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Il divario uomo/donna e la scuola

Se ne è discusso in un dibattito organizzato da un gruppo di genitori al liceo Rosmini di Trento

Maria Giovanna Franch

I numeri parlano chiaro. L’Italia si trova al 70° posto, fanalino di coda tra i maggiori Paesi avanzati, nella classifica mondiale elaborata dal World Economic Forum sul Global Gender Gap, ovvero il divario registrato nei diversi ambiti della società tra uomini e donne. Al primo posto, manco a dirlo, i Paesi del Nord Europa. Lo spiega bene Lorella Zanardo, documentarista, scrittrice e coautrice del documentario “Il corpo delle donne”, intervenuta ieri sera al dibattito “Quale futuro per le pari opportunità? Culture educative e cambiamenti sociali” organizzato da un gruppo di genitori e insegnanti al Liceo Rosmini di Trento. “Il governo svedese investe moltissimo nelle pari opportunità per un semplice motivo: più il divario tra uomini e donne si assottiglia, più l’economia va bene”, commenta la Zanardo. “Occuparsi di pari opportunità in Italia non è quindi questione né di destra né di sinistra, ma di semplice sopravvivenza”.

Ma allora perché la giunta provinciale trentina ha deciso il 27 dicembre scorso di sospendere, senza alcuna motivazione plausibile, i percorsi di educazione alla relazione di genere già finanziati e attivati nelle scuole? E perché, nonostante le proteste, nonostante una petizione on line che ha raggiunto oltre 9.000 firme, nonostante altre firme raccolte in diversi istituti e nonostante le dichiarazioni della vicepresidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio ancora nulla si muove?

Barbara Poggio, docente di Sociologia del lavoro e dell’organizzazione all’Università di Trento e responsabile scientifica del progetto “Educare alla relazione di genere” si toglie finalmente un peso e spiega pubblicamente quello che Università, scuole e formatrici hanno portato avanti in questi anni: “Nessuno ce lo ha mai chiesto, per cui lo facciamo ora”, dichiara la Poggio. “Il nostro progetto è partito dal semplice riconoscimento di un problema: la nostra società si basa su profondi squilibri tra donne e uomini, nel mercato del lavoro, nella politica e nei processi decisionali, nei contesti educativi e di cura. Ogni tre giorni viene compiuto un femminicidio e nel solo Trentino sono stati registrati l’anno scorso 638 episodi di violenza. Come possiamo contrastare questo fenomeno se non agendo sulle sue cause? La scuola non deve solo trasferire nozioni ma è chiamata anche alla costruzione della coscienza etica e civile di studenti e studentesse. È questo il luogo privilegiato in cui promuovere una cultura di riconoscimento dell’altro/a, di rispetto e di non discriminazione necessari alla realizzazione di una società più equa”.

Presente al tavolo dei relatori c’era anche Michela Marchi, insegnante delle scuole superiori e storica promotrice dei progetti di educazione alla relazione di genere. “In questi anni ho raccolto solo riscontri positivi da parte di ragazzi, genitori e insegnanti coinvolti nei percorsi”, ha detto la docente. “Si tratta di spazi protetti in cui studenti e studentesse si sentono liberi di parlare e riflettere. Non si trasmettono teorie, perché gli spunti e le domande vengono da loro. Sono loro i primi a voler sviluppare una maggiore consapevolezza. Questi corsi dovrebbero davvero essere resi obbligatori nelle scuole, esattamente come quelli di sicurezza sul lavoro”.

Molte le domande e gli interventi dalla sala. Uno su tutti giunge dalla Dirigente dell’Istituto Comprensivo Trento 6 Paola Pasqualin: “Una volta elaborato il lutto e preso atto di quanto deciso dalla giunta dobbiamo semplicemente continuare a portare avanti pensieri e azioni di promozione del rispetto e dell’uguaglianza dei diritti, perché sia la scuola sia l’Università hanno gli spazi di autonomia per farlo”. Stimolo raccolto dalla stessa Poggio che rilancia la proposta: “L’Università continuerà a fare quello che ha sempre fatto: formazione”. In piena sintonia con la motivazione che ha spinto un gruppo di genitori e insegnanti ad attivarsi. Lo si legge bene all’interno del documento distribuito in sala: “Abbiamo deciso di costruire una rete di insegnanti e genitori, perché la cultura del rispetto continui a essere al centro dell’educazione e fuori da prese di posizione ideologiche o strumentalizzazioni politiche. Vogliamo organizzare iniziative aperte alla comunità e lavorare per promuovere, dentro e fuori le scuole, la riflessione sui temi cruciali del nostro vivere in società. Allo stesso tempo riteniamo indispensabile salvaguardare l’autonomia della scuola e delle sue istituzioni democratiche, nel pieno rispetto della libertà di insegnamento, la cui serietà è garantita dagli organi collegiali preposti a decidere quali iniziative e quali collaborazioni sostenere”.

Maria Giovanna Franch, per il Gruppo “Genitori e insegnanti per la cittadinanza attiva”

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