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QT n. 9, settembre 2019 Servizi

Uno scempio approvato democraticamente

Comelico: un investimento con contributi pubblici per l’ennesimo collegamento sciistico. Ma (quasi) tutti sembrano d’accordo...

Quello che proponiamo è un caso emblematico di come, in zone di montagna dimenticate, che soffrono lo spopolamento e l’assenza di servizi, si riescano a imporre investimenti distruttivi grazie a incredibili contributi pubblici, con danni ambientali e sociali irreversibili. Il caso preso in esame, oltre a rappresentare una informazione “diversa”, è emblematico di come è stato costruito. In altre zone italiane (Appennino bolognese o laziale, autostrade A27 e A31, Alpe di Devero) si riscontrano situazioni simili, ma in nessuna di queste si è raggiunta l’efficienza organizzativa messa in opera nel Comelico.

Da anni nell’alta val Pusteria si lavora alla costruzione di un collegamento sciistico fra Sesto Pusteria e il Comelico. A volerlo in primo luogo sono gli impiantisti della Pusteria: ritengono che l’area sciabile di Monte Elmo verso Croda Rossa non sia adeguata nel sostenere la concorrenza di altre importanti zone, ad esempio Dolomiti Superski o Campiglio. E vogliono imitare.

Franz Senfeter

Nel 2012 la società sciistica Drei Zinnen ha avviato il potenziamento investendo ulteriormente su Monte Elmo con nuove piste. L’opposizione dell’ambientalismo altoatesino era stata dura, tanto da riuscire a rallentare, anche attraverso ricorsi al TAR, l’approvazione delle nuove piste. A quel punto l’imprenditore altoatesino Franz Senfter e la società impiantistica decidono di fare piazza pulita di tutti i rallentamenti burocratici e delle leggi di tutela ambientale. Così, nel settembre 2014, a San Candido si organizza una manifestazione popolare a sostegno dello sviluppo dello sci: 1.400 persone, l’apparato politico della SVP al completo, i sindaci dell’alta valle, i dirigenti provinciali del Bauernbund, cacciatori e operatori turistici si ritrovano per chiedere il potenziamento dell’area. L’ambientalismo sudtirolese si sente schiacciato e l’apparato dei funzionari della Provincia dà il via libera ai progetti rivolti alla costruzione di un collegamento con passo Monte Croce e quindi, in prospettiva, con il Comelico.

Sembrava tutto semplice. Ma una associazione ambientalista, Mountain Wilderness, aveva deciso di resistere, sostenuta ultimamente da Italia Nostra di Belluno. Completare il collegamento per poi scendere con una pista in Valgrande a Padola significherebbe sfregiare ogni valore di Dolomiti UNESCO patrimonio naturale dell’umanità. Il progetto infatti, qualora realizzato, andrebbe a insistere su due aree protette, la ZPS IT 3230089 Dolomiti del Cadore e il SIC IT 3230078 del gruppo del Popera. Nelle riflessioni ambientaliste si è tenuta presente la quota di arrivo della pista, 1200 metri a Padola, la necessità di un enorme bacino di accumulo delle acque per l’innevamento artificiale e la presenza di impianti falliti già negli anni ‘90. L’obiettivo reale di Drei Zinnen è quello di arrivare a collegarsi con gli impianti austriaci di Sillan, nell’Hochgruben e quindi completare il giro delle Cime dell’Orto. Il Comelico e Padola sono punti di passaggio obbligati, nient’altro: l’obiettivo è raggiungere aree ricche come quelle che guardano alla Carinzia.

Tema ambientale a parte, risulta evidente la fragilità economica dell’impresa. Il costo totale dell’operazione - piste, impianti, bacino di innevamento - si aggira sui 44 milioni di euro. Di questi ben 26 proverrebbero dai fondi di confine che annualmente le Province di Bolzano e Trento versano in progetti (sempre più discutibili) ai comuni confinanti veneti e lombardi.

Si provi a pensare alla ricaduta che avrebbe una simile cifra se impiegata in un piano di sviluppo serio dell’area del Comelico, circa 7.000 abitanti, una popolazione dimenticata dalla Regione Veneto, in un’area priva di servizi essenziali quali la mobilità pubblica, l’assistenza sanitaria e la formazione scolastica. Già oggi quasi 400 residenti si recano ogni giorno a lavorare nelle strutture private dell’alta Pusteria. Parliamo di una terra resa sempre più marginale: un simile collegamento risolverebbe questa marginalità?

Non vanno poi dimenticati i recenti fallimenti di significative imprese turistiche locali, come l’area sciabile e le Terme di Valgrande. Situazioni, guarda caso, gestite dai più accesi sostenitori del collegamento.

