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QT n. 12, dicembre 2018 Monitor: Arte

“Madonna in blu”, “Di terra e di fuoco”, “Sotto il cielo d’Egitto”

Tre mostre per tre opere riscoperte. Trento, Castello del Buonconsiglio, fino al 24 febbraio

È una strada che appare innovativa e promettente quella intrapresa quest’anno dal museo del Buonconsiglio, di mostre costruite facendo perno su una singola opera, corredandola degli indispensabili elementi di contesto. Ed è, in realtà, soprattutto un modo di mettere a frutto, restituendo e trasformando in dato culturale diffuso, i risultati talvolta sorprendenti delle nuove ricerche e studi su opere d’arte del passato rimaste nascoste e sconosciute ai non addetti, che tornano alla luce anche in virtù di lavori di pulitura, restauro, ritrovamenti d’archivio.

Madonna in blu

Di queste riscoperte possiamo goderne tre, in questo momento. Parliamo di una meravigliosa scultura in pietra della prima metà del Trecento, una Madonna col Bambino che, dopo i complessi lavori di restauro, viene chiamata Madonna in blu, per via della ritrovata coloritura originaria del mantello, un blu profondo dovuto all’azzurrite.

Citata per la prima volta nel 1982 da Nicolò Rasmo, che l’aveva recuperata dal soppresso convento agostiniano di San Marco, era rimasta per decenni nell’atrio di Torre Vanga, sottovalutata anche a causa di sette pesanti mani di ridipintura accumulatesi nei secoli. Appartiene, come ci spiega Luciana Giacomelli, ad un artista di ambito veronese che ha operato qui (la pietra è locale). Massiccia e al tempo stesso ben definita nei dettagli, colpisce per l’espressività contenuta di un lieve sorriso e un modo quasi popolano di portare la dignità regale. Viene considerata fondamentale per la storia dell’arte della nostra regione e non solo.

Andrea Riccio, San Sebastiano

La seconda riscoperta – stavolta in una collezione privata - riguarda un San Sebastiano modellato in argilla da Andrea Riccio sul finire del Quattrocento. Anche in questo caso, è stata l’opera di ripulitura dalla patina, stesa per farlo sembrare di bronzo, a permetterne la lettura accurata e la possibilità stessa di attribuirla al Riccio, nato a Trento nel 1470, formatosi come orafo e poi affermatosi a Padova, nel contesto tipicamente umanistico del recupero della classicità e nel gusto antiquario. Il tratto che ne fa un autore originale e lo distingue dai suoi maestri Bellano e de Fondulis, come ci fa osservare Giancarlo Gentilini, sta in quella espressione del viso che volge il dolore in fierezza.

Francesco Hayez, Riposo durante la fuga in Egitto

Anche la terza mostra, dedicata al capolavoro di Francesco Hayez Riposo durante la fuga in Egitto, dimostra la fertilità culturale di un rapporto di collaborazione tra museo e collezionismo privato. Commissionata nel 1831 dal conte trentino Simone Consolati a quello che era considerato già allora il maggior pittore di storia in Italia, l’opera rimase collocata nella villa di famiglia di Fontanasanta (presso Cognola), e più avanti se ne persero le tracce. È stata da pochi anni ritrovata presso un privato da Emanuela Rollandini, che cura questa esposizione, dove hanno un particolare rilievo anche le opere di contorno e il racconto del contesto culturale e del collezionismo d’arte nel primo Ottocento trentino, all’indomani della caduta del principato vescovile, ben collegato al contesto di Milano e di Brera, dove Hayez operava.

Hayez svolge il tema sacro con la consueta smagliante abilità e luminosità cromatica, interpretandolo con una certa libertà (che non soddisfece in pieno il committente), ed insiste non poco sull’eleganza della postura della Madonna, che sembra più una rilassata viaggiatrice ottocentesca che una fuggitiva priva di mezzi; e, pur non dimenticando le indispensabili ma piuttosto sfuggenti allusioni simboliche al destino del Cristo, molto si diffonde sul paesaggio del Nilo, con la statua di Ramses emergente dalla sabbia, le piramidi sullo sfondo: insomma l’immaginario esotico che, all’indomani della campagna napoleonica, si era affermato tra i contemporanei di Hayez. Anche questo, senza dubbio, un segno della sua modernità.

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