire dalle stanze dei musei, intrecciarsi e aggrovigliarsi alle cose di tutti i giorni, prendere parte a processi complessi, raccogliere la domanda di ridefinizione degli spazi e dei modelli di vita e di cittadinanza, contaminarsi per comprendere ed esprimere gli incroci di culture. È un tema urgente ed attuale quello dei modelli ibridi per la produzione e l’organizzazione artistica e culturale, che bene si potrebbe innestare in un luogo tanto suggestivo e potenzialmente multifunzionale.

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