Eppure il Comelico è una terra orgogliosa, che ha sempre espresso un mondo del lavoro capace, anche innovativo. Dispone di ricchezze ambientali e paesaggistiche rare (appena sopra gli abitati dominano il Popera e la Croda Rossa, poco lontane vi sono le Tre Cime di Lavaredo), di una storia archeologica di prim’ordine e che merita ulteriori ricerche (reperti del mesolitico), di un vasto insieme di valori identitari che, riordinati in un programma turistico e culturale, rilancerebbero un territorio di alta qualità.

Sono questi i temi che Mountain Wilderness ha provato a presentare, progetti che porterebbero ricadute economiche più diffuse, con minori investimenti e specialmente non andrebbero a incidere negativamente sul paesaggio o su risorse strategiche locali. Sono i temi portati all’attenzione delle Regole comunitarie, dei sindaci. Ma la risposta è stata univoca: “Prima pensiamo al collegamento sciistico, è l’ultima occasione che il territorio ha per mantenere la popolazione in valle; in un secondo tempo si investirà anche su quanto, correttamente, ci viene proposto... Il collegamento è la priorità, non si discuterà di altro fino alla sua realizzazione”. Nel frattempo la Fondazione Dolomiti UNESCO, sollecitata dalla associazione, esprimeva un parere, non vincolante, contrario al progetto e specialmente veniva reso pubblico il parere contrario della Soprintendenza ai Beni Culturali del Veneto. In pratica il progetto veniva bloccato.

La reazione

A questo punto Senfter, attraverso una miriade di figure e comparse secondarie, avviava il meccanismo che lo aveva portato al successo nel 2014 in val Pusteria. Un duro attacco all’ambientalismo: su tutto prevale la becera e falsa retorica del montanaro che da secoli ha difeso la sua montagna, la descrizione di un ambientalismo cittadino da poltrona che cerca silenzio e natura ma si muove con i Suv, che vede le popolazioni di montagna come riserve indiane da sfruttare, maestrucoli, vetero-ambientalisi spocchiosi sostenitori di una politica che produce abbandono della montagna. Sono questi solo alcuni giudizi rilasciati da amministratori pubblici o imprenditori sulla stampa locale. Non è stato difficile in una situazione di tale isolamento costruire il nemico pubblico (ricordiamo val Jumela in Fassa?). La contrapposizione è risultata efficace anche grazie all’uso spregiudicato dei social. In diverse occasioni si sono lette minacce dirette e si è assistito all’immiserimento del confronto, alla costruzione di muri impenetrabili, tanto da impedire perfino l’inizio del confronto: è prevalsa la ridicolizzazione dei contenuti degli oppositori.

Non appena il diniego della Sovrintendenza ai Ben culturali di Venezia è stato reso pubblico, ci si è concentrati sul nuovo nemico e l’attacco alla Sovrintendenza è stato culturalmente devastante, fino a delegittimare l’istituto. Questi i giudizi, ripresi dalla stampa, sui dirigenti dell’ente: “Burocrati asserviti ad un ambientalismo fuori dal tempo... ente anacronistico... un ristretto gruppo di benpensanti, gente mai votata, appoggiano un deprimente folklore della povertà, inneggiano alla decrescita, fomentano una regressione antropologica delle genti di montagna, incapaci di una lettura dinamica del territorio... vi lavorano persone estranee, cittadini che impongono al territorio una violenza culturale” (i vincoli, n.d.r.).

L’attacco all’ambientalismo e alla Sovrintendenza (lo ricordiamo, una garanzia universale nella difesa dei beni comuni e culturali del nostro paese) viene articolato su piani diversi. Dapprima vengono intimoriti i locali contrari al collegamento, un’azione facile da gestire nelle montagne italiane e che qui riesce oltremodo efficace. Storici, mondo della cultura, operatori turistici con ampie visioni vengono messi a tacere, isolandoli socialmente. Troppo estesa la rete dei piccoli interessi in gioco, commercio e turismo, dipendenti Senfter, famigliari coinvolti, conflitti di interessi ormai consolidati con i poteri locali.

A seguire, qualche piccolo imprenditore ha usato in modo spregiudicato i social offendendo i contrari e specialmente arrivando a minacciare direttamente l’ambientalismo. Decine le condivisioni, centinaia i commenti (usiamo un eufemismo) irriverenti.

La politica si accoda

In questo clima il mondo politico tutto, dalla sinistra estrema e comunista di Potere al popolo, al PD, M5S fino alla Lega e ai fascisti, sostiene il pensiero ormai dominante: “È l’ultima occasione per la nostra terra, non perdiamo il treno”- è la frase ricorrente, poi spesso seguono le offese. Da qui alle istituzioni il passo è breve: le Regole e i Comuni si schierano per il collegamento, non parliamo poi delle istituzioni regionali.

In pochi mesi, quasi giornalmente, sulla stampa locale (due quotidiani) appaiono oltre 80 articoli che inneggiano al salvatore Senfter, ridicolizzano l’ambientalismo, scovano interviste a ragazzini, a mamme e nonni, e si interviene attivamente per cercare di intimorire un unico giornalista che ha dato spazio a voci diverse. Ovviamente non può non nascere il solito “comitato spontaneo” con la presidenza di Rinaldo Tonon, già presidente della società Drei Zinnen, che sarà incaricato di organizzare le marce sul Ministero dei Beni culturali a Roma, a Venezia e poi una grande manifestazione il 1° giugno 2019.

Per due mesi case e strutture turistiche della zona hanno ospitato, prima lenzuolate improvvisate e poi ricchi striscioni stampati a favore del collegamento. Chi ha pagato?

Su queste iniziative fioccano le adesioni più disparate: quelle sorprendenti del CAI che si trova a violare i principi costitutivi della sua carta fondativa, la CGIL, sempre più lontana dai temi ambientali, l’uomo forte della SVP Herbert Dorfmann, il solito Messner, sempre pronto a offrire il suo nome a sostegno di ogni infrastruttura si imponga alla montagna, perfino Mauro Corona che si getta contro i vincoli ambientali, e quelle più scontate degli Sci club, commercianti, agricoltori, Confindustria. Arrivano anche le adesioni del Consiglio pastorale di zona, di una associazione che si definisce ambientalista mentre sostiene il prolungamento dell’autostrada A27 proprio nel cuore del Comelico, Vivaio Dolomiti, del BARD, un barlume di movimento autonomista bellunese, perfino uno spregiudicato comitato SaveGranSasso, un movimento che in Abruzzo sostiene in ogni luogo i più improbabili collegamenti sciistici.

Con lo slogan “Il Comelico è vivo” si va a Venezia il 9 maggio, poi a Roma e il 1° giugno si tiene la manifestazione che avrebbe dovuto portare, come accaduto a Bolzano, la Sovrintendenza ad approvare il progetto. Si vanterà la presenza di 2.800 partecipanti. Certo, la manifestazione è stata imponente, i numeri reali superano le 1.500 presenze, un dato incredibile per una zona di montagna. Ma è scientificamente studiata, la costruzione della grande orchestra chiamata a suonare con un’unica nota.

Pochissimo spazio hanno trovato, nei vari media, gli interventi della cultura e dell’ambientalismo: non una riga o una dichiarazione in televisione che approfondisca i temi della biodiversità, del significato di Dolomiti UNESCO, delle motivazioni che reggono certi vincoli, dei valori storici e culturali che il collegamento andrebbe a cancellare. Come del resto non si trova accenno a un modo diverso di spendere 26 milioni pubblici mentre il territorio viene continuamente umiliato dagli attori istituzionali favorevoli al collegamento, con i tagli ai servizi essenziali, assistenza, sanità, scuole, mobilità.

Come finirà?

Cosa rimane oggi dopo una simile azione di forza? Con molte probabilità il collegamento si farà, appena limato dei suoi passaggi più delicati e offensivi verso l’ambiente. Il Comelico si ritroverà a sostenere i costi di gestione della infrastruttura mentre i profitti finiranno nelle casse di Drei Zinnen?

I sindaci locali hanno incredibilmente ammesso che il collegamento è privo di un business plan. Franz Senfter, l’eroe della montagna, colui che ha investito solo “per atto d’amore” potrà ampliare oltre confine i suoi investimenti nel settore turistico. Poco dopo si prolungherà il collegamento verso l’Austria, così Padola e Santo Stefano di Cadore rimarranno a guardare orde di sciatori che useranno il loro territorio come transito da un’area sciabile all’altra, solcato da due impianti e due banali ski weg; venti posti di lavoro certamente assegnati a residenti del Comelico ma poi il vuoto culturale, incolmabile.

Sul territorio resteranno le irricucibili ferite che le istituzioni e tutti i partiti hanno inferto ai valori dell’ambiente e della cultura, ai beni storici. Nelle persone più aperte rimarrà il rimpianto per quanto non è stato fatto con 26 milioni piovuti dal cielo e altri 3,8 della Regione destinati all’area provenienti dai fondi della Strategia nazionale della montagna. Rimarrà il rancore verso gli ambientalisti, personaggi presuntuosi, mai eletti dal popolo, che pretendevano di comandare su un territorio non loro. Rimarrà l’impossibilità di recuperare identità, storia e cultura per investire in un turismo diverso. Rimarrà radicata l’idea che la difesa della biodiversità e del paesaggio desertifichi la montagna.

E questo purtroppo sta ormai avvenendo in troppe aree alpine italiane, dalle Alpi occidentali (Devero) fino al parco dello Stelvio e alle Dolomiti del Brenta.